La biografia così come
la produzione bibliografica di Leonardo Sciascia è stata ampiamente vivisezionata da una miriade di
studiosi, tanto da sembrare quasi ridondante e superfluo l’ultimo lavoro di
Enzo Sardo, per quello che hanno detto e contraddetto sul maestro di Racalmuto
(per usare un motto a lui caro) sia gli estimatori che i detrattori, sia
durante vita che dopo la sua morte. Ho utilizzato volutamente il termine
vivisezione per esprimere con forza l’attualità e la vitalità di Sciascia nel
panorama letterario del ‘900 e la straordinaria cerebralità delle sue opere che ancora oggi fanno riflettere e
sollecitano ripensamenti sui vizi del potere con le sue imposture e le sue
ingiustizie.
Ma sarebbe avventato e miope chi non si accorgesse immediatamente,
leggendo il saggio di Enzo Sardo, che questo lavoro d’indagine e di
approfondimento aggiunge un tassello di notevole importanza alla definizione
della figura di Sciascia sia come uomo che come scrittore analizzandone tre
elementi fondamentali:
Primo, lo stretto
rapporto dello scrittore con il territorio di provenienza ovvero Racalmuto in
particolare ma la Sicilia più in generale;
secondo, la cronologia
attenta e ragionata delle sue opere dentro un contesto di fenomeni ed eventi
tragici per la nazione italiana tra cui la mafia e il terrorismo;
terzo, la sua discussa
religiosità.
Enzo Sardo fin da
subito, nel suo libro, fa emergere questi tre elementi e su queste direttrici
sviluppa il suo lavoro di ricerca e di critica (se tale possiamo chiamare, tra
le pieghe del filo conduttore, l’espressione del suo modo di sentire e di
ragionare da cattolico impegnato in politica).
Egli inizia con
mettere in risalto il valore straordinario di quell’origine territoriale nella
formazione culturale di Leonardo Sciascia in un dare e avere con il suo
paese che l’ha visto crescere come celebrità letteraria, fornendogli gli spunti
per ingigantire sempre di più il suo senso critico e la sua abnegazione a
denunziare la prepotenza e la sopraffazione.
Racalmuto diventa
pertanto l’oggetto iniziale della sua osservazione e della narrazione, e
conseguentemente apre le porte alla sua notorietà attraverso il suo primo
romanzo: “Le parrocchie di Regalpetra “.
Il maestro
amava ripetere che: “Grazie alla simultanea presenza di un prete che vuole una
chiesa e vi profonde il suo denaro, di un pittore, di un medico illustre, di un
teologo e di un eretico Racalmuto vive ed emerge nel XVII secolo dalla oscurità
dei secoli, diventando un mistero come di natura”.
E proprio sulla
valutazione di questa fortuità che in un intervista rilasciata a Mario Gaziano
per la RAI (che poi il giornalista trascrisse in un volumetto dal titolo: Sciascia.
La mia terra da Racalmuto alla Sicilia), Sciascia definì il suo rapporto
con Racalmuto:
“Per me Racalmuto è
come una specie di microcosmo, una specie di piccolo universo dove c’è tutto,
dove ritrovo tutto. Così, magari per simboli, per emblemi. Quasi sempre nei
miei libri c’è Racalmuto, anche se non c’è nominalmente, geograficamente, c’è
come luce, c’è come colore, c’è come psicologia”.
Enzo Sardo, che è
nativo dello stesso paese, dove vive, scrive e svolge la sua politica
culturale, ha avuto il grande merito di averci consegnato una ricerca di
testimonianze scritte ed orali, di considerazioni riportate dai giornali
locali, di resoconti e di interventi che lo scrittore ha fatto in decine di
iniziative sul territorio, mettendo in luce il suo aspetto più intimo, quello
più riservato, quello dell’uomo comune nella sua dimensione domestica e
paesana. E cita fatti e circostanze, nomi e date di tutti quegli amici
d’infanzia, quegli amministratori locali, quei giovani e meno giovani
intellettuali che frequentavano la sua casa di campagna ricevendone attenzione,
considerazione ed interesse.
Cita nel suo libro le
riflessioni di Stefano Vilardo concentrate nel volume A scuola con Leonardo
Sciascia e quello di Anna Maria Sciascia figlia dello scrittore Tra
Racalmuto e Caltanissetta per definire il rapporto sociale e culturale che
lo scrittore aveva sviluppato anche con Caltanissetta, la città dello zolfo e
degli zolfatari. Prima come studente dell’istituto magistrale negli anni del
fascismo e poi attraverso la sua stretta collaborazione con la casa editrice
Salvatore Sciascia e con la rivista “Galleria” che diresse dal 1949 in poi.
Oggi si potrebbe dire in tono provocatorio che Sciascia fu più un nisseno
che un agrigentino per la sua breve residenza in via Redentore 1, per tutto
quello che la città gli diede in rapporti culturali durante la sua formazione
scolastica (Luigi Monaco, Giuseppe Granata, Calogero Bonavia) e in quelli
successivi alla guerra mondiale. Teniamo presente che la rivista “Galleria” lo
mise in collegamento con scrittori importanti come Calvino, Pier Paolo
Pasolini, Roversi con il calabrese Mario La Cava che gli aprirono la strada
(almeno Calvino e La Cava) all’edizione su vasta scala e con case editrici
quotate dei suoi primi romanzi. Chi non ricorda Le parrocchie di Regalpetra
nell’edizione Laterza!
Enzo Sardo per quanto
concerne l’aspetto che lega Sciascia al suo territorio fa una circostanziata
disamina della nascita (per volontà dello scrittore stesso, ma anche su
sollecitazione di tanti amici e seguaci) della Fondazione a lui dedicata, di
cui aveva egli stesso dato l‘indirizzo in una lettera spedita
all’Amministrazione Comunale nel 1989. Tra le altre cose Sciascia definiva il
suo lascito:
“La mia donazione alla
fondazione consisterebbe in una numerosa raccolta di ritratti di scrittori
(acqueforti, acquetinte, disegni e dipinti), nelle edizioni e traduzioni dei
miei libri e di tutte le lettere da me ricevute in mezzo secolo d’attività
letteraria”.
L’autore del saggio
racconta ancora come si svilupparono quasi contestualmente la individuazione
della sede, la sua ristrutturazione e la costituzione del soggetto giuridico.
Mette insieme i suoi
ricordi di sindaco, assessore alla cultura e consigliere comunale tra il 1989
ed il 1992 e quelli di intellettuale per fornirci i passaggi che trasformarono
la vecchia centrale ENEL di Racalmuto nella sede della Fondazione, e quelli che
concretizzarono l’istituzione culturale vera e propria con l’approvazione dello
statuto e con la erogazione di fondi comunali per la inventariazione e la
catalogazione dei beni documentari.
Ci mette inoltre a
conoscenza dell’importanza culturale del premio letterario Racalmare di cui
Sciascia fu la magna pars e il nume
tutelare , nonchè supremo giudice fino alla morte.
Ricordiamo che la
giuria presieduta dallo scrittore nel
corso degli anni ha assegnato il suo riconoscimento a Matteo Collura
(Associazione indigenti) a Gesualdo Bufalino ( L’uomo
invaso) a Vincenzo Consolo (Retablo) alla scrittrice Marta Morazzoni (La
ragazza con il turbante) a Manuel
Vasquez Montalban (Assassinio al comitato Centrale) scrittori dei quali
Sciascia ha messo in risalto il talento letterario e la sottigliezza del
pensiero, offrendoli all’attenzione dei lettori.
In questo modo Enzo
Sardo ci riporta ad uno scrittore che non si sottraeva mai alla sua gente
mettendo a disposizione la sua notorietà e la sua intelligenza per
incoraggiarne le iniziative. Partecipò con i suoi interventi ad elevare il
giornale locale “Malgrado Tutto” che alcuni giovani di Racalmuto avevano
pubblicato, dando inizio ad una sorta di fucina di talenti che dura ancora
oggi, anche se la rivista ha cambiato il supporto cartaceo con quello digitale.
Promosse due importanti mostre di pittura con tutte le opere di Pietro d’Asaro il monocolo di Racalmuto esistenti in
Sicilia (di cui lo scrittore commentò il catalogo) e quelle di Ritratti di
racalmutesi dipinti da vari pittori e custoditi da privati. Partecipò ad una
mostra di due giovani scultori di Racalmuto Giuseppe Agnello e Carmelo Lo Sardo
senza alcun preavviso (e di essi tessé gli elogi) meritando l’affermazione da
parte di Sardo, senza tema di smentita, che “Leonardo Sciascia […] dimostrò
ancora una volta un’immensa sensibilità nei confronti dei giovani artisti, il
suo personale contributo per la crescita socio culturale e l’attaccamento al
suo paese “.
Il saggio di Enzo
Sardo arriva in stampa soltanto l’anno scorso (a trent’anni dalla morte di
Sciascia) ma riesce a proiettare i lettori nel tempo successivo alla sua
scomparsa principalmente per le questioni lasciate aperte alla riflessione ed
al dibattito che hanno attinenza al modo di approcciare la realtà politica e
culturale nelle sue costituenti fondamentali: l’onestà intellettuale ed il
coraggio di essere contro.
Enzo Sardo fa proprie
le questioni sciasciane (dalla
giustizia alla mistificazione della realtà, dalla violenza delle verità
assolute all’impostura, dal pregiudizio sociale alla razionalità dell’essere
umano, dalla mafia alla legalità) e le ripropone nella dinamica del suo libro
soffermandosi sulle scelte politiche dello scrittore e sulle battaglie condotte
non solo da letterato ma anche da parlamentare radicale (il caso Tortora e
l’affare Moro).
Fa una disamina delle
opere di Sciascia nella loro consequenzialità storico letteraria, dai romanzi
ai racconti, ai saggi, facendo emergere in esse l’universalità dei temi
trattati a partire dall’insularità della Sicilia dove fa erigere la stretta
configurazione fisica e geografica dell’isola a metafora della vita.
L’insularità non vista quindi come fattore d’isolamento spaziale geografico ma
come solitudine mentale come “isolitudine” in una terra o meglio in un mondo irredimibile (metaforicamente) per
l’assenza della ragione. Quella solitudine, rassomigliando tanto al solipsismo,
oltre a rappresentare un elemento introspettivo psicologico diventa un’occasione
letteraria.
Enzo Sardo è un
saggista versatile ricco di quelle capacità analitiche che lo pongono in modo
critico rispetto alla realtà che lo circonda. Ha pubblicato opere di notevole
interesse storico e culturale dentro cui ha sempre inserito il suo pensiero di
cattolico impegnato in politica. A questo proposito ha cercato di studiare a
fondo le tracce letterarie di uno Sciascia vicino alla DC. siciliana, quella
originaria, prima che il partito diventasse appannaggio della mafia.
A partire dall’immediato
dopo guerra il maestro di Racalmuto aveva scritto diversi articoli in giornali
vicini a Giuseppe Alessi, leader del nuovo partito in Sicilia, che diventerà il
primo presidente della Regione Siciliana nel 1947.
Scrisse inoltre sei
articoli nella rivista “Vita Siciliana” diretta da Giuseppe Bianca ed altri sul
quotidiano D.C. “La Sicilia del Popolo”.
Si accenna ad un
verbale della D.C. di Racalmuto, sottoscritto anche da Sciascia, sull’indirizzo
che la sezione locale avrebbe dovuto adottare nel referendum tra monarchia e
repubblica.
Il motivo per cui
Sciascia si allontanò dalla D.C. non sembra avesse avuto una caratteristica
specifica, sebbene in quel periodo fosse avvenuta a Caltanissetta la colonizzazione di quel partito da parte
di qualche onorevole vicino alla
mafia.
Sciascia di fatto non
cita mai nelle sue memorie l’appartenenza a quell’area politica ma al contrario
definisce la D.C. come la prosecuzione della dittatura fascista.
Nell’intervista
rilasciata alla giornalista francese Michelle Padovani, afferma che “malgrado
il suo appellativo di democratica, la D.C. tale non era”.
Enzo Sardo nel suo
lavoro esalta l’amicizia di Sciascia con padre Domenico Cufaro quello che il
maestro di Racalmuto definì giusto sacerdote e che prima ancora del
martirio di Padre Puglisi e dell’anatema di Giovanni Paolo II aveva denunciato
la complicità (?) dei cattolici verso la mafia e il malaffare.
Il prete dirigeva un
giornale cattolico “Il cristiano d’oggi” dove già nel 1965 aveva aperto un
dibattito sulla mafia e sull’indolenza dei cattolici rispetto al fenomeno
criminale. Nel novembre del 1970 dopo la morte del giornalista Mauro De Mauro
aveva scritto: “Sì la mafia vera fatta di soprusi, di prepotenza, di
arricchimenti nei piccoli e nei grandi centri esiste in ogni strato della
società. Dura cinica spregiudicata [….] che cosa abbiamo fatto noi cristiani
contro questo male, contro questa peste ?“
Sciascia, come ha
detto qualcuno, è stato un credente senza chiesa e un socialista senza partito
e proprio per questa condizione ha lottato contro le degenerazioni dell’uno e dell’altro modo di essere e di
pensare.
Enzo Sardo ne rivela i
passaggi aiutandosi con le biografie che di lui disegnarono critici d’oltralpe
(Claude Ambroise, Domenique Fernandes , Herry Bresc e la giornalista Marcelle
Padovani); ma utilizzando anche le testimonianze di persone a lui vicine come
la moglie.
La signora Maria
Andronico alle perplessità espresse da Melo Freni sui funerali religiosi per
suo marito, appose una nota in cui diceva che:
“I funerali religiosi,
la chiesa della Madonna del Monte, li ho scelti io e non perché non avrei
dovuto agire così. Leonardo non ha mai detto di essere ateo, noi ci siamo
sposati in chiesa, le nostre figlie sono state battezzate, cresimate e portate
all’altare dal padre; qualche anno fa a Roma io e Leonardo abbiamo battezzato
il bambino di Rita Cirio; e allora perché questo stupore questa sorpresa? A me
è sembrato giusto scegliere i funerali religiosi per un uomo che aveva
coscienza cristiana, che per tutta la vita aveva ricercato la giustizia e la
verità in ogni campo compreso quello cattolico”. Una religiosità pascaliana: attribuibile a quella frase
del filosofo francese “tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato” come
spesso lo scrittore ricordava a qualche amico.
Ma è un'altra delle
questioni che Sciascia lasciò aperte, un rebus sulla sua rassegnata fine
prematura, dentro cui traspare la nostalgia per questa terra [Ce ne ricorderemo
di questo pianeta] facendo sì che qualcuno pensasse ad un al di là laico con gli occhi puntati sulla storia dell’uomo o ad un
ricordo dei posteri per chi avesse vissuto una vita di dignità.
Enzo Sardo ha saputo
far convivere entrambe le ipotesi mettendo insieme le contraddizioni di un uomo
dalla forte influenza illuministica e dai condizionamenti dell’amicizia e della
vita familiare, assumendo in sé la connotazione di uno scrittore radicato
fortemente nella storia e nelle tradizioni della sua isola, ma proiettato a
pieno titolo verso l’uomo razionale del pensiero universale, da cui il rammaricante mancato riconoscimento del
premio Nobel della cultura.
Gero Di Francesco
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