Nel 1880 il Comune di Canicattì realizzò
un molino a vapore, il primo in Italia e in Europa, nei locali ove oggi è
allocata la Scuola Media “Giovanni Verga” e che allora consistevano nel solo
piano terra utilizzato come fabbrica di laterizi. L’idea fu del patriota
Vincenzo Macaluso che ricopriva in quegli anni l’incarico di consigliere
comunale.
La proposta di costruire un molino a
vapore all’interno del centro abitato, per renderlo più fruibile da parte dei
contadini a volte privi di adeguati mezzi di trasporto, fu accolta con
entusiasmo dall’intero Consiglio. In pochi giorni i cittadini sottoscrissero la
somma di £. 80.000 che doveva aggiungersi all’impegno finanziario concesso dal
Comune. I gestori dei molini privati reagirono con forza presso il governo fino
ad ottenere lo scioglimento del Consiglio Comunale per inesistenti motivi di
ordine pubblico. Ma anche la nuova amministrazione dovette accettare la volontà
popolare ed il molino entrò in funzione.
Vincenzo Macaluso e gli altri cittadini
sottoscrittori volevano la gestione pubblica del molino per tre motivi:
controllare il prezzo della farina attraverso una tassa di molenda inferiore a
quella praticata nei molini baronali e sgravandolo del costo del dazio;
combattere le frodi ed i furti perpetrati dai mugnai privati; portare avanti
l’idea di impiegare il pubblico denaro in opere produttive di interesse
generale e non in pranzi, feste o ricevimenti.
L’apertura del molino comunale ebbe grande
successo: si pensi che nel solo mese di agosto del 1880 diede un utile di circa
quattrocento lire al giorno. I mugnai privati furono quindi spinti dalla
concorrenza pubblica a diminuire anch’essi il prezzo della molenda e furono
costretti a gestire i loro opifici con maggiore onestà. La competitività del
molino comunale spinse tanti abitanti dei comuni limitrofi a venire a Canicattì
per meglio soddisfare le loro esigenze, arrecando in tal modo notevole
vantaggio alle casse del Comune.
L’incarico per la realizzazione e l’installazione
del molino a vapore era stato affidato, dalla Giunta Municipale presieduta dal
sindaco Salvatore Gangitano, all’ingegnere Federico Tabasso. Nella
delibera del 20 novembre 1874 si disponeva la costruzione di sei stanze e della
canna fumaria.
Nel primo decennio del Novecento, per gli
effetti dell’avanzato processo di industrializzazione, della conversione delle
colture agricole e per lo sviluppo del processo di elettrificazione dei
macchinari, l’attività del molino a vapore divenne poco vantaggiosa per il
Comune. Il 27 ottobre 1906 il Consiglio Comunale fu chiamato a deliberare sul
capitolato d’appalto del molino relativamente al novennio 1907-1915.
All’unanimità fu deliberato di concedere il molino “di contrada Santa Croce” a
gabella: la base d’asta fu fissata in lire 6.500 annue. L’appaltatore non
avrebbe potuto pretendere compenso alcuno se per effetto di siccità si fosse
determinata carenza d’acqua; in tal caso avrebbe potuto “a sue
spese edurre l’acqua dalla sorgiva comunale del torrente Fontanelle e
propriamente dallo sbocco dell’acquedotto Cupani” e, se fosse venuta meno anche
questa possibilità, avrebbe dovuto attingere l’acqua “dalle sorgive vicino,
tranne di quelle che alimentano le fontane pubbliche” (Archivio comunale, Delibera
di Consiglio del 27 ottobre 1906).
Il 27 novembre e l’undici dicembre 1906
l’asta andò deserta. Il Consiglio Comunale, nella seduta del 23 gennaio 1907,
su proposta del consigliere Pillitteri, deliberò la riduzione della base d’asta
da £ 6.500 a £ 5.000. Ma, il 27 febbraio 1907, andarono deserti “gli
esperimenti per gabellare il Molino con la base ridotta a £ 5.000 per come si
deliberò nel 23 gennaio 1907”. Il Consiglio Comunale di conseguenza, nella
seduta del 14 luglio successivo, deliberò di ridurre la base d’asta
dell’affitto del molino da £ 5.000 a £ 3.000 “costituendo il complesso canone
pel novennio a £ 27.000”. Il successivo 28 agosto la gara ancora una volta andò
deserta e l’opificio rimase sfitto.
Con delibera dell’undici luglio 1912 il
regio commissario Riccardo Padula contestò agli assessori in carica nel 1909 di
avere lasciato sfitto il molino. Gli assessori, Salvatore Lombardo, Ignazio
Caramazza, Vincenzo Maira, Giovanni Guarino Amella e Antonio Adamo, il 30
luglio inviarono al Consiglio di Prefettura di Girgenti le proprie
controdeduzioni ribadendo la legittimità del loro operato. Il molino comunale
era rimasto sfitto perché non in grado di reggere la concorrenza con i nuovi
molini a gas povero, mentre l’opificio comunale funzionava con macchine a
vapore ormai superate: aveva 160 giri di molino, mentre gli altri ne avevano
120 o meno. Gli assessori affermavano altresì che non si era proceduto alla
vendita del bene perché, pur avendo esso perduto la sua utilità patrimoniale,
conservava la funzione sociale di calmiere che ne aveva determinato la
costruzione.
Nell’estate del 1910 i proprietari degli
altri molini elevarono enormemente il prezzo della molenda; il consigliere
Vincenzo Livatino, nella seduta del 9 luglio 1910, si fece interprete del
malcontento della popolazione e la Giunta Comunale minacciò di effettuare delle
riparazioni e di ripristinare il molino e ciò bastò per convincere i privati a
ridurre la molenda a centesimi 20 il tumulo (kg. 14). Se dunque era impossibile
affittare il molino comunale per ragioni tecnico-industriali, era opportuno
conservarlo per servirsene, in caso di necessità, come calmiere. Anche l’asta
per la vendita di due caldaie fuori uso indetta il 23 gennaio 1907 andò
deserta: il prezzo di £ 420 ciascuna non fu ritenuto appetibile. Il 23
settembre fu deliberata una nuova asta per la vendita delle due caldaie in
ferro al prezzo di £ 55,00 la tonnellata. L’opificio fu dismesso nel
1915.
Le varie amministrazioni cercarono di
utilizzare al meglio la struttura dell’ex molino: nei magazzini furono ospitati
i soldati presenti saltuariamente a Canicattì per motivi di ordine pubblico,
per gli addestramenti di tiro e per manovre di esercitazione. Alcuni lavori di
adattamento a caserma militare furono affidati alle ditte Calogero Tavella di
Ignazio e Giuseppe Tavella. La presenza dei soldati in città era sempre
gradita, soprattutto da parte dei proprietari di alloggi e osterie. Grande
delusione aveva perciò suscitato, il 6 settembre 1798, la decisione adottata da
un piccolo distaccamento di trenta soldati, provenienti da Caltanissetta e
destinati al presidio di Torre di Gaffe, di fermarsi in città per una sola
notte. I militari, al comando del capitano Alessandro Cedronio, ebbero
vitto e alloggio nei magazzini del Castello e ripartirono l’indomani con i loro
32 cavalli.
L’ex molino fu utilizzato anche come
locale di isolamento e affittato in più occasioni per finalità varie.
La Giunta Municipale, con delibera del 12
febbraio 1916, bandiva la gara per la vendita dei materiali provenienti dalla
demolizione dell’ex molino. In data 11 maggio 1916 veniva stipulato un
contratto con la ditta Lazzaro Lazzarini che si impegnava all’acquisto di 11
macine di pietra silicea, di altezza totale di cm 236.5, al prezzo di £ 1,22
ciascuna; di un asse di trasmissione in ferro dolce del peso di kg 158; di due
pulegge, due gru e un martinetto semplice. Rimasero in vendita due caldaie che
furono acquistate in data 19 aprile 1917 da Nicolò Cammarata.
La Municipalità pensò, all’inizio degli
anni Venti, di ristrutturare i locali dell’ex molino come sede della Pretura e
a tale scopo fu realizzato un secondo piano. I lavori iniziarono il 4 dicembre
1926 e terminarono il 9 gennaio 1928; il loro costo fu di £ 194.048,60. I nuovi
locali furono inaugurati il 28 ottobre 1928, ma la Regia Pretura vi rimase per
poco tempo e l’edificio fu utilizzato come sede della caserma “XXVIII Ottobre”
e poi, a partire dall’anno scolastico 1933-1934, come sede del Regio Ginnasio
“Giovanni Verga” che era stato istituito il 1° ottobre 1932.
GAETANO AUGELLO
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