Intervista di Salvatore Sulli all'autore de "La stella mancante"

In un tempo della nostra storia in cui immigrazione, sovranismo, autonomia, disoccupazione, lavoro etc. sono temi centrali del dibattito politico il libro di cui vogliamo parlare si dimostra di potente attualità. Lo ha scritto Marco Palumbo, alla sua prima opera letteraria, “La stella mancante”, edita nel 2018 da “La Zisa” di Palermo (207 pagine, 14 euro, prefazione di Rino Francaviglia). Un romanzo accattivante, ben scritto e di gradevole lettura, che consigliamo di leggere. Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene. 


ALTRO CHE FLORIDA: COME POTEVA ESSERE LA SICILIA NEL ROMANZO DI MARCO PALUMBO “LA STELLA MANCANTE”

Perché questo titolo del romanzo “la stella mancante”: una stella, quella della Sicilia, che sarebbe potuta esserci nella bandiera a stelle e strisce degli States? Pensi dunque che la mancata annessione della Sicilia agli Stati Uniti d’America dopo la fine della seconda guerra mondiale sia stata una occasione storica perduta?
Io amo profondamente la Sicilia tanto da sognarla e descriverla come una terra civile ed evoluta, come purtroppo non è, per una serie di responsabilità della classe politica in primo luogo, ma anche per colpa nostra, come cittadini, ma la analisi sarebbe lunga e complessa. Perché “La stella mancante”? Perché credo che la Sicilia sarebbe potuta essere per gli Stati Uniti d'America una pedina importante nello scacchiere del Mediterraneo, ben più di quello che rappresentano oggi, e sin dalla loro istallazione nei primi anni cinquanta, le sue basi militari, delle quali purtroppo i siciliani subiscono solo gli svantaggi senza avere alcuna ricaduta positiva sul territorio. “La stella mancante” perché penso, poi, a quei nostri poveri giovani siciliani costretti ancora ad emigrare per potere lavorare, rinunciando per sempre alle loro radici, delle quali sono sicuro sentono, appunto, la mancanza, lontani da casa.
Al di là dei molteplici significati che si possono attribuire al titolo del romanzo, scriverlo per me è stato un pretesto per immaginare una Sicilia finalmente artefice del suo destino, con un ruolo da protagonista al centro del Mediterraneo, punto di approdo di flussi migratori provenienti non solo dall'Africa, ma anche dall'Italia centrale e meridionale. Una terra che assorbe mano d'opera nelle sue industrie, fra tutte quella del turismo, la principale industria dell'isola. Certo che, se la Sicilia sfruttasse appieno le potenzialità offerte dal turismo, da ultima regione d'Europa, quale oggi purtroppo è, diventerebbe una delle più ricche. Se finalmente si decidesse di destinare la gran parte dei fondi strutturali e di investimento, che l'Europa mette a disposizione, al turismo ed alla valorizzazione di settori ad esso collegati, come beni culturali e ambientali, infrastrutture, produzioni eno-gastronomiche etc., la Sicilia non sarebbe molto diversa da quella che io descrivo nel romanzo, a prescindere dall'immaginarla necessariamente legata agli Stati Uniti d'America, che rappresenta solo un pretesto letterario.
A questo proposito voglio precisare - e non sembri una excusatio non petita -  che non mi reputo affatto un filo-americano. Riconosco agli Stati Uniti un ruolo di grande potenza economica, la cui leadershipnon può essere messa in discussione in tutto il mondo occidentale, ma non per questo mi sento di potere assolvere gli U.S.A. dalle sue responsabilità in campo internazionale. Nel romanzo si muovono parecchie critiche al sistema americano: dalla politica imperialista, alla globalizzazione, al neo-liberismo sfrenato che domina l'economia e la finanza internazionale, all'uso improprio delle armi da parte dei cittadini. Tutte questioni che hanno contagiato il mondo occidentale, facendo precipitare l'Europa, in particolare, in una crisi politica ed economica mai vissuta dal dopoguerra ad oggi.

In effetti, il romanzo è molto ricco di riflessioni e considerazioni su svariati temi politico-sociali e anche su temi storici abbastanza controversi: e allora qual è la ragione che ti ha spinto a scrivere?
Quello che principalmente mi ha spinto a scrivere il romanzo è stato il desiderio di esprimere delle idee attraverso la letteratura. Fare “politica” attraverso la scrittura mi ha dato la possibilità non solo di denunciare i mali della società, ma anche di sostenere il mio punto di vista su varie questioni cruciali. Sull'immigrazione, tanto per fare un esempio, penso che la politica dell'accoglienza incondizionata non sia sempre un bene per chi fugge dai propri destini di guerra e sottosviluppo. È proprio sulle cause del disagio che bisogna intervenire, a livello locale, e dunque meno guerre e più sviluppo nei paesi del terzo mondo, perché è impensabile trasferire la popolazione da un continente ad un altro solo perché i poteri forti non rinunciano a fornire armi ed a fomentare guerre, e la politica dei paesi occidentali non è in grado di creare occasioni di sviluppo in quei territori.

Leggendo il romanzo esso appare come una intrigante storia politico-sentimentale, che si tinge anche di giallo.
Certamente. Ho voluto costruire una storia nella fantastoria: le vicende di una famiglia americana che giunge in Sicilia e si “innamora” dell'isola e dei suoi abitanti. Il protagonista, un professore di storia contemporanea dell'università di Harvard, con l'aiuto e la complicità di una giovane collega catanese, si mette sulle tracce nientemeno che del bandito Giuliano.
Ho voluto dare al protagonista, Alex Collins, un ruolo di “ricercatore” a tutto tondo, come si conviene ad un luminare di una delle più importanti università del mondo. In questo senso si mette alla ricerca di qualcosa di intimo che gli manca e che più volte gli sfugge, nel corso della narrazione, il tassello del mosaico che gli consentirà di risolvere un caso che non riguarda solo le sorti della Sicilia, ma anche quelle sue personali. Oltre a immaginare una  Sicilia americana, l’altra finzione narrativa sulla quale è basato il romanzo, ciò a dire la sopravvivenza di Salvatore Giuliano all'agguato tesogli dalle forze dell'ordine italiane nel luglio 1950 e la sua fuga negli States, potrebbe apparire quasi come una eresia, per coloro che rifiutano l'idea che un criminale del calibro di Giuliano, autore di centinaia di omicidi, potesse essere animato da un sincero slancio indipendentista, e da un'indole protettiva e solidale verso le fasce più deboli della popolazione. Non dimentichiamo che Giuliano si dà alla macchia a seguito di un omicidio compiuto in giovane età per sfuggire alle forze dell'ordine, che facevano di tutto per opporsi alla logica del mercato nero che la miseria lasciata dalla guerra aveva imposto al popolo siciliano come unica forma di sopravvivenza. Pur nondimeno - è bene puntualizzarlo - Giuliano non è tra i protagonisti del romanzo e questo non è un libro su Giuliano, e non si parla di mafia e criminalità, ma è incentrato sostanzialmente su una vicenda umana che riguarda il protagonista.

Rimane però il fatto, tornando brevemente a Giuliano, che  la sua figura è avvolta da tanti, troppi, misteri: dal ruolo avuto nella strage di Portella della Ginestre, la prima vera strage di stato dell’Italia Repubblicana,  alla sua “soppressione” nell’estate del 1950 sui quali forse non verrà mai fatta completa luce e perciò un personaggio e una vicenda quella del banditismo molto controversi e come tali oggetto di disparati giudizi storici; e non a caso “il bandito di Montelepre è il personaggio più biografato, o uno dei più biografati, degli italiani della prima repubblica”. Torniamo al romanzo senza svelare tutta la storia i personaggi che si avvicendano nella narrazionesi muovono in scenari futuristici, avveniristici.
 La storia è ambientata tra il duemila e il duemilauno, oltre ad un flashbackche riporta agli anni cinquanta del secolo scorso. Eppure nel duemila, tra Palermo e Catania c'era già il treno ad alta velocità. Nessuno ne parla oggi, nel 2019, perché i siciliani sono i primi a non credere in loro stessi, e ad esaltare invece tutto quello che è “altro” rispetto alla Sicilia, sono estremamente esterofili. Sono certo che nessun siciliano si scandalizzerebbe di fronte alle ragioni che giustificano i sostenitori del TAV tra Torino e Lione, che collega due stati confinanti come l'Italia e la Francia, ma nessuno si azzarderebbe a pretendere la stessa alta velocità tra due città, Palermo e Catania, le cui aree metropolitane contano poco meno degli abitanti delle altre due, ma che stanno all'interno della stessa regione, la più grande d'Italia, per estensione. Non si ha l'idea di quanto potrebbe guadagnarci la Sicilia dal TAV, in termini di sviluppo infrastrutturale. La verità è che forse i siciliani soffrono di una fatalistica rassegnazione al sottosviluppo. Un altro scenario fantastico ancora: il governo federale che favorisce l’insediamento delle industrie meccaniche in prossimità del porto di Termini Imerese e nella pianura alle porte di Catania, per facilitare l'esportazione di automobili americane verso il mercato europeo. Sfidando così la concorrenza delle case automobilistiche italiane, francesi e tedesche ed il mercato asiatico. Le industrie meccaniche in Sicilia impiegano diversa manodopera straniera, anche di provenienza europea, e tanti sono i giovani operai immigrati soprattutto dal meridione d'Italia. Dunque un'immigrazione al contrario, dall'Italia alla Sicilia. 

Se potessi scegliere una platea ideale di lettori a chi ti rivolgeresti principalmente?
Mi piacerebbe fare leggere il romanzo ai giovani americani figli, nipoti e pronipoti di emigrati siciliani, che conoscono la Sicilia solo per sentito dire, dai racconti dei loro avi. Forse l'apprezzerebbero più di altri, perché liberi da pregiudizi. Sarebbe un modo per destare interesse nelle giovani generazioni su una pagina di storia poco conosciuta o spesso dimenticata da noi siciliani, quella dell'Indipendentismo. Dovrei trovare un editore disposto a tradurre il romanzo in inglese e promuoverlo negli Stati Uniti d'America. Chissà!

Palermo, luglio 2019

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