SALVATORE DI MARIA, "La badante: un amore involontario" di Paolo Tebaldi (recensione)

Paolo Tebaldi. La badante: un amore involontario.  

Roma: Edizioni 2004. Pp. 147.

 

Sarà deluso chi nel romanzo cercasse storie d’amore e prose di romanzi, poiché, nonostante il sottotitolo, l’amore del vecchio giudice Carbonara per la sua governante o badante, è la storia di una esistenza solitaria che alla fine sfocia in una vita felice con una donna straniera, povera, e relativamente giovane. 

Da quando gli è morta la sua Elvira, Pietro Carbonara conduce una vita apparentemente gratificante e tranquilla, se non che le figlie, una a Firenze e l’altra a Milano, prese dal senso di colpa di saperlo solo senza nessuno, lo pregano di mettersi in casa una domestica. Ma Carbonara non ha bisogno di aiuto perché lui è capace di farsi tutto da sé dalla cucina alle pulizie. Nondimeno per «acquietare i loro sensi di colpa» assume Olga Ivanova, una moldava di anni 48. Anche se il vecchio giudice insiste per iscritto che Olga si limiti a vivere solo in una sezione del grande appartamento senza fare per lui nessun lavoro di casa, alla fine finisce per innamorarsene. Il romanzo finisce con Carbonara che dal terrazzo dell’appartamento osserva Olga che entra in un laboratorio analisi-multidiagnostico, lasciando supporre che forse è incinta e che alla fine si sposeranno. A questa nuova speranza fa eco il verde della primavera che si annuncia con la peluria o meglio con l’ipotesi «di verde che i tigli avanzavano sui rami». 


I temi del racconto emergono in gran parte dal confronto insistente tra passato presente che non è solo nostalgia di neiges d’antan, ma anche testimonianza del progresso o, al limite, del cambiamento della società. Nello scontro del presente col ricordo giovanile di Carbonara, affiorano temi che vanno dalla criminalità alla questione degli extracomunitari. C’è anche il tema della colpa delle figlie lontane. A questa pietas filiale fa riscontro l’avidità umana (la paura delle figlie che il padre lasci la proprietà alla moldava) che a volte prevale sul senso di colpa e ne smaschera la precarietà. Ma La badante non è solamente una serie di temi che tracciano l’evolvere di una società né tantomeno la semplice storiella di un vecchietto innamorato, un amator senex della nostra letteratura. É invece, la riflessione profonda sulla solitudine in cui spesso non sappiamo di vivere e che facilmente ci porta al rinuncio inconscio della speranza e del sogno. Carbonara non sa di essere solo, gli fa compagnia la sua Elvira che da morta continua a vivere nei suoi ricordi: il binocolino da teatro di Elvira … la gita a Praga con Elvira…le tagliatelle di Elvira, etc. Se l’insistenza del ricordo è un tentativo del subcosciente di affrontare la solitudine, non è mai rimpianto di un grande amore, bensì di una vita in comune ancorata a convenzioni sociali ed abitudini quotidiane. La memoria è semplice panacea che gli consente di tirare avanti e di rassegnarsi all’ ineluttabilità della vecchiaia. C’è in lui, però, il bisogno, sia pure latente, di uscire dal vuoto della solitudine, di condividere la propria esistenza e amare con quella passione che dà impeto alla vita e ci fa di nuovo sognare. 

 

È appunto questo bisogno di affetto umano a predisporre Carbonara ad innamorarsi --forse come mai in vita sua-- della moldava che vede per la prima volta quando, un giorno, così per caso, questa lo prega di fermarsi e, fotocamera in mano, gli chiede di scattarle una foto assieme alle sue amiche. Da allora gli balzerà spesso l’immagine di quella straniera dagli occhi verdi, anzi acquamarina: rientrando a casa, si sente addosso gli occhi verdi di quella sconosciuta; …spiando col binocolo dal terrazzo del suo appartamento si chiede se tra quelle extracomunitarie lì sul marciapiede ci sia anche la sconosciuta con gli occhi Verdi; quando alla fine Olga viene a vivere nell’appartamento si accorge che aveva gli occhi proprio verdi, «come i prati del monte Petrano a primavera». E senza rendersene conto, si trova ad ascoltare ripetutamente varie esecuzioni de La moldava di Smetana, e a cercare la Moldavia sull’atlante geografico. Questo interesse per la Moldavia e l’assillante immagine della bella incognita borghese dagli occhi verdi e dai bei fianchi è già foreshadowingdel rapporto che da semplice padrone-badante diventerà vero amore ed infine, forse, matrimonio. E «come un ragazzino di 64 anni preso dietro il primo amore», Carbonara comincerà a sognare ad una vita operosa e felice assieme ad Olga ed anche, chissà, al piccolo Ivan. Al sessantaquattrenne, che come i suoi amici si era rassegnato ad un avvenire già vissuto, gli capita di scoprire la forza vitale dell’amore che gli fa dimenticare la vecchiaia e lo sprona a vagheggiare un futuro prospero e gioioso. La sua è una svolta esistenziale che tocca ogni essere umano al di là di qualsiasi cultura e di ogni momento storico in quanto esempio di vita che invita a vivere e sognare ad ogni età.

 

Se alcuni non hanno visto questa dimensione universale del romanzo e si sono limitati a lamentarne il provincialismo è solo perché Teobaldi non si sofferma a far discorsi e prediche, lui allude e suggerisce solamente, spesso di sfuggita e con ironia. E fa bene, perché è proprio lo stile, ossia la musicalità della prosa, la metafora innestata, il foreshadowing, il sorriso ironico, l’accenno storico-culturale, che rende piacevole la lettura ed impegna il lettore a ricostruire significati cui allude il riferimento sfuggente o la similitudine smorzata. Ad esempio, Carbonara all’uscita dal loggiato si trova nella «ex-piazza delle corriere, già piazza del Marinaio d’Italia e ora piazzale Giacomo Matteotti». Riferimenti sparsi ma distinti che, quasi pennellate nella tela di un secolo di vita nazionale, richiedono al lettore di completarne il quadro con la propria conoscenza della storia. Sempre in maniera delicata e, di nuovo, di sfuggita, Teobaldi allude alla questione degli extracomunitari, facendo osservare a Carbonara che «adesso» proprio lì «nella piazza delle corriere del Marinaio d’Italia e del povero Matteotti» non si vedeva più la gente delle campagne e dei paesetti d’intorno (periodo delle corriere), ma stranieri «tutti scuri di carnagione e tutti quasi uguali, se uno non faceva attenzione». Basta quell’adesso per ricordare al lettore il cambiamento profondo di tutta una società il cui benessere degli ultimi 50 anni attira gente bisognosa d’ogni parte del mondo. Si noti come i nomi della piazza che, già pietre miliari di un percorso di quasi cent’anni di storia (marcato dalle temporali ex, già, ora), sono ora accumulati l’uno all’altro non più scanditi dalla punteggiatura, quasi vuoti di significato. 

 

Non deve sfuggire l’ironia di quel poveroMatteotti, sconosciuto agli stranieri e forse ormai scordato dagli italiani. Il lettore coglierà certo l’ironia di quel parentetico «se uno non faceva attenzione» che allude al pregiudizio verso la gente nuova e il bagaglio culturale che la distingue. Il pregiudizio riaffiora più ovvio quando Carbonara si vede avvicinato dalla moldava che gli chiede di scattarle una foto e lui, fermo nel suo preconcetto, sospetta che questa vorrà dei soldi, soldi che lui naturalmente non le darebbe perché «così si favorisce il racket dell’accattonaggio e magari la mafia russa». Quando poi arriva a casa, prima di infilare la chiave nel portone, si gira appena un attimo, «sentendosi ancora addosso gli occhi verdi della sconosciuta». Ecco con quanta maestria Teobaldi innesta l’ansia pregiudizievole (la mafia russa) con l’attrazione inconscia che spiana già il sentiero dell’amore per la moldava. Quasi inosservato si propone anche il tema della criminalità che si fa più evidente quando Carbonara conclude che quelli del poligono non erano tutti fascisti o militaristi, ché ve n’erano molti (come lui?) che s’erano dovuti adeguare «coi tempi che correvano». Non altro che un semplice accenno ai tempi --qui e altrove nel romanzo--per mettere di fronte al lettore l’ansia di tutta una società che sente il bisogno di difendersi contro una criminalità sempre più temeraria, pericolosa e, perché non dirlo, straniera. 

 

Teobaldi non commenta né spiega, ci fa solo sentire di sfuggita, quasi poesia, i sentimenti, i pensieri, le paure, i ricordi di un uomo che si fa voce e coscienza di un momento storico e di un’esistenza umana che, grazie all’amore, schiva la rassegnazione alle insidie della vecchiaia. La badante non è solo il romanzo di oggi, ma il romanzo di sempre e di tutti, vecchi e giovani. É un classico che è piaciuto perfino ai miei studenti d’italiano, i quali ne hanno apprezzato la sottigliezza di stile, l’universalità dei temi, e la vasta cultura dell’autore.

 

Sal DiMaria

University of Tennessee

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