SALVATORE VAIANA, Il nuovo romanzo di Vincenza Cacciatore fra pessimismo pirandelliano e speranza cristiana

La vita che ci appartiene, dopo Sara storia di una mula, è il secondo romanzo di Vincenza Cacciatore, scrittrice siciliana di Licata.
Come nel precedente, i capitoli del romanzo sono introdotti da poesie che ne riflettono l’essenza: una “poetrice” si considera, non a torto, la Cacciatore.
Vi si racconta una storia il cui intreccio è un susseguirsi di momenti di quiete, di massima tensione e di scioglimento che tengono desta la curiosità e l’interesse del lettore.

È la storia altalenante fra felicità e tormento dei due protagonisti principali: Maria, di famiglia piccolo borghese, e Giovanni, di nobile casato, che iniziano il loro «viaggio» intrecciando un’appassionata storia d’amore in una Sicilia del secondo Novecento attraversata da cambiamenti (l’emigrazione, l’istruzione di massa, il conflitto generazionale, l’emancipazione femminile) che, dopo la morte della grande proprietà latifondista, seppelliranno per sempre la decrepita cultura patriarcale che ne era la sovrastruttura.
L’incipit narrativo è, in accennato modo manzoniano, un ostacolo apparentemente insormontabile a quest’amore felice nei suoi esordi: l’albagia discriminatrice della famiglia di lui, espressione di una persistente mentalità arcaica classista che genererà nel cuore devoto di Maria un odio insanabile verso una famiglia baronale antagonista fino all’inverosimile. Ma dopo tante traversie realizzeranno il loro sogno matrimoniale, da cui nasceranno due gemelli, Antonio, che è nel contempo protagonista e voce narrante interna e onnisciente, e Riccardo.
Tutto sembra andare per il meglio per i due genitori realizzati e ritornati felici, fino a quando non scoprono l’inaspettata e traumatizzante malattia di Riccardo: l’autismo. Ma anche questa volta con la forza dell’amore riusciranno a superare l’iniziale trauma e a far crescere il figlio con le attenzioni adeguate.
Ancora una volta la coppia è messa a dura prova: la sparizione di Riccardo. Come è accaduto in precedenza, Giovanni è spinto dall’amore alla «ricerca» del figlio; ma la morte improvvisa gli impedisce il vicino compimento di essa. 
Toccherà ora ad Antonio proseguirla. Egli, grazie alla mafia nella insolita veste di benefica aiutante, ritroverà il fratello che lo restituirà alla madre; e così i tre potranno ritornare a vivere serenamente insieme nel ricordo indelebile di Giovanni. È il trionfo della famiglia che non doveva farsi.
La trascinante trama è arricchita di riflessioni stimolanti su aspetti fondamentali dell’esistenza umana come l’amicizia e la malevolenza, l’amore e l’odio, la felicità e la malattia, la fede e il risentimento, la vita e la morte. 
Della vita, titolo e parola chiave del romanzo, si cerca incessantemente «il senso» individuato in un topos letterario, «il viaggio», come quello pieno di ostacoli di Maria e Giovanni: «Comprendere il viaggio è comprendere la vita, il suo vero senso» che risiede in un’interiorità che è nascosta «da miriade di maschere che fanno di noi volti vacui attaccati a teste vuote, le cui ombre cucite ai piedi non hanno ancora capito quale pesa di più. Quale abbia il giusto peso». 
A riscaldare la vita troviamo, nella narrazione, sentimenti primordiali: l’amicizia, cui l’autrice intitola un capitolo, intesa come «valore assoluto»; l’amore vissuto come riflesso e compenetrazione di anime: «Abbiamo bisogno di vedere nell’altro la stessa luce che splende dentro di noi e riconoscere in essa la vita che ci appartiene», una vita rinnovata dall’amore potremmo dire con Dante della “Vita nova”; la fede, che talvolta non riesce a vincere l’umano risentimento come dimostra la scena finale in cui Maria, «molto devota» alla «Divina Provvidenza» e a «Padre Pio», sputa sulla foto di un antenato del marito esclamando nauseata «PPu! Famiglia di merda!».
Nell’insieme questi aspetti configurano, attraverso il pensiero dei tre protagonisti principali uniti oltre che da consanguineità da una comunanza di valori morali, una visione esistenzialista permeata ora da pessimismo pirandelliano ora da speranza cristiana.
Fra poesia e prosa armoniose questa seconda fatica della Cacciatore conferma una sua interessante capacità: saper trasfigurare con piacevolezza e scorrevolezza narrative gli eventi ricorrenti e fondamentali della vita umana, i quali diventano occasione di riflessione sugli essenziali, antichi e irrisolti problemi che accompagnano la difficile esistenza umana. 
E questa è la sua cifra letteraria.

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