GAETANO AUGELLO, "Avarà Cecè’" - L'epica lotta tra Cesare Gangitano e Giuseppe Marchesano

Per parecchi anni a Canicattì i socialisti riformisti di Gaetano Rao si allearono, nelle elezioni politiche e amministrative, con i “radicali” di Guarino Amella, costituendo insieme il cosiddetto “blocco popolare”. A contrastare questo blocco uno strano connubio: quello che vedeva insieme i “reazionari” Gangitano e i socialisti rivoluzionari Cigna. Come spesso avverrà nella storia del socialismo, non solo a livello locale, gli opportunismi personali e gli interessi di fazione prendevano il sopravvento sulle scelte ideali, agitate spesso solo come vessillo. 

Il 14 dicembre 1902 si ebbe un’affermazione dei socialisti nelle elezioni comunali vinte dalle forze conservatrici guidate da Cesare Gangitano; i socialisti passarono da 183 a 257 voti e Guarino Amella fu eletto per la prima volta consigliere. La nuova amministrazione, guidata dal sindaco Giacinto Gangitano, tuttavia, a causa dei dissidi intestini, durò poco e nel 1904 si tornò alle urne. La lista dei socialisti era composta dal meccanico Angelo Argento, dal geometra Pietro Cangialosi, dall’avvocato Domenico Cigna, da Vincenzo Livatino fu Vincenzo e da Angelo Russo, componente della “Lega fra i contadini”. La lista fu approvata dal comitato direttivo della sezione composto da Paolo Gazzara, Calogero Faldetta, Sebastiano Guagenti e Vincenzo Livatino. L’estrazione popolare dei candidati socialisti fu rivendicata con orgoglio su La Folgore, nel numero unico del 17 luglio 1904, da Calogero Cigna Tiranno, contro “qualcuno di quegli asini in giammeria che, fra i civili di un certo casino, formano la illustre maggioranza”. 
Le elezioni si svolsero domenica 25 luglio 1904; furono vinte dai moderati che elessero sindaco l’avvocato Diego Gangitano, rimasto in carica per soli due anni. Nel 1906 furono nominati, nell’ordine, il commissario prefettizio Francesco Palermo di Lazzarini ed il commissario regio Antonio Abbate di Lungarini.
Ma il vero banco di prova delle nuove alleanze furono le elezioni provinciali e comunali dell’otto luglio 1906: il “blocco popolare” di Rao e Guarino Amella vinse ambedue le competizioni. Guarino Amella fu eletto consigliere provinciale; a Canicattì cessava la gestione commissariale e diventava sindaco Gaetano Rao che sarebbe rimasto in carica fino al 1909. Dopo l’amministrazione Rao si ebbe una breve gestione dei prosindaci Ignazio Caramazza e Salvatore Lombardo. 
In vista delle elezioni amministrative che si sarebbero svolte a fine 1912, in appoggio al “blocco popolare”, mercoledì 25 settembre giunse a Canicattì l’on. De Felice, accompagnato dagli avvocati Macchi e Alessi. Migliaia di persone, dopo averlo accolto alla stazione, lo accompagnarono a casa del presidente del circolo radicale, avv. Guarino Amella. De Felice si affacciò dal balcone principale di palazzo Lombardo e parlò alla folla festante, mentre le finestre del contiguo palazzo Gangitano rimanevano ostentatamente chiuse. Alle 20 De Felice tenne un comizio al Teatro Sociale: applausi scroscianti da ogni parte, meno che dal palco di prima fila, vicino all’ingresso, ove “si erano asserragliati Peppe La Vecchia, Cola Stella, Nino Lo Brutto e tutta la combriccola dei menestrelli di casa Gangitano”. 
L’indomani, alle nove e mezzo, “dopo magnifiche parole di addio pronunziate da De Felice dal balcone del Comitato elettorale del Blocco in piazza San Diego, un’imponente dimostrazione, con la musica alla testa, accompagnò alla stazione il valoroso campione della Democrazia siciliana, cantando l’inno dei lavoratori”. La partenza dalla stazione ferroviaria di De Felice fu turbata dalle grida ostili degli operai degli stabilimenti Trinacria e Laterizi mobilitati dal loro datore di lavoro Cesare Gangitano. (L’on. De Felice e gli avvocati Macchi e Alessi a Canicattì, in Alla Vigilia, Canicattì 29 settembre 1912.)
L’indomani, giovedì 26, il Comitato del Partito Democratico, diffuse un volantino a stampa di solidarietà nei riguardi di quanti, “in uno scatto di nobile sdegno”, la sera precedente avevano contestato al Teatro Sociale l’on. Defelice (sic!) “venuto a sostenere una plutocrazia corrotta e corruttrice… E se la canaglia venduta e briaca che popolava il palco e la platea lo avesse permesso, essi avrebbero dimostrate (sic!) le loro affermazioni, spiegato il senso vero della lotta, smascherati i farabutti paesani e forestieri, che sostengono un’amministrazione deplorata, frodando un ideale di fede” (Documento senza titolo firmato “Il Comitato del Partito Democratico”, Canicattì 26 settembre 1912).
Questo clima di feroce contrapposizione politica degenerò, nei primi di ottobre, in uno scontro di piazza. A tal proposito abbiamo la testimonianza di un maresciallo dei carabinieri, Giuseppe Tuccio, allora ancora adolescente: “Ricordo amaramente che il delegato di Pubblica Sicurezza Cornetta, nei pressi del “Vespasiano”, poco distante l’abitazione di don Pasqualino Gazzara, riportava la testa rotta per un colpo di bastone assestatogli violentemente da un dimostrante. Due carabinieri a cavallo caricarono la folla, su e giù la via Nazionale (l’attuale via capitano Ippolito), piazza di li quattru lampiuna (ora piazza IV Novembre), corso Umberto, sbaragliandola. Io, ormai non più fattorino telegrafico, ma aspirante all’arruolamento nell’Arma Benemerita, ricordo che nella mischia cercai riparo nella statua di “Pietreppaulu”, mentre dal castello, occupato dai dimostranti, venivano lanciati macigni e pietre a non finire”. (Pietro Candiano, Canicattì e la Sicilia, Caltanissetta, 1981)
Il delegato di Pubblica Sicurezza Cornetta attribuì il suo ferimento al dirigente socialista Gaetano Rao, candidato alle imminenti elezioni amministrative. Il dirigente socialista il 12 ottobre diffuse un volantino dal titolo Per respingere un’accusa in cui sosteneva con forza la sua estraneità ai fatti. 
Gaetano Rao il 26 novembre 1912 fu eletto dal Consiglio Comunale, per la seconda volta, sindaco della città con 21 voti. All’atto dell’insediamento annunziò questi propositi: “Da questo posto oramai per noi le persone spariscono e per noi non resta che la gelosa tutela dell’interesse del Comune, la cui amministrazione deve esclusivamente ispirarsi a quel giusto senso di dignità e giustizia che costituiscono la principale virtù di ogni popolo civile”. (Archivio comunale – Atti del Consiglio - Anno 1912)
In vista delle elezioni politiche del 27 novembre 1913, i riformisti, gli intransigenti e i radicali fecero blocco in favore del candidato socialista, l’avvocato Giuseppe Marchesano di Montemaggiore Belsito. Il Blocco Popolare era guidato, oltre che dall’avvocato Giovanni Guarino Amella, dal sindaco Gaetano Rao, dal commendatore Salvatore Lombardo e dall’avvocato Francesco Macaluso. Il commendatore Ignazio Caramazza avrebbe volentieri posto la sua candidatura ma, rendendosi conto che alcune frange socialiste non avrebbero mai votato per lui, “non per antipatie ma per ragioni e disciplina di partito” ed essendo convinto della necessità di contrapporre al deputato uscente Cesare Gangitano una candidatura forte, decise di appoggiare Giuseppe Marchesano.
La candidatura di Marchesano fu proposta domenica 6 febbraio 1913 con una grandiosa manifestazione popolare cui parteciparono anche i rappresentanti degli altri comuni del Collegio di Canicattì e cioè Racalmuto, Grotte e Ravanusa. Si votava per la prima volta a suffragio universale maschile. 
La manifestazione iniziò alla stazione ferroviaria ove era di passaggio il dirigente socialista Luigi Macchi, diretto a Naro per un comizio. L’esponente politico fu accolto dai rappresentanti delle leghe e dei circoli di Canicattì, Ravanusa, Racalmuto e Grotte giunti con bandiere e fanfare. Macchi nella piazza della stazione tenne un discorso: “… Io vi esorto alla lotta per la vittoria del nostro ideale che si integra nell’interesse del proletariato. Sarò al vostro fianco nell’ora della battaglia e parteciperò con l’anima alla vostra auspicata vittoria”. (Viva G.ppe Marchesano – Supplemento al N. 7 del Giornale La Preparazione, Canicattì 16 febbraio 1913) 
Seguirono gli interventi degli avvocati Gaetano Rao, Gaetano Stella e Domenico Cigna. Partito Macchi, la folla si riversò in piazza Umberto ove, dal balcone dell’albergo Natale, parlarono in favore della candidatura di Marchesano Gaetano Stella e Domenico Cigna. Il corteo, “sfidando il freddo ed il fango delle strade”, si diresse quindi a casa dell’avvocato Guarino Amella per sentire la sua parola. L’uomo politico parlò dal balcone ad una folla entusiasta. 
Seguì, in rappresentanza dei socialisti di Ravanusa, l’intervento dell’avvocato Giuseppe Lauricella che, pochi giorni dopo, sul Corriere di Girgenti avrebbe scritto: “Nessun altro nome raccoglie, in mezzo alle nostre popolazioni, quella somma di simpatie e adesioni, di cui è circondato Peppino Marchesano. Non c’è ritrovo, infatti, non c’è conversazione, non c’è capannello di operai o di contadini, in cui non si parli di dare il voto a lui, o dove non corra sulla bocca di tutti il motto: vili cu si cancia; sta vota acchiana Marchesanu!”. (Avv. G. Lauricella, In giro per la Provincia-Nel Collegio di Canicattì, in Corriere di Girgenti, Girgenti 16 febbraio 1913) 
Fu quindi nominato il “Comitato Marchesano”, presieduto dal commendatore Ignazio Caramazza, con vice presidenti gli avvocati Guarino Amella e Rao. La manifestazione fu conclusa dal professore Ignazio Gionti e dall’avvocato Rosario Livatino. La candidatura di Marchesano fu salutata da telegrammi di adesione di Napoleone Colaianni, Enrico Ferri, Alessandro Tasca, Leonida Bissolati, Pasqualino Vassallo, Guido Podrecca, Aurelio Drago, V. Vella, Domenico Cigna, Giuseppe La Lomia, Pasquale Mantia. 
Marchesano, ricevuta la proposta di candidatura, inviò a Giovanni Guarino Amella questo telegramma di accettazione: “Orgoglioso vostro grande affetto vi ringrazio col cuore, mentre sono pronto dare mio nome lotta civile attendo meglio conoscere condizione elettorale ed agire. Abbracciovi” (Viva G.ppe Marchesano, Canicattì 16 febbraio 1913).
Il candidato Giuseppe Marchesano, il 29 giugno 1913, venne in città per incontrare gli elettori; fu accolto trionfalmente in piazza e, dopo avere attraversato il corso Umberto gremito di folla, fu ricevuto in Municipio. Quindi, dal balcone di Palazzo di Città, dopo i saluti del sindaco Gaetano Rao, di Ignazio Caramazza e di Giovanni Guarino Amella, tenne un discorso. L’indomani sera, sempre nel Municipio, si tenne una riunione elettorale cui parteciparono gli esponenti del Blocco Popolare ed alcuni rappresentanti delle organizzazioni politiche ed economiche cittadine. Nel mese di agosto Gaetano Rao scrisse sul Corriere di Girgenti un articolo in cui esaltava le qualità del candidato socialista che non aveva esitato a schierarsi contro Francesco Crispi - che pure “lo amava come un figliolo” -  allorché lo statista riberese decise ed attuò la repressione dei Fasci Siciliani. 
A novembre Giuseppe Marchesano fu eletto deputato e il popolo socialista di Canicattì lo festeggiò cantando per le vie della città:

Evviva il Socialismo
e Dio che l’ha creato!
Evviva Marchesano
che è nostro Deputato!

Il deputato socialista Marchesano avrebbe tuttavia deluso del tutto le aspettative dei canicattinesi. Tra i più amareggiati l’avv. Francesco Macaluso che, già nel 1909, ne aveva sostenuto la candidatura sul suo giornale La Folla. E, nel 1913, allorché Cesare Gangitano ripropose la sua candidatura alla Camera, sul Corriere di Girgenti Macaluso tuonò contro il candidato del blocco moderato: “Cesare Gangitano sarà gettato giù dalla grande coorte di elettori, venuti su, dal suffragio universale, che egli stesso votò. Non gli resterà che il divano di casa sua. E si accomodi pure” (La guerriglia di Canicattì, in Corriere di Girgenti, Girgenti 2 febbraio 1913). 
A Giuseppe Marchesano si rivolsero, invano, nel 1914 - per sollecitarne l’intervento presso il governo al fine di ottenere l’approvazione del progetto del nuovo acquedotto Gulfi - i rappresentanti delle leghe di Canicattì: Vincenzo La Torre per il Circolo Operai, Gaetano Lo Sardo per la Lega muratori, Pietro Caramannello per la Società cooperativa, Giuseppe Moncado, Vincenzo Frangiamone e Gaspare Failla per le leghe dei contadini, Giovanni Cerenzia per i terrazzieri e Gaetano Corbo per gli albericoltori. I rappresentanti dei lavoratori canicattinesi, nel giudicare “impotente e deleteria” l’amministrazione locale, facevano notare: “… per la deficienza d’acqua viene ritardato l’impianto di molte industrie dove tanti operai troverebbero proficuo lavoro… considerando che non è umano speculare sulla pazienza d’un nobile popolo e che, data l’eccitazione generale, gravi sarebbero le conseguenze se dovesse perdurare un inesplicabile e così persistente abbandono, considerando che è un’aperta ingiustizia la manomissione dei loro sacrosanti diritti di uomini e di cittadini (tenuto conto che vane sono state le promesse dei locali amministratori)…” (Le grandi manovre elettorali- Il proletariato contro l’amministrazione, in La Riforma, Canicattì 22 marzo 1914).
La lotta tra Cesare Gangitano e Giuseppe Marchesano vide la partecipazione e contrapposizione di tutto il popolo canicattinese. Ancora oggi risuona nelle conversazioni un’espressione coniata allora, avarà Cecé, ad indicare che anche i più potenti sono destinati, prima o poi, a cadere.
Anche Leonardo Sciascia, pur non essendo canicattinese, è stato colpito da questa vicenda memorabile e, in Occhi di capra, ha riportato i versi cantati da tutto un popolo dopo la vittoria di Giuseppe Marchesano e che abbiamo sopra riportato. Lo scrittore di Racalmuto commetteva però un grave errore sostituendo il nome di Marchesano con quello di Gangitano e trasformando quest’ultimo, nientemeno, in un pericoloso socialista… seppur “creato da Dio”.
Giuseppe Marchesano

Canicattì: 29 giugno 1913
La folla accoglie in corso Umberto
il candidato socialista Giuseppe Marchesano

Canicattì: 29 giugno 1913
L'avvocato Marchesano in visita al Municipio



GAETANO AUGELLO 


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