GONZALO ALVAREZ GARCIA, Francesco Petrarca e la crisi della Cultura


“Cultura” é il complesso delle cognizioni, delle idee, dei valori e degli ideali su cui si regge la vita di un popolo in una determinata epoca.


Ci sono nel corso della storia periodi di serenità e periodi di crisi. Nei periodi di serenità la cultura fornisce agli uomini tutti quegli elementi di sicurezza che consentono loro di vivere senza soprassalti. Il passato, il presente ed il futuro costituiscono la  realtà compatta nella quale si sentono  come nella casa paterna.


La crisi arriva quando la cultura perde il vigore tradizionale,quando le cognizioni non bastano più e i principi e gli ideali si appannano e perdono la forza ispiratrice. Allora gli uomini cominciano a disorientarsi, non sanno dove indirizzare i loro passi e il complesso culturale, all’interno del quale erano vissuti i loro padri, cessa di essere una casa sicura. Il legame tra passato, presente e futuro si rompe. Si comincia a vivere  senza orizzonti.


Dopo la caduta nel quinto secolo dell’ Impero Romano, che vide cadere polverizzata la civiltà classica, lentamente  i popoli europei costruirono intorno al Cristianesimo la grande cultura medievale, nella quale Dio era l’Alfa e l’Omega del’ universo. La vita dell’individuo e dei popoli era regolata dalla Teologia.


La civiltà medievale pensava che il mondo,di per sé, fosse  privo di valore. Lo si considerava un semplice “luogo di transito”,una “misera locanda” nella quale bisognava trascorrere la notte della vita terrena in attesa dell’ alba della  Vita Eterna.


Uno degli ideali più forti del Medioevo era il monachesimo,che s’ispirava al “contemptum mundi”,al disprezzo del mondo, e molti tra gli uomini migliori sceglievano il monastero come la meta più ambita.


Questa cultura forniva  tutte le certezze desiderabili e fino alla fine del Duecento si può dire che l’uomo europeo viveva in piena serenità. Dante Alighieri,(1265-1321) é l’ultimo uomo del Medioevo: saldamente radicato nella Fede,sa da dove viene e dove va.


Due generazioni più tardi nasce Francesco Petrarca (1304-1374), primo uomo europeo moderno. Nel cuore di questo italiano si rompe, per la prima volta, la fede nello schema dottrinale medievale e compaiono i primi palpiti di ciò che, due secoli più tardi, si chiamerà “Vita moderna”. Crede in Dio, ma la sua fede non é più viva e rassicurante e, soprattutto, non é onni-comprensiva, esclusiva, come quella di Dante, perché Petrarca crede anche nel mondo. Le cose, le persone e le idee hanno per lui una realtà indipendente dalla volontà divina. Si entusiasma con i suoni, con i colori e i paesaggi ed il primo agriturista dell’Occidente. Vive molti anni in campagna e scala il monte Ventoux, vicino ad Avignone, per il solo piacere di contemplare il grandioso paesaggio che si apre ai suoi piedi. Il mondo, per lui,  non è la “locanda scomoda lungo la strada della vita eterna”, ma una vera e piacevole dimora.  Possiede una spiccata affinità con la natura e una agilissima consapevolezza della propria interiorità nuove, che gli uomini del Medioevo non conoscevano.


Contemplare il mondo “sub specie aeternitatis”, come faceva ancora Dante, non gli basta più. La nuova visione naturalistica, umanistica  dell’Universo lo attira come una promessa, ma le trans-umane  ideazioni medievali lo trattengono. Lo incatenano le secolari abitudini mentali e sentimentali. Ha il cuore diviso in due: la vita gli appare, al contempo, piena e vuota: piena di cose attraenti, ma vuota di valori permanenti. Per questo vive in perpetua lamentazione e in continua incertezza.


Con Petrarca s’inaugura quel  sentimento misto di disperazione e di malinconia che si chiama“insoddisfazione”. Per esprimere questo sentimento Petrarca, grande “malinconico”, si serve della parola “acedia”. L’astio di vivere, lo “spleen”, sono i sentimenti che caratterizzano tutte le epoche  di crisi culturale.

”Sento sempre nel mio cuor un  che d’insoddisfatto”, dice. E scrive versi superbi,come quello che recita:  “...ne si ne non il cuor mi suona intero...” 


Frasi  come queste non avrebbe potuto pronunciarle un uomo medievale. In esse appare perfettamente  l’uomo moderno con il suo bisogno di raccontare liricamente la  vita interiore,con i suoi slanci e le sue incertezze. 


“Mi trovo, scrive un giorno, nei confini di due popoli differenti, da dove vedo insieme quello del passato e quello dell’avvenire. E il lamento che i nostri padri non mi fecero udire, voglio trasmetterlo ai nostri discendenti”.


Si direbbe, leggendo queste parole, che il Petrarca avesse già superato la grave crisi di cultura che investì l’Europa all’inizio del Trecento e che, vinto l’antagonismo  tra il vecchio e il nuovo, fosse già approdato all’era moderna. Ma, paradossalmente, “l’avvenire”che egli vedeva davanti a sé non era un vero futuro. Il lamento che i suoi padri non gli fecero udire e che egli vuole trasmettere alla posterità, è il lamento per aver lasciato perdere tanta parte delle opere antiche!


Petrarca è il primo umanista e, come tutti gli umanisti, per un’ illusione ottica, chiama “avvenire” precisamente il passato più remoto. Il mondo classico produceva in lui un entusiasmo irrefrenabile e a questo  mondo “preterito” si rivolge come se fosse il mondo “futuro”.


Non riuscivano gli umanisti ad immaginare un domani migliore dell’ieri. La cultura medievale,con il suo mondo immobile,frutto di perentori decreti divini,li asfissiava. Sentivano il bisogno del cambiamento. Ma per una sorta di miraggio, il cambiamento non significava per loro “andare avanti”, ma tornare indietro.


Quando pronunciavano, estasiati, le parole ”rinascenza, renovatio, reflorescenza”, non concepivano altro cambiamento possibile che il ritorno agli antichi.


Il Rinascimento fu una corsa geniale verso la cultura, senza che l’entusiasmo consentisse agli “umanisti” di fermarsi un momento per domandarsi, “che cosa è la cultura? Perché esiste? Nessuno di loro fu in grado di pensare che la cultura, nel suo significato più genuino, è creare ciò che non esiste ancora, non adorare le opere già compiute. L’entusiasmo per gli “antichi” tenne al guinzaglio le loro straordinarie intelligenze .


Francesco Bacone sarà, alla fine del Cinquecento, il primo uomo libero dall’ipoteca classica. Per lui, la cultura, per rinnovarsi, non avrà bisogno di volgere lo sguardo ai greci e ai romani.


Tre anni dopo la nascita di Bacone,nascerà Galileo ,per il quale il futuro,per il semplice fatto di essere futuro,sarà più ricco e promettente del passato.


Bacone, Galileo e Descartes sono i fondatori della Cultura Moderna che ha consentito agli uomini di camminare serenamente per più di tre secoli, guidati dalla cometa della Ragione,senza dover necessariamente appoggiarsi alle stampelle della Teologia.


Col ventesimo secolo il lume della Ragione si è affievolito.  Dopo la prima Guerra Mondiale sorsero ideologie politiche necrofile e filosofie che, invece di darci speranza per il futuro,ci hanno precipitato in un passato più vecchio dei greci e dei romani.


La Scienza, senza un Nuovo Umanesimo che ci insegni a  guarda in avanti offre, agli occhi di molti osservatori,  più pericoli che soluzioni. 

Sentiamo bisogno di leghe ambientaliste e di leggi che difendano il mondo, e noi tutti, da derive  “tecnologiche”.


La  Tecnica, capace di portarci sulla luna, ci lascia nudi. E, come Francesco Petrarca all’inizio del Trecento, diamo al vento le nostre lamentazioni e ci sentiamo incapaci di prevedere il futuro.


Palermo, 10. 06. 2020

Gonzalo Alvarez Garcia

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