Gaetano Augello, CANICATTÌ - L'ANTICO QUARTIERE "FURCHIVECCHI e FURCHINUOVI" - NOTIZIE DI UN ANTICO PICCOLO INSEDIAMENTO EBRAICO

L'incontro culturale del 14 luglio 2018
tenuto a Largo Marengo
Il 23 ottobre 1957 il Consiglio Comunale di Canicattì - su proposta del sindaco dottor Vincenzo Marchese Ragona - cedette gratuitamente all'Acquedotto Consorziale Promiscuo "Tre Sorgenti" - in largo Verri - 522 mq. di spazio comunale facente parte degli antichi "cumuna" - per la costruzione della sede. Veniva in tal modo rivalutato uno dei quartieri storici della città detto "Fulchi" o "Furchi" e che, in passato, era formato da due nuclei: "Furchivecchi o Fulchivecchi" e "Fulchinuovi o "Furchinuovi". 

Il quartiere era così chiamato perché nella zona - in particolare nello slargo (posto di fronte al Castello dei Bonanno) oggi chiamato largo Marengo - si eseguivano in passato quasi tutte le condanne a morte per impiccagione. Per i condannati meno importanti, la condanna, talora, veniva eseguita nella scarpata antistante l'attuale chiesa di Santa Lucia, dove oggi sorgono le gradinate dello stadio "Carlotta Bordonaro". 
L'esecuzione di gruppo più famosa avvenne nel maggio del 1727. Negli anni 1726 e 1727 il territorio agrigentino era stato messo a ferro e a fuoco da una banda di criminali predoni guidati da don Raimondo Sferlazza, chierico diacono di Grotte, di anni 26. Era allora Signore di Canicattì Francesco Bonanno Bosco (1711-1739) che, avuto dal viceré Gioacchino Fernandez Portocarrero, Conte di Palma, per ordine di Sua Maestà Cattolica Carlo III di Borbone, l'incarico di "estirpare i ladri e i grassatori che taglieggiavano cavalieri e cittadini", trasferì la Gran Corte Criminale a Canicattì. Ben presto catturò la banda di criminali formata, oltre che dallo Sferlazza, da Sigismondo Lauretta di Aragona, Antonio Cacciatore e Francesco Borsellino di Girgenti, Michele Pirricuni detto "Caranciano", Antonio l'Arrostuto e Giuseppe Chiaramonte, tutti e tre di Castrogiovanni (oggi Enna). 
Nel maggio del 1727, dopo sommario processo nel Castello di Canicattì, i sette furono condannati a morte mediante forca. Nei tre giorni precedenti l'esecuzione, detti "i giorni di cappella", perché trascorsi in una stanza attigua alla cappella del maniero, i sette furono affidati alle cure di due religiosi e due civili della Confraternita di Maria SS. Delle Grazie e del SS. Sacramento, detta dei "Bianchi" (aveva sede nella chiesa barocca di Santa Rosalia) e di alcuni membri della Confraternita di Maria SS. degli Agonizzanti. In quei tre giorni, mentre nella chiesa degli Agonizzanti si svolgevano delle cerimonie religiose - in particolare la "messa dell'impiccato" che veniva celebrata all'alba - nella piazza principale veniva esposto lo stendardo della Confraternita. Intanto i confrati andavano in giro per la città "colli coppi", questuando le offerte necessarie per la celebrazione delle messe. Raimondo Sferlazza, Sigismondo Lauretta e Antonio Cacciatore furono impiccati il 5 maggio. A Raimondo Sferlazza fu negata - per le gravissime colpe commesse - l'assoluzione e per questo non fu sepolto in chiesa: la sua testa fu condotta a Palermo e condotta in giro per la città conficcata ad un'asta. Lauretta e Cacciatore, invece, furono sepolti nella vicina chiesa di San Calogero così come - dopo l'esecuzione del successivo 17 maggio - anche gli altri quattro banditi. Del resto la chiesa "eccentrica" (periferica) di San Calogero era stata costruita - nel 1615 - proprio come "chiesa cimiteriale". Della tragica vicenda di Raimondo Sferlazza si è occupato anche il grande storico inglese Denis Mack Smith che, tuttavia, ha erroneamente scritto che "Il criminale fu finalmente catturato, ma il suo privilegio ecclesiastico lo esentò dalla pena e, dopo essere stato rilasciato, egli continuò a diffondere il terrore nel paese (Storia della Sicilia medioevale e moderna, Bari, 1976). 
Ma dobbiamo ricordare il quartiere "Fulchi" soprattutto per un altro importante riferimento storico. Proprio sulla collinetta intorno all'attuale Largo Marengo si ebbe - tra Duecento e Trecento - un insediamento di alcune famiglie ebree provenienti dalla vicina città demaniale di Naro che vi avrebbero aperto piccole botteghe di stagnari. La presenza degli ebrei è attestata da notizie sulla esistenza nel quartiere di una tipologia edilizia con impianto tipico delle regioni della Mesopotamia: le abitazioni avevano sul davanti un antiportico, una specie di orto murato che consentiva la sosta degli animali; nella parte posteriore era presente un altro portico che veniva utilizzato come deposito di attrezzi ed anche come gabinetto. La presenza di ebrei a Canicattì fu esigua dal momento che in quegli anni abitavano soprattutto nelle città demaniali e in particolare a Palermo, Siracusa, Girgenti e Messina. Erano in gran parte banchieri, tessitori, orefici, artigiani del metallo, medici e commercianti. Naro ne ospitava alcuni nuclei che tendevano ad estendere la loro azione nei borghi vicini e tra essi Canicattì. 
Nel 1997 il sindaco Carmelo Cammalleri (1994-1998), nel quadro di un recupero di alcuni monumenti e quartieri del centro storico, decise la costruzione in Largo Marengo di una struttura teatrale in pietra rimasta, ahimè, inutilizzata fino al 14 luglio 2018, allorché su iniziativa dell'Associazione Culturale "Athena", vi si è svolto un incontro culturale finalizzato proprio alla riscoperta e fruizione dei beni artistici ed architettonici presenti nel territorio canicattinese. 
Gaetano Augello

FOTOGALLERIA 
Un momento dell'incontro culturale
Da sinistra: Anna Rita Alù, Gaetano Augello, Melania Curto
Il pubblico che ha partecipato attivamente all'incontro
Uno scorcio del quartiere

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