Gaetano Augello, LA CHIESA E IL CONVENTO DI SAN DOMENICO

Sotto la baronia di Filippo II Bonanno e La Rocca Canicattì si arricchì, fra il 1609 e il 1612, di una delle sue chiese più belle, quella di San Domenico, con l’attiguo convento dei padri predicatori o domenicani. La data di completamento dei lavori, 1612 appunto, è scolpita in alto sul muro prospiciente il portone di ingresso dell’ex convento. Il 1612 è considerato l’anno di completamento dei lavori da parte degli storici locali, tra cui Pietro Candiano, mentre altri importanti studiosi, e in particolare Rocco Pirri, propendono per il 1613. 

Il 1613 è considerato l’anno ufficiale di fondazione del convento, peraltro ancora in costruzione, dal censimento generale dell’Ordine dei Predicatori, redatto proprio in quell’anno. In ogni caso i primi domenicani erano giunti a Canicattì qualche anno prima per sovrintendere ai lavori. Il  vescovo di Girgenti Vincenzo Bonincontro (1607-1622), infatti, il 15 novembre 1610 aveva concesso al superiore provinciale dell’ordine apposita autorizzazione ad erigere un convento cum eius ecclesia campanile sepulturariis officinis claustro sacellis aliisque in dicto conventu necessariis per fratrum dictae religionis usu et habitatione (con la sua chiesa, il campanile, le strutture concernenti le sepolture, il chiostro, le cappelle e quant’altro necessario nel predetto convento per le necessità e le dimore dei frati del predetto ordine). (Archivio Curia Vescovile di Agrigento, Atti dei Vescovi, registro a, 1610-1611, ff 829-830). 
I lavori iniziarono subito dopo l’autorizzazione vescovile: già il 1° dicembre 1610 mastro Stefano di Gesù dava assicurazioni al superiore del convento sulla realizzazione di un carro adeguato al trasporto dei materiali di costruzione; il 21 luglio 1611 il mastro castrofilippese Filippo La Licata assicurava la fornitura di una quantità di calcina adeguata alla costruzione del convento. I lavori andarono avanti celermente e il 23 giugno 1611 Filippo Bonanno provvide al saldo delle spese già maturate con un contributo di 368 onze . Non è possibile indicare il succedersi delle varie fasi della realizzazione dell’opera: ci saranno stati dei rallentamenti, ma la struttura che oggi rimane fa pensare ad una progettazione unitaria. 
Filippo II morì nel 1619 determinando un rallentamento nella costruzione. Il figlio Giacomo, grande mecenate di Canicattì, non mostrò particolare interesse per il convento e la chiesa di San Domenico e fece realizzare la sua cappella gentilizia nella chiesa dello Spirito Santo. Tuttavia nel suo testamento del 16 dicembre 1636 dispose in favore del convento domenicano un lascito di 300 onze, cento delle quali da destinare al trasferimento da Siracusa dei resti del padre Filippo e alla loro sepoltura nella Cappella Maggiore della chiesa dei domenicani di Canicattì; le altre 200 furono destinate al completamento ed abbellimento della medesima Cappella. Il testamento ci dice ovviamente che nel 1636 la chiesa e il convento erano già stati completati. 
Pare che nei primi decenni il convento di Canicattì non avesse molta importanza all’interno dell’ordine. Nel già citato censimento dell’ordine domenicano del 1613 si insiste sulla inadeguatezze delle rendite del convento: Est locus oppidi Candicattini sub titulo S. Dominici habens redditus: temporales 110. Non habens redditus spirituales quia modo penitus fundatur; modo sunt duo fratres qui vacant fundationi ipsius (vi è una sede della città di Canicattì sotto il titolo di San Domenico che possiede 110 redditi temporali. Non possiede redditi spirituali poiché viene fondato soltanto adesso nella sua interezza; vi sono soltanto due frati che si dedicano alla sua realizzazione). (S. L. Forte, O.P., "La provincia domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613", in "Archivium Fratrum Praedicatorum", XLV, 1975, p. 266) 
Il convento di Canicattì era ancora soltanto un locus o vicariato; per diventare priorato doveva avere delle rendite tali da poter mantenere almeno 12 monaci. Nelle intenzioni dei fondatori, il convento era destinato a sviluppi ulteriori: non si spiegherebbe diversamente la grandiosità e completezza della struttura realizzata. Per tutto il secolo XVII tuttavia il convento di Canicattì continuò ad avere scarsa importanza nell’ambito della Provincia Domenicana di Sicilia: ciò si deduce dal modesto spazio ad esso riservato nei resoconti stilati dai frati visitatori dei vari conventi. Nei primi del Settecento il convento, che nel frattempo aveva assunto il titolo di Maria SS. del Rosario, assurse finalmente al rango di priorato; ma solo per poco tempo se nell’Ordo Conventum della provincia siciliana relativo all’anno 1734 si parla di “SS. Rosarii Candicatteni (fond. 1613) Vicariatus” (M. A. Coniglione O.P., "La Provincia Domenicana di Sicilia – Notizie storiche documentate", Catania, 1937). Nel 1866, quando il convento fu soppresso, la comunità domenicana di Canicattì risultava composta da appena quattro religiosi. 
L’edificio, con pianta a corte chiusa di forma rettangolare, ha come dimensione massima ml. 32,55 x 29,12; l’altezza è di circa 15 ml. Notevoli le dimensioni della struttura: un piano seminterrato di mq. 382; un piano terra di mq. 966; un primo piano di mq. 990. La corte interna è estesa mq. 943; accanto al convento, tra le vie Foscolo, Tito Speri e Milano, sorge un giardino di mq. 2.098. Alcuni documenti parlano di claustrum di S. Domenico: si riferiscono ovviamente alla corte interna, dal momento che nell’edificio non esiste traccia alcuna del loggiato solitamente presente negli antichi conventi.
Secondo lo storico Rocco Pirri la chiesa di San Domenico godeva di una rendita annua di 135 onze: Domenicanorum coenobium a. 1613 extructum, ac annuis unc. 135 dotatum ab eodem Philippo, fratres sunt 6 (il convento dei domenicani, costruito nel 1613, dotato di 135 onze annue dallo stesso Filippo, i frati sono sei). (Rocco Pirri, "Sicilia Sacra…",  Palermo, 1733)   
All’interno della chiesa si ammiravano tele del Signorelli, del Sessa e del Provenzani andate in gran parte distrutte. Il pittore Domenico Provenzani da Palma di Montechiaro, città ove affrescò la chiesa delle Benedettine, abbellì la volta di San Domenico con i seguenti dipinti: l’apparizione di San Domenico a papa Pio V, San Domenico coi santi Pietro e Paolo, San Domenico mentre distrugge i libri degli eretici, la Madonna del Rosario, lo stemma dell’ordine domenicano raffigurato da un cane con una fiaccola in bocca. 
Queste ed altre opere andarono distrutte a seguito del crollo del soffitto avvenuto nella notte tra il 16 e 17 gennaio del 1962; la volta fu ricostruita nel 1967. Nel 1984, durante i lavori di sistemazione delle pareti, sono state scoperte, ai lati dell’abside, due statue un po’ danneggiate di San Domenico e San Tommaso d’Aquino. Ben conservate invece tre pregevoli sculture di Nicolò Bagnasco: la Madonna del Rosario, il Bambino Gesù detto di  Capodanno e San Vincenzo Ferreri. Lo stesso artista attorno all’altare della Madonna del Rosario realizzò quindici pannelli raffiguranti i misteri del Rosario. A San Domenico esisteva in passato un altare dedicato a San Giacinto. 
Il convento dei domenicani ha svolto un ruolo importante nella vita culturale, sociale ed economica della città, attorno al quartiere detto di li Putieddi, un quartiere assai vivace e ricco di attività commerciali, soprattutto dopo la costruzione del palazzo La Lomia. I suoi vasti ambienti, dopo la confisca dei beni ecclesiastici del 1866, furono destinati dal Comune a varie finalità.  E’ stato purtroppo distrutto da un incendio l’archivio del convento, che avrebbe consentito una più puntuale collocazione  storica dello stesso all’interno dello sviluppo urbanistico e sociale della città. Tra i domenicani illustri di Canicattì ricordiamo padre Lodovico Leone La Lomia che intervenne autorevolmente a Roma per dirimere una disputa teologica tra domenicani e gesuiti ed insegnò Teologia Dommatica nel Seminario Vescovile di Girgenti nel 1714 e 1715.

L’ordine dei domenicani fu il braccio operativo del Tribunale della Santa Inquisizione, istituito nel 1467 ma che operò in Sicilia solo dal 1513. A Canicattì come commissario del Sant’Uffizio fu nominato il frate domenicano Domenico Testasecca che però ebbe poco da fare dal momento che in città non vi erano ebrei o appartenenti ad altre religioni. Fu emessa una sola condanna: contro una canicattinese di sessant’anni, Vincenza  Cinquemani, accusata di stregoneria. La donna fu processata a Palermo nel 1724, condannata e costretta a subire il pubblico ludibrio per le vie della città, ma le furono risparmiate, in rispetto dell’età, le sferzate canoniche; infine fu rinchiusa per cinque anni nelle prigioni del Sant’Uffizio, nel Palazzo Steri di piazza Marina. (Francesco Renda, "L’inquisizione in Sicilia - I fatti. Le persone", Palermo, Sellerio, 1997).
Gaetano Augello

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