GONZALO ALVAREZ GARCIA, La crisi dei valori

Lamentarsi per i valori perduti oggi è di moda: ci si lamenta nell'intimità della famiglia, per la strada, nei bar, nelle scuole, nelle chiese, in Parlamento, sulla stampa, in televisione, nello stadio, nelle palestre e, naturalmente, nei comizi che, in tempi di campagna elettorale, affollano  le piazze delle città e quelle  telematiche. Il mondo sta  vivendo uno dei suoi più critici momenti  di confusione mentale e, in circostanze simili   si finisce sempre  col parlare dei "valori perduti".

Si parla di giustizia, di lealtà, di sincerità, di onestà  come se si trattasse di pecorelle smarrite che non si riesce  a riportare all' ovile. 

Ma i valori non sono cose che si possono smarrire o di cui possiamo essere derubati. Non sono oggetti materiali, ma qualità trascendenti degli oggetti; qualità realissime, anche se  impalpabili.

La bellezza e la bruttezza, l'eleganza e la volgarità, la giustizia e l'ingiustizia, la nobiltà  d'animo e il servilismo, il coraggio e la viltà, la solidarietà e l'egoismo, la sincerità e l'ipocrisia  appartengono al firmamento della storia dell'umanità, come il Nord e il Sud a quello geografico. Indipendentemente da ciò che  pensano il filosofo ed il politico di turno, essi  sono i punti cardinali di  orientamento che indicano agli individui e alle società la rotta da seguire per poter raggiungere la meta della  civile convivenza tra le persone e tra i popoli e per stabilire i rapporti più corretti tra le istituzioni ed il cittadino. 

Gli esploratori non perdono mai di vista la Stella Polare, pur sapendo che  non è una meta raggiungibile: sanno benissimo che essa è il  punto di riferimento indispensabile per il buon esito delle loro esplorazioni e navigazioni. 

E come gli uomini, per loro disgrazia, confondono le posizioni dei punti cardinali e scambiano la Stella Polare  con la costellazione di Andromeda, perdendo del tutto il senso del orientamento 

e quindi, sbagliando la  rotta, allo stesso modo i governi, le classi dirigenti e le società perdono il senso dei valori e con essi la strada della convivenza e del progresso sociale.

I valori segnano il confine sottile che divide la barbarie dalla civiltà.

Le epoche come la nostra, dominate dallo sfrenato utilitarismo di pochi, sono epoche sterili, povere di vitalità, geneticamente frigide. Non si ha abbastanza virilità né per generare dei figli né  per partorire idee. La cultura acquista il sapore della frutta maturata in una camera frigorifera e  diventa ripetitiva, provinciale, trasgressiva e bigotta al tempo stesso;  si muove solo per inerzia, strascicando i piedi come i vecchi. Persino l'istinto al piacere sembra maturato in una camera frigorifera a lunga conservazione.

Lo scenario della politica è ancora più squallido. 

Il problema non riguarda solo l'Italia, anche se qui ha raggiunto la gravità di una malattia quasi inguaribile. Giuseppe de Rita, scriveva il 4 aprile scorso sul "Corriere della Sera" un elzeviro che è una durissima requisitoria contro lo stato di coma  in cui si trova il nostro popolo. A ispirare  le parole del De Rita  è "... il dolore e la rabbia di vedere un popolo intelligente e complesso ridotto a massa immotivata, inerte spettatrice di una politica senza idee, fatta di personaggi di diversissimo livello (piccoli dilettanti e vecchie volpi professionistiche, serissimi intellettuali di vertice e banali spicciafaccende di periferia, uomini di accorto potere ed avventurati avventurieri) tutti però unificati nello sguardo febbrile e spiritato (senza traccia di spirito) dell'ambizione, dell'autopresentazione, dell'entrata in scena, quasi a voler dare ragione alla frase di Berkeley che "essere vuol dire essere percepiti".

"Ed alla rabbia si aggiunge la "verecundia", la vergogna ed il pudore di essere, comunque, parte di una classe dirigente che non riesce a dare a questo paese una via di uscita dal labirinto in cui si è andato a cacciare in anni di sfrontata corruzione affaristica della politica, di falsa rivoluzione, di idiota enfasi del nuovo e di ingenua illusione che tutto possa risolversi con una riforma elettorale, con un po' di arresti eccellenti, con qualche carismatico personaggio. Ad una complessità drammatica si risponde ancora con un disarmante semplicismo, senza molte fatiche mentali, forse implicitamente pensando che le masse inerti, abituate alle telenovelas, ai festival, allo zapping fra show parlati e/o cantati, desiderino solo pace mentale senza fatica mentale".

In tutte le epoche ci sono stati dei corruttori e dei corrotti. Il bene ed il male fanno parte della dinamica della vita e si equilibrano a vicenda. Il peso del Bene sarebbe schiacciante senza il contrappeso del Male. La vecchia metafora di Dio e del Demonio dimostra che persino la Somma Bontà, per poter essere in piena forma, ha bisogno di essere tentata e sfidata dalla  somma malignità. Ma, mentre in altre epoche l'intreccio tra il bene ed il male era  equilibrato  e non ostacolava il  ritmo normale della creatività, oggi è afflitto da  squilibri che  assumono le proporzioni della catastrofe perché non si riesce a distinguere il bene dal male, la giustizia dall'ingiustizia, la verità dalla menzogna. Sono saltati i punti di orientamento e la confusione è arrivata al punto che molti uomini, e persino molti bambini, trovano più difficile rassegnarsi a vivere che a morire.

A provocare la catastrofe non sono stati i soliti giovani sventati, ma i vecchi, i saggi, i maggiorenti di ogni tipo.

Gli "Anziani", cioè, coloro che nelle antiche civiltà erano considerati i depositari del consiglio, della ragionevolezza e del buon senso, hanno inventato un nuovo codice di comportamento ed un nuovo galateo dove la menzogna è preferibile alla verità, l'inganno alla sincerità, la sopraffazione  alla solidarietà e l'insulto  alla cortesia.

Negli ultimi decenni la cosiddetta "classe dirigente" alla quale avevamo affidato il timone della nostra barca, ha lavorato con ammirevole impegno, degno di miglior causa, alla distruzione delle carte nautiche, cancellando i punti di riferimento certi. Ha trafugato le ideologie e gli ideali e ha sostituito i "valori tradizionali" con un unico pseudovalore, il "massimo profitto".

E continua imperterrita per la sua strada. Pur di ricavare il massimo profitto non esita ad avvelenare l'aria, i fiumi, i mari, le coscienze e anche il pane di cui ci nutriamo.

Da quando il "massimo profitto" è stato consacrato quale unico valore degno di essere perseguito, i maggiorenti dell'economia, della politica  e della cultura sono partiti all'assalto dei valori tradizionali. Non si sono fermati  davanti a nulla. Hanno  affidato ai più rozzi la riforma del buon gusto; ai più ignoranti la rifondazione dell'intelligenza; ai ladri il compito di riformare la pubblica amministrazione.

Seguendo una logica ineccepibile, hanno favorito la delinquenza organizzata, lo sfruttamento  della droga e  della prostituzione  e la proliferazione delle guerre, poiché non è possibile ricavare profitti dalla cocaina se non si dispone di un esercito di cocainomani, ne ci si arricchisce con la fabbricazione delle armi se non si  crea nell'anima dei popoli il bisogno di usarle. E non si può giocare con la buona fede della popolazione se prima non la si impedisce di pensare con la  propria testa. Per questo l'arte di rendere stupide le masse è diventata una fiorente  industria grazie alla quale  gli uomini cominciano a sentire l' irresistibile bisogno di appartenere a qualcuno, non ha importanza chi: un imperatore, uno stregone, un idolo al quale sacrificare il loro spirito servile.

Ciò che manca non sono i valori, ma gli uomini  in grado di riconoscerli. La Stella Polare seguita ad indicarci la rotta, ma il capitano vuole restare  cieco.


Buon Natale in raccoglimento, se lo usiamo per riflettere sulla nostra dignità perduta.


Palermo, 20.12.2020

Gonzalo Alvarez Garcìa

Nessun commento:

Posta un commento