GIOVANNI TESE', Cittadinanza, Cultura e Diritti Umani

SOMMARIO: 1. Introduzione 2. La cittadinanza: principi e criteri generali 3. La legislazione italiana sulla cittadinanza 4. Principali disposizioni di legge sull’acquisto e perdita della cittadinanza vigenti in alcuni Stati dell’Europa e del Mondo 5. Proposte concernenti modifiche e integrazioni alle vigenti disposizioni normative italiane in materia di cittadinanza 6. Cultura e cittadinanza 7. Diritti umani e cittadinanza 8. Conclusioni





1. Introduzione

“Essere cittadini: quale jus?” è il tema proposto per questo nostro incontro con i giovani studenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado di Canicattì e del suo hinterland.

Oggi è con noi, infatti, non soltanto il presente ma anche il futuro di una considerevole parte attiva di questo estremo lembo d’Europa, di questa nostra meravigliosa Sicilia crocevia di mille culture.

“Cittadinanza, cultura e diritti umani” è il tema che tratterò in particolare. Devo dire subito che mi è stato affidato un compito davvero arduo. Sono consapevole, infatti, che voler trattare esaustivamente, in questa sede, i temi proposti è impresa sicuramente difficile.

Compatibilmente con la tirannia del tempo cercherò, pertanto, di contribuire a introdurre qualche elemento volto a far un poco di chiarezza, almeno questo è il mio intendimento, nella vasta e complessa problematica in materia di cittadinanza; problematica che non può prescindere dai diritti culturali e ancor prima dai diritti fondamentali e universali della persona umana.

Fare chiarezza su alcuni aspetti ed avviare al tempo stesso una seria riflessione sulle tematiche in esame – poste, oggi più che mai, da più parti al centro del dibattito giuridico, culturale, sociale, politico e religioso a livello planetario – sono, pertanto, gli obiettivi che intendo perseguire, cercando di coniugare, per quanto possibile, l’esigenza di sintesi con quella di non penalizzare gli aspetti più significativi.



2. La cittadinanza: principi e criteri generali.

Preliminarmente mi sembra necessario, per rendere più comprensibili le cose che vi dirò, fare alcune doverose premesse semplificando al massimo tuttavia le problematicità inerenti alle tematiche che ci occupano.

Secondo le concezioni prevalentemente accolte, e purtroppo riconducibili a una pervicace idea di Stato fortemente nazionale e sovrano, perché uno Stato esista giuridicamente deve possedere determinate caratteristiche e più precisamente quelle che, in linea di massima, furono stabilite con il primo articolo del trattato firmato a Montevideo (Uruguay) il 26 dicembre 1933 in occasione della VII Conferenza internazionale degli Stati americani.

Gli Stati partecipanti alla Conferenza, anche se non unanimemente, convennero che uno Stato perché possa essere considerato Sovrano deve avere: una popolazione permanente, un territorio definito, unpotere di Governo esclusivo e una capacità di entrare in relazione con gli altri Stati con il conseguente riconoscimento a livello internazionale. Va precisato, tuttavia, che specie quest’ultima regola non sempre è stata osservata nella considerazione che l’esistenza politica di uno Stato non è necessariamente condizionata dal riconoscimento di tutti gli altri Stati.

Anche dal punto di vista dottrinale va ricordato che gli Stati, stante le prevalenti concezioni contemporanee afferenti alla dottrina dello Stato, presentano tre elementi essenziali o costitutivi: il territorio che rappresenta l’elemento spaziale e la storicità; la sovranità ossia l’elemento organizzativo e l’eticità; il popolo che costituisce l’elemento personale, umano o più propriamente la socialità.

Va precisato subito, però, che tra gli elementi anzidetti la vera anima dello Stato è la sua socialità ossia l’elemento personale, l’elemento umano e quindi il popolo.

Storicità ed eticità conseguentemente sono soltanto modi di essere della socialità.

L’elemento umano, invece, in relazione agli altri elementi costitutivi dello Stato-Istituzione acquista una precisa qualificazione giuridica e, prima di tutto, un suo nomen jurische è quello di popolo.

Il popolo rappresenta, pertanto, l’elemento costitutivo per eccellenza, anzi necessario ed indispensabile perché gli Stati esistano. Non ci può essere Stato, quindi, senza il popolo.

Ne consegue che sotto l’aspetto squisitamente giuridico per popolo deve intendersi l’insieme delle persone legate allo Stato da un particolare rapporto giuridico ossia il rapporto di “cittadinanza” ed alle quali l’ordinamento giuridico statale attribuisce lo “status di cittadini”.

A questo punto è inevitabile porsi alcune domande. Cos’è e come possiamo definire la cittadinanza? Come si acquista? Si può perdere? Si può riacquistare? Si può esserne privati? Che cosa comporta essere cittadini? Esistono persone al mondo che non hanno lo status di cittadino? Esiste una relazione tra cittadinanza e cultura e tra cittadinanza e diritti fondamentali e universali dell’uomo e del cittadino? Chi stabilisce le regole e quindi: quale jus?

È proprio a queste domande, seppur necessariamente in modo semplice e conseguentemente non esaustivo, cercherò di dare qualche risposta che mi auguro comunque possa contribuire a chiarire qualche dubbio proprio in un periodo nel quale sul tema la confusione, il pressapochismo, le strumentalizzazioni, la demagogia e le mistificazioni pare che regnino sovrani.

Cos’è e come possiamo definire allora la cittadinanza? Che cosa comporta essere cittadini?

Da quanto già detto è agevole dedurre, tout court, che la cittadinanza – categoria storico-politica che si contrappone alla condizione di sudditanza – è la relazione giuridica che intercorre tra una persona e lo Stato cioè il vincolo di appartenenza di una persona a un determinato Stato. Da tale vincolo che costituisce il più importante status giuridico – espressione quest’ultima usata nel linguaggio politico-giuridico per esprimere la condizione giuridica di una persona all’interno di una struttura sociale – ne discende il godimento di precisi diritti e l’assolvimento di precisi doveri.

Nel nostro ordinamento giuridico i diritti e doveri dei cittadini sono riconosciuti e previsti dalla Costituzione Repubblicana.

Tra i diritti riconosciuti ai cittadini, sia ai singoli e sia alle organizzazioni e formazioni sociali di cui fanno parte, vanno sicuramente annoverati: i diritti civili che comprendono, tra gli altri,  l’inviolabilità delle libertà personali, l’inviolabilità del domicilio, la libertà, la segretezza e l’inviolabilità della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la libertà di circolare e di soggiornare, la libertà di riunirsi e associarsi lecitamente, la libertà professare la propria fede religiosa e di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi forma, l’uguaglianza di fronte alla legge e la presunzione d’innocenza; i diritti politici che riguardano sia l’elettorato attivo (poter eleggere, senza discriminazioni di sorta, i propri rappresentanti nei consessi elettivi), sia l’elettorato passivo (potersi candidare ed essere eletti in condizioni di uguaglianza alle cariche elettive), la possibilità di accedere agli uffici pubblici sempre in condizioni di uguaglianza e senza discriminazioni; i diritti economici quali il diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare alle lavoratrici, ai lavoratori e alle loro famiglie un’esistenza libera e dignitosa, il diritto alla formazione e all’elevazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, il diritto di sciopero, la libertà di iniziative economiche private compatibili con la sicurezza e l’utilità sociale nonché con la tutela e il rispetto della dignità umana; i diritti sociali vecchi e nuovi che implicano, a titolo esemplificativo, i diritti alla protezione sociale contro la malattia, la vecchiaia, la disoccupazione, il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione, all’informazione, all’inclusione, all’abitazione, a “togliersi” dalla fame, a mangiar sano, a bere acqua potabile, a respirare aria pura, a vivere in un ambiente salubre, il diritto all’acqua e ai beni comuni, il diritto alla socializzazione e alla qualità della vita dei disabili e degli altri membri della famiglia, il diritto dei minori ad avere una famiglia, il diritto di accesso ad internet, all’ascolto, all’empatia, al riconoscimento della Persona. In ogni caso ai cittadini non possono non essere riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità.

Tra i doveri ricordiamo primi fra tutti i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale nonché quelli di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi, l’obbligo di difendere lo Stato prestando il servizio militare nei limiti e modi stabiliti dalla legge e di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.

Il possesso della cittadinanza negli ordinamenti contemporanei, pertanto, investe la sfera giuridica sia pubblica e sia privata. La prima, quella pubblica, perché solo i cittadini sono titolari dei diritti politici e in generale dei diritti pubblici soggettivi. La seconda, quella privata, perché lostatusdi cittadino è criterio imprescindibile per l’applicazione della legge statale ai rapporti giuridici della persona.

Di contro coloro i quali sono privi della “cittadinanza”, gli stranieri e gli apolidi, invece e purtroppo, restano esclusi dal godimento di alcuni diritti sostanziali e delle protezioni diplomatiche accordate solo ai cittadini.

Non si può fare a meno di evidenziare che, a differenza del passato, la distinzione tra cittadini e stranieri si è sempre più affievolita poiché a questi ultimi è riconosciuto, anche se limitatamente per alcuni, lo stesso godimento dei diritti civili accordato ai cittadini.

In Italia agli stranieri vengono riconosciuti numerosi diritti e solo a titolo esemplificativo ricordo il diritto all’unità familiare e al ricongiungimento, il diritto all’alloggio, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, la tutela dei minori e delle donne nonché la tutela contro ogni atto di discriminazione.

A stabilire le regole sulla cittadinanza ed ovviamente quelle concernenti l’acquisto, la perdita e il riacquisto in linea di massima sono i singoli Stati in virtù della loro sovranità.

Ogni Stato, pertanto, determina con proprie leggi le disposizioni in materia di cittadinanza.

Va rilevato che in tema di cittadinanza negli ultimi decenni sono stati posti in essere da parte della comunità internazionale non pochi tentativi di pervenire ad una auspicabile disciplina quanto più uniforme possibile. Fino ad ora, però, con scarsi risultati.

Purtroppo, in ogni parte del mondo e in Europa in particolare, cominciano ad affermarsi gruppi e movimenti di populisti e sovranisti.

I conflitti in materia di cittadinanza sono sempre, quindi, rimessi alle legislazioni esclusive dei singoli Stati.

Non possiamo non auspicare, anche in questa sede, che almeno gli Stati aderenti all’Unione Europea possano pervenire in tempi rapidi a una disciplina organica e comune.

I problemi afferenti alla cittadinanza, infatti, non sono e non possono essere soltanto materia di rilevanza interna di singoli Stati bensì rappresentano una delicata materia con rilevanza esterna che incide anche e profondamente sulla dignità e sui diritti universali e fondamentali della persona umana.

In quest’ottica gli Stati non possono e non devono chiudersi nei loro egoismi nazionali; occorre che comincino responsabilmente e concretamente a guardare e a pensare all’umanità nella sua universalità.

Ciò detto, senza addentrarmi nelle problematiche di natura filosofica, sociale, economica, antropologica e politica legate alla cittadinanza, mi limiterò ad evidenziare alcuni aspetti essenziali di carattere squisitamente tecnico-giuridico.

La gran parte delle legislazioni vigenti prevede come criterio generale e principale che la cittadinanza può essere originaria cioè acquistata o al momento della nascita oppure derivata ossia dopo la nascita allorquando si verificano particolari eventi o in forza di appositi atti di concessione.

Per quanto attiene il riconoscimento della cittadinanza al momento della nascita gli ordinamenti giuridici dei vari Stati adottano, in linea di massima, due criteri. Il primo tiene conto della discendenza ed è definitojus sanguinis jure sanguinis vale a dire per diritto di sangue. Il secondo, invece, prende in considerazione il luogo in cui si è nati ed è denominato jus solijure loci cioè diritto di suolo o di luogo.

È del tutto ovvio che l’adozione prevalente o principale dell’uno o dell’altro criterio non è casuale bensì presuppone a fondamento della scelta l’adozione di una concezione quantomeno storica e culturale o talvolta anche ideologica.

Si ha applicazione del criterio dello jus sanguinis jure sanguinis, criterio riconducibile prevalentemente alla scuola tedesca, quando il riconoscimento della cittadinanza è basato sul sangue, sull’etnia, sulla lingua. Secondo questa concezione l’acquisto della cittadinanza si fa dipendere dalla filiazione o dalla discendenza, ossia dalla cittadinanza posseduta dai genitori, o dal padre o dalla madre o da entrambi. I figli, in tal modo, acquistano la stessa cittadinanza dei genitori ovvero di uno di essi.

Si ha, invece, applicazione del principio dello jus soli, riconducibile al criterio prevalentemente sostenuto dalla scuola francese, quando l’acquisto dello statusdi cittadino si fa dipendere dalla nascita di una persona nel territorio dello Stato. Per effetto di questo principio diventa cittadino di un determinato Stato chi nasce sul territorio di quello Stato e ciò a prescindere dalla discendenza e quindi dalla cittadinanza dei genitori.

È di tutta evidenza che la scelta dell’uno o dell’altro criterio comporta effetti diversi sotto ogni profilo.

Ove si dovesse ritenere giusto perseguire rigidamente l’obiettivo di salvaguardare e tutelare l’omogeneità o l’identità nazionale esistente è chiaro che il criterio principale da adottare ai fini del riconoscimento della cittadinanza non può che essere quello dello jus sanguinis.

Ove, invece, si volesse consentire il formarsi di una collettività popolare multiculturale o meglio interculturale, allora il criterio prevalente adottabile ben può essere quello dello jus soli.

Le diverse legislazioni, nel tempo, hanno fatto registrare negli Stati europei una prevalenza del criterio dello jus sanguinis,mentre negli Stati del Nord e del Sud America ed in Australia, Paesi con bassi livelli di natalità e al tempo stesso di altissimi flussi di immigrazione, il criterio prevalente è stato quello dello jus soli.

La tendenza oggi è alquanto diversa. Sono i Paesi europei, infatti, che registrano da un canto una contrazione considerevole delle natalità e dall’altro un aumento in progressione geometrica di flussi migratori.

Non può non evidenziarsi, tuttavia, che i principi appena delineati non sono così rigidi come prima facie si potrebbe pensare.

Invero ogni Stato è portato ad adottare discipline legislative in materia alquanto elastiche.

Va rilevato, peraltro, che i due criteri innanzi delineati se da un canto possono essere considerati alternativi dall’altro ben possono coesistere. In moltissimi ordinamenti giuridici, difatti, troviamo adottati entrambi i criteri con la differenza che se un criterio viene adottato in linea principale l’altro sarà adottato in linea subordinata, anche se con le limitazioni che ogni Stato potrà ritenere opportune nei vari momenti storici e tenuto conto delle diverse situazioni politiche e socio-economiche.

Oltre al principio legato alla nascita, gli Stati possono anche prevedere modi di acquisto della cittadinanza in momenti successivi alla nascita stessa e ciò per il verificarsi di situazioni che di norma sono espressamente previste dalle diverse legislazioni in materia. Si hanno, pertanto, altri principi e criteri che consentono l’acquisto della cittadinanza di uno Stato.

Innanzi tutto va preso in considerazione il criterio della juris communicatio (“rendere comune quello che si ha”) che molti Stati adottano per assicurare l’unità dei nuclei familiari. In virtù di questo principio, infatti, si ha la trasmissione all’interno della famiglia, da un componente all’altro, di un diritto acquisito per matrimonio, per adozione, per riconoscimento o per dichiarazione giudiziale di filiazione. Conseguentemente per effetto di tale criterio il coniuge acquista la cittadinanza dell’altro o il figlio adottivo quella dei genitori adottanti.

Gli Stati possono prevedere la concessione della cittadinanza anche a seguito di benefici di legge, di disposizioni previste dai trattati internazionali, (Trattati di pace) nonché per l’intervento diatti di concessione da parte dello Statoal verificarsi di particolari condizioni o per situazioni eccezionali.

Tra ibenefici di legge e altre modalità di acquisto della cittadinanza ricordiamo ancora tutti i casi di “naturalizzazione”che comportano sempre una valutazione discrezionale da parte degli organi statali competenti, lo “jus electionis” ossia il diritto di scelta della cittadinanza attribuito allo straniero divenuto maggiorenne in possesso dei requisiti previsti dalla legge e il cosiddetto “jus culturae” che consente l’acquisto della cittadinanza allo straniero che dimostri di possedere un certo grado d’istruzione e di cultura del Paese di cui chiede la cittadinanza.

L’atto di acquisizione della cittadinanza da parte di una persona straniera più diffuso è il processo di naturalizzazione. Attraverso questo istituto giuridico, moltissimi Stati consentono di acquisire lo “status” di cittadini a quelle persone straniere che ne fanno richiesta e possiedono i requisiti previsti dalle leggi.

Si evidenzia, altresì, che anche in Europa comincia ad affermarsi una nuova figura di jus soli, chiamata “jus soli temperato” che prevede l’acquisizione automatica della cittadinanza dello Stato di nascita per i figli di cittadini stranieri purché i genitori o uno di essi risieda legalmente nello Stato di nascita del figlio da un certo numero di anni.

A fronte di questa ampia casistica tuttavia non si può fare a meno di rilevare che le legislazioni sulla cittadinanza di quasi tutti gli Stati a livello mondiale non possono essere complete e organiche per cui è possibile che si possano verificare casi di doppia cittadinanza ovvero di apolidia.

Giova ricordare ancora che la cittadinanza può anche essere perduta e ciò sia per volontà del cittadino sia per statuizione di legge.

Sul punto, però, va detto che la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, con le statuizioni contenute all’articolo 15, è stata precisa e perentoria: «Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza».

Ciò nonostante, ancora oggi nel mondo assistiamo a centinaia di migliaia di casi di apolidia, persone senza cittadinanza o volendo utilizzare un linguaggio senza edulcorazione alcuna: scarti dell’umanità, figli di nessuno.

3. La legislazione italiana sulla cittadinanza.

In Italia le disposizioni sulla cittadinanza, fino al 1992, erano contenute nella legge n. 555 del 13 giugno 1912, più volte modificata ed integrata. Oggi la principale fonte normativa nell’ordinamento giuridico italiano in materia di cittadinanza è rappresentata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992 (Nuove norme sulla cittadinanza) e varata appena due giorni prima della firma del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) che ha sancito la cittadinanza europea per i cittadini degli Stati aderenti all’Unione Europea.

Il legislatore del 1992 con questa legge ha inteso disciplinare le modalità con cui si può acquistare e perdere lo statusdi cittadini italiani.

Per quanto riguarda l’acquisto dello “status”di cittadino sono state contemplate diverse ipotesi.

La prima prevede l’acquisto della cittadinanza per nascita. L’articolo 1 dispone espressamente che: «È cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono. È considerato cittadino per nascita il figlio d’ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza».

Con la legge in esame (n. 91 del 1992) sono stati sanciti anche alcuni principi e criteri fondamentali.

Innanzi tutto, dalla lettura delle norme in essa contenute, emerge che in via principale è stato accolto il principio del cosiddetto jus sanguinissecondo cui è cittadino italiano chi nasce in qualsiasi parte del mondo da uno o da entrambi i genitori italiani e quindi per discendenza.

Seppur in linea subordinata, il legislatore italiano ha accolto nel nostro ordinamento giuridico anche il principio del cosiddetto jus soli puro secondo cui è cittadino italiano chi nasce nel territorio italiano; solo, però, se i genitori sono ignoti o apolidi o se il figlio non abbia acquistato la cittadinanza dei genitori secondo la legge del loro Stato. Per effetto del medesimo principio è considerato cittadino per nascita il figlio d’ignoti trovato nel territorio della Repubblica a condizione che non sia provato il possesso di altra cittadinanza.

Sempre secondo la legge che ci occupa possono acquistare la cittadinanza italiana “per estensione”: a) i figli riconosciuti o dichiarati che siano minori d’età, se i figli sono maggiorenni potranno dichiarare di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione purché tale elezione sia resa entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione, nonché i figli per i quali la paternità o la maternità non può essere dichiarata a condizione, però, che sia stato riconosciuto giudizialmente il loro diritto al mantenimento o agli alimenti; b) i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza; c) il minore straniero adottato; d) il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano (iure matrimoni) trascorsi i termini previsti dalla legge e più precisamente quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio a condizione che nel frattempo il matrimonio non sia stato annullato o non sia intervenuta separazione legale o cessazione degli effetti civili del matrimonio; e) il figlio o la figlia minorenne di un genitore che acquista la cittadinanza italiana.

Per effetto delle disposizioni previste dalla legge superiormente richiamata possono chiedere la cittadinanza italiana: a) coloro che nascono in Italia da genitori stranieri e qui crescono senza interruzioni fino alla maggiore età purché ne facciano richiesta entro un anno dal diciottesimo compleanno; b) i discendenti stranieri di un genitore o nonno che sia stato cittadino italiano per nascita, purché risiedano legalmente in Italia da almeno due anni al compimento dei diciotto anni, o purché siano dipendenti pubblici dello Stato italiano anche all’estero; c) gli stranieri residenti legalmente in Italia da almeno dieci anni se extracomunitari, cinque se apolidi e quattro se cittadini dell’Unione Europea e qualora dimostrino di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere subito condanne penali e che non sussistano ragioni ostative per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica; d) chi vive in Italia da almeno cinque anni e ha la cittadinanza di uno degli Stati dell’Unione Europea.

Quando ricorrono le condizioni previste dalla legge, la cittadinanza italiana può essere concessa per decreto dal Presidente della Repubblica.

Sempre la legge vigente in Italia e più volte richiamata prevede e disciplina i casi per l’acquisto, la perdita e il riacquisto della cittadinanza.

Giova preliminarmente ricordare sul punto che la Costituzione Italiana all’articolo 22 prevede espressamente che: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome».

La ratio di questa disposizione va inquadrata anche nell’ottica di garantire i diritti di cittadinanza a tutti i cittadini e al tempo stesso finalizzata a evitare abusi e soprusi come quelli perpetrati dal fascismo in tema di cittadinanza, capacità giuridica e diritto al nome in danno di tantissimi cittadini italiani che non vollero piegarsi alla dittatura.

Al riguardo ci sembra doveroso ricordare anche se solo a titolo esemplificativo sia la legge 108 del 1926 con la quale il fascismo privò della cittadinanza italiana tutti gli antifascisti in esilio, sia il Regio decreto-legge n. 1728 del 1938 con il quale si stabilirono gravissime limitazioni sia alla cittadinanza sia alla capacità giuridica nei confronti di cittadini italiani di«razza ebraica».

Oggi per effetto delle vigenti disposizioni di legge la decadenza dalla cittadinanza italiana viene limitata soltanto a ipotesi tassative e più precisamente: a) quando il cittadino abbia accettato un impiego pubblico o una carica pubblica da parte di uno Stato estero o da un ente internazionale cui l’Italia non partecipa; b) quando il cittadino abbia prestato servizio militare per uno Stato estero e non ottemperi all’intimazione rivoltagli dal Governo italiano di abbandonare la carica, l’impiego o il servizio militare; c) quando il cittadino, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico o una carica pubblica o abbia prestato servizio militare per quello Stato senza esservi obbligato, ovvero ne abbia acquistato la cittadinanza volontariamente.

Al di fuori delle suddette ipotesi la cittadinanza italiana si può perdere solo per rinunzia espressa.

Nel caso di perdita della cittadinanza italiana, è prevista, comunque, la possibilità di poterla riacquistare per i casi e alle condizioni previsti dalla legge. L’articolo 13 della legge n. 91 del 1992 dispone, infatti, che chi ha perduto la cittadinanza la riacquista: «a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara previamente di volerla riacquistare; b) se, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, dichiara di volerla riacquistare; c) se dichiara di volerla riacquistare ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica; d) dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine; e) se, avendola perduta per non aver ottemperato all’intimazione di abbandonare l’impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, sempre che abbia stabilito la residenza da almeno due anni nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l’impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l’intimazione di cui all’articolo 12, comma 1 e 2».

Al riguardo, anche in questa sede, credo che sia giusto evidenziare una ferita straziante e ancora aperta per molti nostri connazionali residenti all’estero che furono costretti ad acquistare per ragioni di lavoro la cittadinanza del Paese ospitante, specie negli U.S.A., e che oggi intendono riacquistare la cittadinanza italiana ma ne vengono impediti dalla nostra legislazione poiché sul punto è alquanto restrittiva.

4.Principali disposizioni di legge sull’acquisto e perdita della cittadinanza vigenti in alcuni Stati dell’Europa e del Mondo. 

Al fine di potere offrire un quadro di riferimento quanto più organico e completo possibile ritengo utile fare riferimento alle disposizioni normative in materia di cittadinanza vigenti in alcuni Stati europei e del mondo e al tempo stesso dedicare qualche cenno alle disposizioni poste in essere dall’Unione Europea.

Il 7 febbraio 1992 con la firma del Trattato di Maastricht, bellissima cittadina olandese, si è compiuto un notevole e concreto passo avanti verso l’unione dei popoli europei anche in tema di cittadinanza.

Abbiamo assistito  a un’autentica rivoluzione sia dal punto di vista politico e sociale, sia sotto il profilo squisitamente giuridico.

Tutti i cittadini dei Paesi aderenti all’Unione Europea, con l’entrata in vigore del Trattato richiamato, difatti, sono diventati automaticamente cittadini europei.

Sebbene in base al Trattato di Amsterdam del 1997 la cittadinanza europea non sostituisca la cittadinanza nazionale, comunque, ne rappresenta un completamento dal momento che è finalizzata a instaurare la solidarietà tra i popoli che fanno parte dell’Unione Europea nonché a favorire al tempo stesso il processo di integrazione politica tra tutti gli Stati membri.

Da oltre un quarto di secolo, pertanto, la cittadinanza europea è la condizione giuridica propria di ogni persona appartenente a uno Stato dell’Unione Europea.

Ne consegue che tutti i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai medesimi doveri previsti dal Trattato e in particolare per effetto delle disposizioni in esso contenute: a) i cittadini europei possono circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; b) hanno il diritto di elettorato attivo e passivo sia per le elezioni comunali e sia per il Parlamento Europeo nello Stato membro ove risiedono alle medesime condizioni dei cittadini di detto Stato; c) nel caso in cui dovessero trovarsi in un Paese terzo ove lo Stato di provenienza non sia rappresentato hanno diritto di beneficiare della tutela diplomatica e consolare di qualsiasi Stato membro dell’Unione che sia invece rappresentato; d) hanno diritto di petizione al Parlamento Europeo e possono adire il Mediatore Europeo.

È ovvio che tali diritti, sempre per effetto delle disposizioni previste dal Trattato, siano suscettibili di ampliamento e di continua integrazione.

Una tappa particolarmente significativa in tema di cittadinanza europea è stata raggiunta con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeaproclamata solennemente prima a Nizza il 7 dicembre 2000 e successivamente a Strasburgo, il 12 dicembre 2007, dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione dell’UE.

La Carta di Nizza, oggi giuridicamente vincolante per gli Stati membri per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha dedicato alla “Cittadinanza”, quale valore fondamentale dell’Unione, gli articoli 39- 46 del Titolo V.

Nonostante i notevoli passi avanti fatti dall’Unione Europea in materia di cittadinanza, ancora oggi i Paesi membri hanno legislazioni sostanzialmente differenti.

Di seguito si ritiene utile evidenziare qualche aspetto maggiormente significativo della legislazione in materia di cittadinanza di alcuni Stati europei e del mondo.

La Francia, terra d’immigrazione da generazioni, ha una lunga tradizione politica e giuridica in tema di cittadinanza.

Il legislatore francese ai fini dell’acquisizione della cittadinanza ha adottato in linea principale tanto il criterio dello jure sanguinisquanto quello dello jure loci. A queste modalità vanno aggiunte quelle “per matrimonio”e quella “per naturalizzazione”.

Per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza secondo il criterio dello jus soli, adottato dal legislatore francese ab immemorabili, sono previste diverse ipotesi.

La legge francese prevede, infatti, che un bambino nato in Francia da un genitore straniero a sua volta nato in Francia, viene considerato francese di nascita; chi, invece, nasce sul territorio francese da genitori stranieri otterrà la cittadinanza al compimento della maggiore età se a quella data la sua residenza abituale è in Francia o se ha vissuto nel Paese per un periodo continuo o discontinuo di almeno cinque anni a partire dagli undici anni di età. È prevista anche l’ipotesi secondo cui i genitori possono richiedere la concessione della cittadinanza francese in favore dei figli che abbiano compiuto i tredici anni e non hanno superato i sedici e da tale età fino ai diciotto anni può esser richiesta direttamente dall’interessato a condizione che abbia avuto la residenza in Francia per il tempo stabilito dalle disposizioni di legge.

Con la legge del 26 novembre 2003 il legislatore francese, introducendo lo jus culturae, ha stabilito che lo straniero che intende ottenere la cittadinanza francese deve dimostrare la sua «assimilazione alla comunità francese» attraverso colloqui individuali che tengano conto del suo livello di studi. Dovrà dimostrare in ogni caso la sua conoscenza della lingua, dei diritti e doveri conferiti dalla cittadinanza e dei principi e valori fondamentali della Repubblica Francese.

L’attuale legislazione tedesca sulla cittadinanza, entrata in vigore il primo gennaio del 2000, invece, è riconducibile ad uno jus soli temperato. Dalla data di entrata in vigore di detta legge chi nasce in Germania,anche se entrambi i genitori sono stranieri,è automaticamente cittadino tedesco a condizione che almeno uno dei genitori risieda regolarmente nel Paese da almeno otto anni ovvero da almeno tre anni purché in possesso di un regolare permesso di soggiorno permanente. Il minore che ha acquisito la cittadinanza in questo modo, tra i diciotto e i ventitré anni di età sarà chiamato a scegliere tra la cittadinanza tedesca o quella originaria dei genitori.

Per quanto riguarda la naturalizzazione, a chi voglia acquisire la cittadinanza tedesca è richiesto, oltre agli otto anni di residenza regolare, di: a) riconoscersi nella Costituzione della Germania; b) di essere in grado di sostenere sé ed i familiari che hanno diritto ad essere sostenuti senza dovere far ricorso al welfare; c) di non aver subito condanne penali, eccezion fatta per reati di lieve entità; d) di dimostrare una sufficiente conoscenza della lingua tedesca.

Anche in Gran Bretagna la legislazione sulla cittadinanza non prevede come criterio principale lo jus soli puro sin dalla nascita. Tuttavia l’accesso alla cittadinanza è facilitato. È automaticamente cittadino del Regno Unito, infatti, chi nasce sul territorio britannico anche da un solo genitore già in possesso della cittadinanza britannica o che è legalmente residente nel Paese da almeno tre anni.

Il procedimento per ottenere la cittadinanza britannica è diverso a seconda che si abbia la maggiore età o meno.

Gli adulti possono naturalizzarsi dopo aver ottenuto il certificato di permanentresidence.

La cittadinanza si acquisisce anche per matrimonio con un cittadino britannico purché siano passati almeno tre anni dal matrimonio.

In Irlanda, così come in Italia, vige il criterio principale dello jus sanguinis. Se però un bambino nasce da genitori di cui almeno uno risiede nel Paese regolarmente, quindi con un legale permesso di soggiorno, da tre anni prima della sua nascita, allora ottiene immediatamente la cittadinanza irlandese.

In Spagna, seguendo il criterio dello jus sanguinis, sono considerati cittadini spagnoli i figli nati da padre o madre spagnoli.

Sono considerati cittadini spagnoli, secondo il criterio dello jus soli, anche coloro i quali sono nati in Spagna da genitori stranieri se almeno uno di essi è nato in Spagna, nonché i nati in Spagna da genitori stranieri i cui genitori siano apolidi o nel caso in cui la legislazione dei Paesi di cittadinanza di entrambi i genitori non assegni al figlio la cittadinanza.

Ottengono la cittadinanza spagnola anche i bambini nati in Spagna dei quali non si conosce l’identità di nessuno dei genitori.

Acquistano la cittadinanza spagnola anche i minori di diciotto anni adottati da un cittadino spagnolo. Se l’adottato ha più di diciotto anni, invece, potrà scegliere la cittadinanza spagnola o di origine entro i due anni a decorrere dalla data di formalizzazione dell’adozione.

Secondo la legislazione spagnola la procedura di naturalizzazione presuppone la residenza per un periodo di dieci anni e la rinuncia alla cittadinanza precedente. 

Per alcuni soggetti il tempo di residenza in Spagna è sensibilmente ridotto: a) cinque anni per i rifugiati; b) due anni per i cittadini dell’America Latina e le persone originarie di Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale e Portogallo.

In Belgio la cittadinanza si ottiene automaticamente se si è nati sul territorio nazionale, ma solo dopo aver compiuto i diciotto anni di età che sono ridotti a dodici se i genitori sono residenti in Belgio da almeno dieci anni.

Per quanto riguarda i Paesi Bassi, in base alla legge del 2003, la cittadinanza è prevista non solo per le persone nate in Olanda ma anche per quelle che vi risiedono dall’età di quattro anni.

In Danimarca, ove è previsto anche lo jus culturae, la concessione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone per i richiedenti nove anni di residenza nel territorio danese e il superamento di un esame avente ad oggetto la lingua, la storia e la struttura sociale e politica del Paese.

La legislazione greca prevede che i figli di immigrati acquisiscono la cittadinanza se i genitori sono residenti in Grecia da almeno cinque anni.

In Portogallo la legge prevede il criterio dello jus soliautomatico per la terza generazione di immigrati, mentre la seconda generazione può accedere alla cittadinanza dalla nascita su espressa e formale richiesta.

In Svezia la legge sulla cittadinanza si basa sul principio dello jus sanguinis. Con la riforma varata nel 2006 è stato previsto che i minori che hanno vissuto per cinque anni in Svezia possono richiedere il riconoscimento della cittadinanza.

Per la legislazione austriaca l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione richiede almeno dieci anni di residenza in Austria.

Per quanto riguarda la legislazione sulla cittadinanza adottata negli Stati Uniti d’America va evidenziato che il criterio principale è quello dello jus soli e quindi si diventa cittadini degli Stati Uniti per il semplice fatto di essere nati sul territorio degli USA.

Il quattordicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, ratificato il 9 luglio 1868 statuisce espressamente che: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini americani e dello Stato in cui risiedono».La norma è stata ulteriormente ampliata nel 1988 con ordine presidenziale secondo cui diventa automaticamente cittadino degli USA anche chi nasce su una nave straniera che transita nelle acque territoriali statunitensi, ossia in un raggio massimo di dodici miglia marine, oppure su un aereo che sorvola il territorio americano.

Particolare rilevanza istituzionale assume il principio dello jus solianche per quanto riguarda l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America. Può esser eletto Presidente, infatti, solo chi è nato sul territorio degli Stati Uniti.

Solo per ragioni storiche e solo per non dimenticare i duri ostacoli che hanno dovuto superare in terra straniera i nostri connazionali emigrati negli Stati Uniti d’America agli inizi del secolo scorso desidero ricordare qualche disposizioni normativa posta in essere negli USA. Mi limito a ricordare il “Literacy Act”del 1917, che inibiva l’ingresso a coloro che non potevano dimostrare di saper leggere e scrivere e “L’Immigration Act”del 1921 che mirava chiaramente a privilegiare le componenti etniche tradizionali nonché la legge Johnson che costituì una drastica restrizione, su base permanente, dei flussi immigratori. Tutte leggi che rappresentarono forti fattori di disagio per tutti gli immigrati del tempo.

Per quanto riguarda le disposizioni in materia di cittadinanza vigenti nella Repubblica Federale del Brasile va evidenziato che il criterio accolto in via principale è quello dello jus solie pertanto in virtù di questo principio sono cittadini brasiliani coloro i quali nascono in territorio brasiliano.

La legge brasiliana prevede anche che possono chiedere la cittadinanza brasiliana per naturalizzazione tutti i cittadini stranieri che sono in possesso dei requisiti previsti dalla legge e contenuti nel documento chiamato “Estatuto do Estrangeiro”.

Tra i requisiti richiesti, tra gli altri, sono previsti: a) il possesso della capacità civile secondo la legge brasiliana; b) la residenza permanente in Brasile sotto la tutela del visto permanente; c)  la residenza continua sul territorio nazionale da almeno quattro anni immediatamente anteriori alla richiesta di naturalizzazione che potrà essere ridotto ad un anno nel caso in cui il richiedente dimostri di avere figli o coniuge brasiliani; d) saper leggere e scrivere in lingua portoghese; e) dimostrare l’esercizio della professione o il possesso di beni sufficienti al mantenimento della famiglia; f) l’assenza di denunce o condanne in Brasile ovvero all’estero per determinati crimini; g) godere di buona salute solo per chi risiede nel Paese da meno di due anni; h) di essere figlio di cittadini brasiliani; i) di aver prestato servizi rilevanti al Brasile.

La legge sulla cittadinanza vigente nella Repubblica Popolare Cinese prevede che la cittadinanza può essere ottenuta per nascita quando almeno uno dei genitori è cittadino cinese ovvero può essere richiesta per naturalizzazione quando il richiedente è parente prossimo di cittadini cinesi, vive in Cina o ha motivazioni legittime.

In Russia la legge del 2002 prevede che la cittadinanza si acquista alla nascita secondo il principio dello jus sanguinis e pertanto è cittadino russo, automaticamente, il figlio di cittadini.

È previsto anche il criterio dello jus soli per i casi in cui il bambino è nato in Russia da genitori non cittadini ma che comunque risiedono permanentemente in Russia ovvero se il bambino è stato trovato abbandonato in Russia e i genitori rimangono sconosciuti per più di sei mesi.

La cittadinanza russa può essere acquisita per naturalizzazione se il richiedente ha risieduto permanentemente in Russia da almeno cinque anni e dimostra di avere tenuto un comportamento conforme alle leggi, ha una fonte di reddito e parla la lingua russa.

5. Proposte concernenti modifiche e integrazioni alle vigenti disposizioni normative italiane in materia di cittadinanza.

Nel nostro Paese il tema sulla legislazione della cittadinanza è aperto e posto all’ordine del giorno. Assistiamo a un dibattito forte e non sempre equilibrato, spesso dettato da preconcetti, presunzioni, interessi politici, demagogia, irrazionalità ed emotività.

Non vi è dubbio che il tema è complesso e l’unanimità di consensi è solo un’utopia.

Non vi è altrettanto dubbio, però, che il buon senso e soprattutto il senso della storia dovrebbero prevalere.

Nel 2015 la Camera dei Deputati ha approvato la nuova proposta di legge sulla cittadinanza italiana, ora in discussione al Senato della Repubblica.

La proposta già approvata da una delle due Camere introduce due nuovi criteri rispetto a quelli previsti dalla vigente legislazione: il criterio dello jus soli temperatoe quello dello jus culturaeossia legato all’istruzione.

Secondo alcuni si tratta di criteri in contrasto con il principio dello jus sanguinis, previsto in via principale dalla legislazione italiana attualmente in vigore. Secondo altri, invece, si tratta di criteri che vanno ad integrare quelli in atto esistenti con le necessarie modifiche. Invero i due criteri anzidetti non vanno minimamente a scalfire o ad abrogare il criterio dello jus sanguinis.

E allora, vediamo di cosa si tratta.

Lo jus soli temperato, così come delineato nella proposta legge in esame, prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente cittadino italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia e quindi con regolare permesso di soggiorno permanente o di lungo periodo (da almeno cinque anni).

Da come si può dedurre agevolmente la proposta di legge che ci occupa non prevede l’introduzione di un criterio assimilabile al principio dello jus soli puro che consente l’acquisizione automatica della cittadinanza a chi nasce nel territorio di uno Stato indipendentemente dallo statusdei genitori così come avviene, per esempio, negli Stati Uniti d’America o in Brasile.

Il secondo criterio di nuova introduzione, come abbiamo già accennato, è quello del cosiddetto jus culturaesecondo cui potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro il dodicesimo anno di età che abbiano frequentato regolarmente le scuole italiane per almeno cinque anni e che abbiano superato almeno un ciclo scolastico, vale a dire le scuole elementari o medie.

Potrà chiedere la cittadinanza italiana in virtù di questo criterio anche chi è entrato in Italia non ancora maggiorenne e vi risiede da almeno sei anni, sempre che abbia frequentato un ciclo scolastico o un percorso d’istruzione professionale almeno triennale ed ottenuto un titolo di studio.

In ogni caso la proposta prevede che sia necessaria una “dichiarazione di volontà” da presentare al Comune di residenza da almeno un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale del soggetto interessato e ciò entro il compimento della maggiore età.

Queste, in breve, le novità della proposta di legge in discussione.

Ove la proposta di legge dovesse essere approvata cosa cambierebbe rispetto alla legislazione vigente?

Intanto va chiarito che lo jus soli temperatoe lo jus culturaeriguarderebbero solamente i figli minorenni di stranieri o “comunitari” muniti di regolare permesso di soggiorno di lungo periodo che risiedono e lavorano stabilmente in Italia da almeno cinque anni.

La proposta in esame non riguarderebbe in ogni caso gli stranieri o i “comunitari” irregolari, i bambini nati casualmente sul territorio italiano, le persone che rappresentano un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza del Paese e i genitori stranieri sui quali non si estenderebbe la cittadinanza acquisita dai figli.

In buona sostanza potrebbero diventare cittadini italiani, sempreché i genitori lo richiedano, soltanto i figli di stranieri nati in Italia ed a condizione che: a) i loro genitori siano in Italia regolarmente e legittimamente da lungo periodo; b) il genitore, se extracomunitario, sia munito di permesso valido e regolare da almeno cinque anni e dimostri di avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. È necessario, ancora, disporre di una casa idonea secondo i parametri stabiliti dalla legge e di superare un testdi lingua italiana.

Potrebbero diventare, si ribadisce, cittadini italiani, previa richiesta dei genitori, i figli minori di extracomunitari arrivati in Italia entro il dodicesimo anno di età che abbiano frequentato con successo e per almeno cinque anni la scuola italiana, completando almeno un ciclo dell’obbligo in Italia.

Per coloro i quali arrivano in Italia tra i dodici e i diciotto anni la condizione necessaria minima per ottenere la cittadinanza italiana, come già detto, sarebbe quella di aver abitato in Italia per almeno sei anni e di aver frequentato un ciclo scolastico con il conseguimento del titolo conclusivo ovvero di aver fatto un percorso di formazione professionale con il conseguimento della relativa qualifica nella scuola italiana.

Per il resto non sono previste altre modifiche sostanziali alla vigente legislazione in materia.

Secondo alcune stime, ove la proposta di legge dovesse essere approvata dal Senato e diventare legge dello Stato, le nuove disposizioni potrebbero interessare circa ottocentomila persone e più precisamente seicentocinquantamila nati in Italia e centocinquantamila nati in territori extracomunitari.

La legislazione vigente prevede che i bambini figli di genitori extracomunitari nati in Italia potranno chiedere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età e solo se fino a quel momento abbiano avuto la residenza nel nostro Paese «legalmente e ininterrottamente».

Alla luce di quanto sopra, non possiamo non evidenziare che nel nostro Paese, stando la legislazione vigente, paradossalmente, è più facile che diventi cittadino italiano un adulto che abbia sempre vissuto altrove, senza legami effettivi con il territorio italiano, purché abbia avuto un nonno che sia stato cittadino italiano per nascita (il caso dei calciatori cosiddetti oriundi) e non un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri ma che abbia sempre vissuto in Italia, che parli l’italiano, che abbia frequentato la scuola italiana, che faccia il tifo sfegatato per una squadra di calcio italiana e per la nazionale, che ami l’Italia, che provi un’indicibile emozione nell’ascoltare l’Inno di Mameli e che non sappia nulla del suo Paese d’origine.

Se al primo bastano tre anni di residenza legale in Italia, il secondo deve aspettare la maggiore età e dimostrare di essere vissuto ininterrottamente in Italia dalla nascita.

È paradossale ma è così; rebus sic stantibus(stando così le cose).

6. Cultura e cittadinanza.

La cittadinanza non è come comunemente può credersi un processo automatico e avulso dal contesto storico, sociale e politico. In realtà è, o dovrebbe essere, un processo culturale umano condiviso e inclusivo che può essere favorito e alimentato dal dialogo interculturale.

Non vi è dubbio alcuno che un grande ruolo in tema di cittadinanza potrà essere esercitato dall’educazione, dalla formazione, dalla scuola e dalla cultura quale espressione peculiare dell’essere umano.

Educare alla giustizia, alla pace e alla cittadinanza glocale rappresenta uno tra i compiti più urgenti ed improcrastinabili della nostra società ed in particolar modo della scuola.

Oggi viviamo in un mondo complesso, globalizzato sempre più interconnesso, interdipendente e soprattutto in rapido e continuo cambiamento, nel bene e nel male.

La composizione multiculturale della società di oggi è ormai un dato di fatto incontestabile e inarrestabile.

La globalizzazione e la presenza simultanea di culture diverse all’interno di una stessa comunità sociale rappresentano per alcuni un enorme problema di portata epocale, una minaccia alla coesione, alla sicurezza sociale ed economica, un pericolo per l’esercizio dei diritti dei singoli e dei gruppi.

Nulla di più errato. Invero sono ormai in tanti che facendo appello al buon senso e al discernimento cominciano a pensare che proprio la multiculturalità può rappresentare sia per il tempo presente e sia per l’avvenire una grande inestimabile risorsa; a condizione, però, che venga vissuta come fonte di reciproco arricchimento.

Il dialogo interculturale rappresenta, pertanto, specie in Europa, una delle sfide maggiori per lo sviluppo di una nuova cittadinanza plurale, sociale e democratica.

Certo è sempre più difficile realizzare rapporti equilibrati e pacifici tra culture preesistenti e nuove, tra usi e costumi non di rado in contrasto o tra interessi confliggenti quando ci si lascia coinvolgere da ondate emotive e demagogiche, spesso anti storiche, immotivate e irrazionali.

Ecco allora che educazione, formazione, cultura e scuola devono trovarsi pronte ed impegnate in una poderosa sfida per affrontare il futuro, un futuro complesso, irto di incognite e di ostacoli molti dei quali ancora invisibili e indeterminabili.

Favorire e rendere possibili la convivenza tra diversità culturali, promuovere un dialogo che favorisca la convivenza pacifica ed educare a una nuova dimensione della cittadinanza non più limitata a dimensioni egoistiche e subnazionali o esasperatamente nazionali bensì rivolta a dimensioni sempre più globali sono le sfide che ci attendono.

Siamo fortemente consapevoli che le responsabilità delle formazioni sociali in generale e della scuola in particolare sono grandi e prossimamente lo saranno sempre di più.

È proprio la scuola come comunità educante, luogo di crescita e di condivisione di valori e spazio insostituibile di convivialità delle differenze, che è chiamata non soltanto a insegnare ad apprendere ma anche e soprattutto ad insegnare ad essere.

È proprio la scuola, pertanto, che ha ed avrà il compito di sviluppare nei progetti educativi proposte di dialogo interculturale.

L’apertura alle altre culture senza perdere la propria identità e l’accoglienza dell’altro come persona umana dovranno essere gli obiettivi da perseguire.

Certo, si tratta di obiettivi ambiziosi, difficili da raggiungere in tempi brevi, ma oggi più che mai necessari. Necessari perché i giovani, avendo l’opportunità di apprendere gli strumenti indispensabili per la conoscenza di sé e degli altri, della propria e dell’altrui cultura, dei propri e degli altrui valori, del reciproco rispetto dei diritti fondamentali della persona umana e soprattutto di acquisire quelle competenze idonee per sapersi confrontare in modo aperto, dinamico e pacifico, potranno essere capaci di trasformare sempre i possibili conflitti in occasioni d’incontro pacifici, armoniosi e costruttivi.

In quest’ottica la scuola potrà assurgere ad autentico laboratorio d’intercultura autenticamente e pienamente vissuta per formare i cittadini di domani, veri cittadini di un mondo nuovo, umano e giusto. 

A tal riguardo un importante e insostituibile ruolo è stato ed è esercitato dal programma di mobilità studentesca dell’Unione europea attivato nel 1987 e definito con l’acronimo ERASMUS, European Community Action Scheme for the Mobility of University Students.

In quest’ottica e con questa consapevolezza il rapporto tra cittadinanza e cultura non è e non potrà essere soltanto uno tra i tanti buoni propositi da inserire tra gli obiettivi educativi bensì deve rappresentare un impegno di tutti prioritario e improcrastinabile.

7. Diritti umani e cittadinanza.

Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato e proclamato, con quarantotto voti favorevoli e otto astensioni, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, composta da un preambolo e da 30 articoli.

Pur non essendo formalmente e giuridicamente non vincolanti per gli Stati membri, le norme che compongono la Dichiarazione sono ormai considerate, sul piano sostanziale, alla stessa stregua dei principi generali del diritto internazionale e conseguentemente come tali dovrebbero essere vincolanti per tutti i soggetti di tale ordinamento.

Tra questi principi desidero evidenziare ancora una volta che la Dichiarazione ha consacrato il «diritto a una cittadinanza» per ogni persona come diritto umano fondamentale e quindi imprescindibile, imprescrittibile e irrinunciabile.

Purtroppo, in questo tormentato e complesso tempo storico che c’è dato di vivere, ma al tempo stesso straordinario e pieno di poderose ed esaltanti sfide, assistiamo, spesso con un’incredibile dose d’indifferentismo e di cinismo, a ingiustizie e atrocità perpetrate contro milioni di esseri umani che non solo sono considerati scarti dell’umanità ma sono anche privati del diritto di una “cittadinanza”, vanificando in tal modo non  quanto statuito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma soprattutto venendo meno a ogni e qualsiasi etica della responsabilità umana.

Come acutamente osservava Paul Vallely, il mondo ricco ed opulento, irresponsabilmente e con inqualificabile ipocrisia e malafede, ormai da tempo, ha assunto il ruolo del “cattivo samaritano” nei confronti della moltitudine degli affamati e degli esclusi della Terra.

Il mondo ricco, infatti, ha assunto un nuovo ruolo. Oggi i ricchi del mondo non passano sull’altro lato della strada come fecero il “sacerdote” e il “levita” della parabola evangelica (Luca, 10, 25-37).

Oggi i ricchi del mondo fanno proclami di concessioni di aiuti umanitari, fingono di voler dare sollievo a chi è nell’indigenza, a chi è considerato scarto dell’umanità, a chi lotta quotidianamente nei villaggi, nelle capanne e nelle banlieus di gran parte del mondo per infrangere le catene della miseria.

Purtroppo quel mondo ricco non riconosce, però, di aver contribuito in modo determinante a ridurre alla miseria quei feriti che gridano e invocano aiuto; purtroppo non riconosce che gli aiuti umanitari donati a questi nostri fratelli non sono altro che la minima parte di ciò che è stato loro rubato proprio da chi si atteggia e vuol far credere, con consapevole ipocrisia, di essere fonte di giustizia e carità.

Oggi il mondo non può più consentirsi di abbandonare milioni di esseri umani nella miseria e nella disperazione. Dinanzi alla sofferenza, all’umiliazione, alla dignità offesa, agli apolidi, ai perseguitati, ai sans-papiers, all’oppressione degli esseri umani, non può più esserci teoria etica che possa guardare altrove o relativizzare questi dati reali.

Occorre riscoprire quell’etica della responsabilità che per lungo tempo è stata ed è messa a tacere. Bisogna cominciare anche dal “diritto di cittadinanza”, bisogna riconoscere a ogni persona questo diritto sacrosanto introducendo nelle varie legislazioni norme idonee a restituire a ogni essere umano dignità, diritti e ovviamente correlativi doveri.

Il paradigma dei diritti umani deve essere tenuto presente per passare dalla fasepotenzialmente conflittuale della multiculturalità allo stadio dialogico della interculturalità, e ciò al fine di costruire Città a misura della persona umana e concorrere a costruire un mondo nuovo inclusivo più giusto, più umano, democratico e in pace. Un mondo in cui tutti possano essere e sentirsi cittadini con uguali diritti, non soltanto formali ma sostanziali.

Erasmo da Rotterdam, principe degli umanisti, soleva dire: “Voglio essere cittadino di tutto il mondo e non di una sola città”.

Thomas Paine «il cittadino del mondo», che spese la sua vita per l’affermazione dei diritti umani, (interessanti al riguardo i libri di Thomas Casadei, Tra ponti e rivoluzioni – G. Giappichelli Editore, Torinoe di Vincenzo Fontana, Critica a Rights of Man di Thomas Paine conun saggio di Salvatore Vaiana, Bonfirraro Editore, Barrafranca - Enna), sostenne con forza l’idea di «una cittadinanza repubblicana mondiale e senza frontiere». Idea che ancora oggi conserva e suscita un grande fascino.

Giorgio La Pira, parlamentare all’Assemblea Costituente, deputato, sindaco di Firenze, “un siciliano cittadino del mondo” ha donato tutta la sua esistenza lottando senza tregua per l’unità del mondo, una sola casa per una sola famiglia di tutti i popoli, di tutti gli esseri umani, perché ogni persona umana potesse essere libera da qualsiasi bisogno, libera da ogni catena e soprattutto “cittadina” a pieno titolo di questa nostro pianeta, con uguali diritti e medesimi doveri.

Il filosofo francese Jacques Maritain, una delle massime autorità del neotomismo del secolo scorso, in occasione della II Conferenza Generale dell’Unesco tenutasi a Città del Messico nel novembre del 1947, col suo discorso inaugurale in qualità di Ambasciatore e capo della delegazione francese, sostenne con profonda convinzione la necessità di un accordo a “principi pratici” comuni in vista del bene comune dell’umanità e perché si potesse costruire un mondo abitato dalla pace e dalla giustizia, pose come condizioni necessarie e indispensabili da un canto il riconoscimento unanime dei fondamentali diritti umani e dall’altro la creazione di una comunità mondiale dotata di poteri decisionali e fondata sull’abbandono dei principi di sovranità nazionale spesso causa di profonde divisioni e di laceranti conflitti.

Albert Einstein affermò che «Il nazionalismo è una infermità dell’infanzia e una bestialità dell’umanità».

Sant’Agostino, filosofo, vescovo e teologo, si sentì sempre «cittadino del mondo». E così tantissimi altri, teologi, filosofi, sociologi, politici, giuristi, persone di buon senso, hanno sostenuto in ogni tempo e sostengono oggi più che mai, con convinzione profonda, che tutte le persone umane hanno il diritto fondamentale di essere a pieno titolo “cittadini del mondo”; di un mondo che appartiene a tutta l’umanità.

8. Conclusioni.

Da quanto abbiamo visto, gli Stati europei, seppur lentamente e con moltissime cautele, negli ultimi anni sembra che stiano cercando di cominciare ad adeguare le legislazioni sulla cittadinanza alle mutate situazioni politiche, economiche e sociali ed in particolar modo alle problematiche inerenti e conseguenti ai notevoli flussi migratori specie per quanto riguarda l’Europa in particolare e il mondo occidentale più in generale.

Certo non mancano rappresentanti delle istituzioni a tutti i livelli che anziché pensare soluzioni positive e costruire ponti per affrontare le nuove sfide che il prossimo futuro ci pone e ci impone, pensano e minacciano di erigere nuovi muri, nuovi steccati e nuove barriere.

Non si può più pensare di salvaguardare rigidamente le omogeneità nazionali e nazionaliste.

Il mondo è cambiato e continua a cambiare rapidamente e pertanto non si può impedire il formarsi di collettività multiculturali o interculturali.

Il rigido criterio dello jus sanguinis da solo è ormai superato, anche per la nostra cara vecchia Europa.

Oggi l’Europa da un canto registra un forte calo di natalità e dall’altro un inarrestabile flusso migratorio.

Bisogna mettere mano, con coraggio, realismo e senso di responsabilità, anche alle legislazioni sulla cittadinanza e cominciare a guardare al principio dello jus solinon come un nemico da abbattere ma come una soluzione giusta da accogliere responsabilmente e col necessario equilibrio, con il “buon senso” necessario, con spirito di giustizia e di fraternità.

Vorrei, concludendo, offrire alla vostra riflessione un brano eloquente che il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, scrisse negli anni Quaranta del secolo scorso mentre si trovava negli Stati Uniti per sfuggire alle barbarie totalitarie.

Il brano, opportunamente, è stato inserito dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nell’appendice del suo libro “Imparare la Democrazia” (Ed. Mondadori, la Biblioteca di Repubblica, 2005).

Il brano dal titolo: Der demokratische Richter, Il Giudice democratico, narra dell’esame sostenuto da un oste italiano emigrato negli USA per ottenere la cittadinanza americana e che di seguito riporto integralmente: «A Los Angeles davanti al Giudice che esamina coloro che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente, ma era a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua. Durante l’esame, alla domanda “che cosa dice l’ottavo emendamento”, rispose esitando: 1492. Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale, fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi, ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua, gli posero la domanda: chi fu il generale che vinse la guerra civile? La sua risposta fu: 1492. Mandato via di nuovo e ritornato una terza volta, alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente? Rispose di nuovo: 1492. Orbene, il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva imparare la nuova lingua, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda: quando fu scoperta l’America? e in base alla risposta esatta,1492, l’uomo ottenne la cittadinanza».

Da quanto superiormente riportato possiamo dedurre agevolmente che spesso il “buon senso” e la giustizia vera fondata sull’amore e sulla carità possono contribuire a rendere la nostra esistenza più umana e degna di essere vissuta.    

Non è retorico affermare che non potremo parlare di diritti umani, di dignità degli esseri umani, di pace e di giustizia fino a quando in questo nostro pianeta ci sarà una sola persona umana priva di “cittadinanza” e soprattutto fino a quando non prevarrà l’amore sociale, l’amore per il bene comune, l’amore per il creato e l’amore incondizionato per il prossimo e per ogni persona umana.

Canicattì-Naro 10-18 dicembre 2017
Giovanni Tesè

 


* Relazione tenuta a Canicattì - Palazzetto dello Sport il 18 dicembre 2017 in occasione dell’incontro promosso dall’II.SS. G. Galilei gli studenti di Canicattì con il Cardinale S.E. Mons. Francesco Montenegro sul tema: Essere Cittadini: quale ius?

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