«Al povero Vanni Zangara noi addolorati mai però abbattuti mandiamo il nostro riverente saluto, mentre rimaniamo ad aspettare il nostro turno». Così scriveva Nicola Alongi, subito dopo l’assassinio del militante del movimento contadino e assessore socialista al comune di Corleone, del 29 gennaio 1919, sapendo che anche il suo era un destino già segnato. E poco prima del suo assassinio, al congresso contadino svoltosi a Palermo, aveva dettato il suo testamento: «So che si congiura contro di me, che si vuole attentare alla mia vita... non so se domani potrò tornare ad abbracciarvi, ma sono sicuro che altri sorgerà a sventolare la bandiera che mi si vuole strappare di mano».
Gli anni 1919-1920 sono ricordati dagli storici come il "biennio rosso" ma si parla dell’ondata di scioperi e manifestazioni con la partecipazione di cinquecentomila operai in tutta l’Italia e non si fa cenno di quello che in quegli anni accadeva in Sicilia, con le lotte contadine e con l’occupazione del Cantiere navale di Palermo, diretta dal segretario delle Federazione italiana operai metallurgici (Fiom) Giovanni Orcel, che assieme ad Alongi conduceva una difficile battaglia.
Nel socialismo siciliano, e soprattutto nella Camera del lavoro di Palermo, si confrontavano aspramente due linee: da una parte i socialisti "riformisti" il cui esponente più noto era il principe Alessandro di Cutò, dall’altra i " rivoluzionari", una contrapposizione che segnerà anche il futuro, non solo in Sicilia. Alongi e Orcel operavano per l’unificazione tra operai e contadini, anticipando di fatto le teorizzazioni di Gramsci sui soggetti di una possibile rivoluzione socialista. Sono minoranza e sanno di correre gravissimi rischi: l’emarginazione all’interno del partito e del sindacato e l’offensiva dei mafiosi che selezionano le vittime, intervenendo laddove sono maggiori i pericoli per la perpetuazione del loro dominio. E Alongi e Orcel sanno di rientrare in questa anagrafe dei soggetti più pericolosi. E non ci sono solo i mafiosi.
La scena del dopoguerra è popolata di nazionalisti che si muovono su una linea che porterà al fascismo. E le divisioni all’interno dei socialisti gli spianeranno la strada. Sull’onda della rivoluzione sovietica si pensava a un esito rivoluzionario e un ex socialista faceva le prove generali per la dittatura.
Alongi, che era nato nel 1863, contadino autodidatta, aveva fatto il suo apprendistato con i Fasci siciliani, alla scuola di Nicola Barbato e Bernandino Verro. Successivamente aveva vissuto l’esperienza delle affittanze collettive, una scelta strategica che mirava a eliminare la funzione intermediaria del gabellotto, sostituendolo con le associazioni dei contadini. Dopo l’uccisione di Verro, il 3 novembre del 1915, aveva organizzato e diretto le mobilitazioni per l’attuazione dei decreti Visocchi e Falcioni per l’assegnazione delle terre incolte e malcoltivate, denunciandone i limiti, e con lo sciopero cominciato a Prizzi alla fine dell’agosto 1919 ed estesosi nei paesi vicini, appoggiato in città da Orcel, lo scontro con gli agrari e i gabelloti si era acuito. Non era solo uno sciopero economico, una manifestazione sindacale, era una mobilitazione per il "potere contadino". E i mafiosi ricorrono alla loro arma vincente: la violenza.
Il 22 settembre del 1919 cade Giuseppe Rumore, segretario della Lega contadina e la moglie, Maria Vallone, una bella figura di donna militante, e Alongi denunciano i responsabili e le complicità o l’inerzia delle forze dell’ordine e della magistratura. E il copione si ripeterà anche dopo l’assassinio di Alongi: il 29 febbraio del 1920 arriva il suo turno. L’impunità è la regola che non conosce eccezioni, e varrà anche per l’assassinio di Orcel, il 14 ottobre dello stesso anno. Come mandante dei due delitti viene indicato il capomafia Silvestre Gristina: scampato alla giustizia, morirà pugnalato.
Cent’anni dopo ci chiediamo chi ha preso la bandiera strappata dalle mani di Alongi. Dopo la parentesi fascista, le lotte riprenderanno nel secondo dopoguerra e riprenderà la violenza mafiosa. E la riforma agraria spingerà più ad emigrare che a rimanere sulle terre. Il mondo di Alongi, di Orcel e del movimento contadino sarà travolto dalle trasformazioni che muteranno il corso della storia. Quello che rimane di una lunga stagione di lotte è la memoria di una leva di militanti e dirigenti con pochi studi, ma con una grande lucidità d’analisi e una capacità di organizzazione da leader sperimentati. Protagonisti di un’antimafia non episodica e rituale, ma pensata e praticata dentro un progetto di mutamento sociale e politico. Una lezione che vale ancor oggi, in un contesto diverso.
La Repubblica
Palermo, 27 febbraio 2020
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