SALVATORE SULLI, Lettere vietate in tempi di fascismo

Ernesto Rossi

A proposito di scuola e fascismo, tema sempre attuale, vogliamo raccontare brevemente un fatto accaduto durante il “ventennio” in una scuola di Bergamo che ha per protagonista Ernesto Rossi. 

Questa nobile figura di antifascista si formò a Firenze dove conobbe lo storico Gaetano Salvemini, faro e punto di riferimento per un’intera generazione di giovani antifascisti tra cui Carlo e Nello Rosselli. Costretto a riparare all’estero per la sua attività di oppositore del regime, ritornò in Italia per continuarvi la lotta ma venne arrestato nell’autunno del 1930. Processato (si fa per dire) fu condannato dal Tribunale Speciale a venti anni di carcere. Ne scontò “appena” nove e fu poi spedito per quattro anni al confino di Ventotene. Venne liberato nel luglio del 1943. Fu tra i fondatori del Partito di Azione e convinto europeista firmatario del c.d. Manifesto di Ventotene.

Andiamo alla vicenda. Nel 1925 tornato da Parigi partecipa a un concorso per l’insegnamento nelle scuole superiori. Risulta in graduatoria primo in tutta Italia e sceglie Bergamo come sede. Qui inizia ad insegnare economia nell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II. Qualche anno dopo conosce Ada, diventata poi sua moglie, anch’essa venuta ad insegnare nel medesimo istituto e come lui antifascista. Instaura un ottimo rapporto con i suoi allievi che lo stimano tantissimo. 

Ernesto Rossi inizia -come accennato- durante questo periodo con altri componenti del gruppo di Giustizia e Libertà una intensa attività di cospirazione contro il regime fascista. Ma viene tradito da una spia e letteralmente venduto alla polizia assieme ad altri compagni. 

Il 30 ottobre 1930 l’arresto. Ecco il ricordo di un suo allievo della seconda B dell'Istituto Vittorio Emanuele II: «Una grigia mattina dell'autunno 1930, mentre teneva la consueta lezione di economia, Rossi fu interrotto bruscamente dall'ingresso del preside, professor Marenghi, che invitò brevemente il professore a seguirlo in direzione. L'aula rimase per pochi istanti incustodita, poi il preside ritornò: disse agli alunni di lasciare la scuola e ritornarvi nel pomeriggio [...] L'attenzione degli allievi in libertà venne poco dopo attirata da una macchina in attesa davanti alla scuola e sulla quale presero posto due individui e, nel mezzo, il professor Ernesto Rossi. Per qualche giorno non se ne seppe più nulla. Poi, sulla "Voce di Bergamo", un trafiletto di cronaca annunciò che uno tra i più pericolosi affiliati di un movimento antifascista, il "criminale" professor Rossi, era stato arrestato a Bergamo dalla polizia e tradotto a Roma. In tutto l'ambiente studentesco della bella e ospitale città garibaldina l'impressione fu enorme. Quegli alunni non furono persuasi che il loro professore dal volto pallido e sereno, dalla parlata facile, chiara e interessante, fosse un criminale»". 

 Tradotto a Roma nel carcere di “Regina Coeli” riceve nel novembre del 1930 una visita da parte della fidanzata Ada che gli porta i saluti dei suoi alunni. Ernesto Rossi per ricambiare e ringraziarli di questo affettuoso gesto scrive questa lettera ai suoi studenti: La signorina Rossi mi ha detto che i miei studenti mi ricordano ancora con simpatia e l'hanno pregata di salutarmi: questo m'ha commosso e fatto tanto piacere. Ho insegnato cinque anni all'Istituto e sempre ho trovato una completa rispondenza nei giovani che hanno capito che io facevo lezione con piacere, non dando molto peso alle pedanterie, ma cercando d'insegnare a ragionare, sviluppando il loro senso critico, lì questi cinque anni mi erano molto giovati, che anch'io avevo imparato l'economia più discutendo con gli studenti che sui libri. Ora questo periodo della mia vita è chiuso, credo, definitivamente; ma mi è di conforto la sicurezza di non aver mai insegnato come-vero quello che io stesso non ritenevo vero e d'aver fatto il possibile per conservare una serena oggettività di studio. Ringrazio lei e i suoi compagni e faccio loro i migliori auguri per un buon proseguimento degli studi" 

A questa lettera gli studenti rispondono al loro professore in carcere con un’altra lettera:"Eccezionalmente gradita ci è stata la gentile e bellissima lettera ch'Ella si è compiaciuta di trasmetterci per cortese intercessione della Sig.na Rossi. Essa ci ha commosso, in quanto e venuta a rinnovare quei sentimenti di reciproca comprensione e di affetto che si erano venuti formando attraverso tante belle lezioni; del resto è noto come gli studenti, anche se apparentemente non lo dimostrino, amino assai quei pochi tra i loro insegnanti che insegnano con ammirabile passione e profonda conoscenza in materia [...] Domandiamo scusa, Professore, se prima d'ora non abbiamo mai scritto; è stata una grave mancanza da parte nostra, ma creda pure, che ci siamo sempre ricordati di Lei e che la ricordiamo molto sovente con grande simpatia nei nostri quotidiani discorsi. Attendiamo con fiduciosa sicurezza il giorno che Ella, chiarito ogni sempre possibile malinteso, tornerà tra noi simpaticissimo Professore ad istruirci con la Sua chiara parola. ArrivederLa presto" 

Ed ecco come finì la storia. 

La lettera fu intercettata dalla censura e sull’accaduto furono fatte due inchieste rigorosissime, eseguite da due gerarchi fascisti Renato Ricci e Carlo Scorza, mandato apposta da Roma a Bergamo. Come scrive in una lettera a Gaetano Salvemini la madre di Ernesto Rossi, Scorza “ha fatto tradurre gli imputali alla casa del fascio e. ad uno per volta, in mezzo a due militi, condotti alla sua presenza. Interrogatori, minacce, intimidazioni. Per fortuna sono bravi ragazzi che non si sono fatti intimorire ed hanno risposto francamente e con coraggio facendo l'elogio di Ernesto e rimpiangendo le sue lezioni. Dice che l'On. ripartì furenteper Roma senza neanche accettare il pranzo che i fascisti gli avevano preparato all'hotel". 

Finite le indagini gli studenti furono ammoniti, così come la professoressa di scienze per avere detto che Ernesto Rossi non era morto. Il preside della scuola, il prof. Marenghi, venne cacciato e trasferito a Ravenna.

Tutto questo accadeva 90 anni fa.

Quello che invece è accaduto oggi alla preside del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Firenze e la reazione che si è avuta da parte di alcuni esponenti di questo governo dopo che la stessa si era “permessa” di scrivere una lettera agli studenti “in merito a quanto accaduto […] davanti alLiceo Michelangiolo”, dando -come è stato giustamente osservato- una coraggiosa lezione di antifascismo, dovrebbe far riflettere e non poco. Perché se,mutatis mutandis, la storia non si è ripetuta non è detto però che non possa ripetersi in futuro. 

 Palermo aprile 2023

Salvatore Sulli

Nessun commento:

Posta un commento