Il merlo del barone Agostino La Lomia - da lui benignamente elevato al rango di Duca di Santa Flavia - era politicamente opportunista (applicando rigorosamente, ante litteram, la par condicio, a volte cantava Bianco fiore della Democrazia Cristiana, altre Bandiera rossa dei comunisti) ed era un grande amico della tavola e abile canterino. Talora diceva delle parolacce e quando il barone intonava con la sua chitarra la sua canzone preferita, Vitti na crozza, fischiettava con sentimento.
Era stato addestrato, pare, dal musicista cieco Sariddu l’Orbu, il quale aveva un metodo tutto suo per dare lezioni a merli e pappagalli vari: si faceva rinchiudere per almeno un’ora al giorno in una stanza buia col suo… allievo. Ripeteva fino alla noia le frasi che voleva imparasse il merlo e ripeteva al tempo sul violino il motivo che il “discepolo” doveva apprendere.
Sariddu l’Orbu, per l’anagrafe Rosario Sena, detto anche lu prufissuri Sariddu, dirigeva un’orchestra particolare composta da cinque elementi, tutti ciechi: Diego Guarneri, Salvatore Petralito, Antonio Petruzzella, Diego Portannese e Salvatore Alaimo. Il gruppo musicale effettuava le sue “prove d’orchestra” sulla gradinata panoramica della Chiesa Madre di Canicattì e sempre lì aspettava che qualcuno lo chiamasse in occasione delle novene natalizie e in altre ricorrenze. Nel trigesimo della morte di un proprio caro le famiglie che se lo potevano permettere ”noleggiavano” uno o più orbi per declamare davanti all’abitazione del caro estinto le sue virtù.
Un’usanza documentata da una “Conferma vescovile” del 1756: “Alcuni poverelli erano autorizzati a suonare pifferi, cornamuse e violini dietro le processioni e nelle chiese durante le cerimonie nuziali o di battesimo, ricambiati dai fedeli con qualche piccola ricompensa. Ne profittavano soprattutto i ciechi”.
Agostino La Lomia ha narrato un curioso episodio capitato all’orchestra di Sariddu e che si concluse, ovviamente, con botte da orbi.
Un tempo le spese del battesimo erano sostenute dal padrino. Un giorno cumpari Micheli Pirricuni si recò in Matrice per un battesimo ed invitò l’orchestra dei sei orbi ad esibirsi; al termine della cerimonia il facoltoso padrino regalò, oltre ai regolamentari due soldi, un tredicesimo. Masciu Sariddu fece il furbo e trattenne per sé il tredicesimo soldo ma del fatto si erano accorti, non si capisce come, gli altri orbi e in particolare il più aitante del gruppo, mastru Turiddu Petralitu, che menò sul malcapitato direttore d’orchestra botte, da orbi appunto. Solo l’intervento dell’arciprete fece tornare la calma col regalo di tre grani; col tredicesimo soldo comprarono “una cucchia di pane duro” (cioè una forma di pane di ottocento grammi), con i tre grani un litro e mezzo di vino e tutto finì in gloria.
Nell’estate del 1968, il barone Agostino La Lomia, in occasione della Rassegna del cinema di Taormina, si presentò nel lussuoso albergo “San Domenico” portando in mano la gabbia in cui era rinchiuso il merlo chiamato don Turiddu Capra. Voleva assolutamente una camera con bagno, ma non ve ne era disponibilità; il barone protestò vivacemente col direttore dell’albergo, minacciando di andarsene: “Don Turiddu è un merlo acquatico; senza bagno si innervosisce”. La faccenda fu risolta ma per quella sera il merlo rimase di umore nero e non volle farsi avvicinare da giornalisti e fotoreporter. La presenza del merlo in albergo era segnalata, come sempre, dall’insegna del Ducato di Santa Flavia: una capra nera su sfondo d’oro.
Il barone aveva col Duca di Santa Flavia un rapporto particolare, anche più stretto, se possibile, di quello che lo legava a Sua Eccellenza Paolo Annarino e Gatto, che infatti era “soltanto” Referendario e quindi molto più giù nella gerarchia nobiliare. Il gatto non aveva nemmeno il biglietto da visita, mentre il merlo ne aveva addirittura tre che esibiva a seconda dell’importanza degli incontri. Nel più semplice erano scritti solo nome e cognome: Turiddu Capra Merlo Acquatico; nel secondo c’era una indicazione più importante: Il Duca di Santa Flavia; nel terzo, infine, le generalità complete: Don Turiddu Capra, Merlo Acquatico, Duca di Santa Flavia, via Cattaneo, 20, tel. 51569, Canicattì.
Gatto, merlo e barone, un trio inseparabile, erano fotografati nei locali alla moda e nelle manifestazioni culturali di Taormina, Venezia e altre città. Eppure all’inizio, allorché il gatto, rimasto solo e “privo di ogni sostentamento” dopo la morte del suo padrone padre Meli, aveva trovato rifugio nel Palazzo dei La Lomia, fu assai difficile stabilire rapporti di buon vicinato col merlo. Ricordava il barone: “Paolo era d’indole buona e riuscì subito a trovare un’intesa con quel tipaccio borioso e testardo che è don Turiddu Capra”.
Il Duca di Santa Flavia riceveva regolare corrispondenza al suo indirizzo di via Cattaneo, 20. Particolarmente toccante una lettera inviata dai piccoli ospiti dell’asilo infantile di Numana: “Le siamo sinceramente grati per l’offerta di lire cinquecento che si è compiaciuto erogare a favore del nostro asilo. All’espressione del nostro animo riconoscente si associa l’amministrazione dell’ente”.
In un precedente festival, sempre a Taormina, il barone aveva annunciato al direttore del “San Domenico” la sua assenza forzata : ”Non posso. Ho ospite in questi giorni il Duca di Santa Flavia”. E il direttore: “Porti anche lui… saremo onorati”. Cedendo alle insistenze, il barone, se pur con lieve ritardo (colpa gravissima per lui!), raggiunse in serata l’albergo, accolto con grande premura dal direttore: “Mi fa piacere rivederla… E il Duca?”. Un breve cenno all’autista ed ecco arrivare il Duca nella sua elegante gabbia.
Ben presto, però, il povero merlo dovette subire anche lui le restrizioni derivanti dalle sempre più gravi difficoltà economiche del suo padrone che, nato ricco, si rifiutava di vivere da povero. Negli ultimi festival del cinema cui partecipò il barone, il direttore del “San Domenico”, Freddi Martini, gli affittava una stanzetta che dava sul giardino interno dell’ex convento; la messinscena era salva ma il prezzo dimezzato.
A fine agosto 1969, in occasione della Mostra del cinema di Venezia, Agostino La Lomia giunse all’hotel “Danieli” solo, senza l’immancabile merlo: “L’ho lasciato a casa in Sicilia perché, poveretto, era tanto triste per la morte del gatto, il suo più caro amico; il Duca di Santa Flavia vuole rispettare ancora per un po’ il lutto e non ha alcuna voglia di divertirsi”.
Sua Eccellenza il Referendario Paolo Annarino e Gatto era morto, infatti, il cinque agosto precedente a Canicattì, investito da mano pirata, proprio davanti alla residenza di famiglia, in via Cattaneo.
GAETANO AUGELLO
Nessun commento:
Posta un commento