Mi soffermo sulla prima parte, dedicata da lei al caso del
Vescovo Angelo Ficarra.
Ho notato che, pur prendendone
prudentemente le distanze, fa sostanzialmente propria la lettura fattane da
Antonio Corsello, il quale, al di là della fondatezza delle cose dette - (del
tutto false sono ad esempio le affermazioni sulla sua salute, che impunemente
muove pure il card. Piazza: che non
ci sentiva, non ci vedeva) - si sofferma su aspetti secondari, del tutto
marginali, che non fanno comprendere l’acutezza dello scontro culturale col
potere di Pio XII, papa Pacelli, e col suo braccio destro, Cardinale Piazza. Le presunte carenze di carattere pastorale, riferite alle
condizioni della diocesi di Patti, furono un semplice pretesto usato per
coprire una decisione di ordine essenzialmente politico culturale nei confronti
del Ficarra, il quale era lontano dalla concezione costantiniana della
chiesa di allora.
Va intanto detto che fra Mons. Angelo
Ficarra e Pacelli vi era una radicale differenza culturale ed anche sociale, di
classe: il primo, Pacelli, esponente dell’aristocrazia romana, il secondo nato in un borgo di
Canicattì, S. Biagio, in una stanza dove vivevano insieme ben otto persone, un
luogo che oggi diremmo una stalla. Il primo con un chiaro orientamento a favore del fascismo e del nazismo (vs. in
particolare in Fattorini “Pio XI, Hitler e Mussolini”,
ed. Einaudi, l’occultamento di Pacelli dell’enciclica
contro il fascismo di Pio XI; la sua operazione Von Papen nel governo Hitler ed il concordato
col regime nazista del ‘33), il secondo vicino al pensiero modernista e critico
aperto del regime fascista (vs. articoli pubblicati sul periodico regionale “Primavera
Siciliana” il 20 luglio 1923 ed il 15 febbraio 1925, ed il caso
emblematico di Librizzi del 1938 e sua ferma risposta a Pacelli). Il Ficarra ne “Le devozioni materiali” manifesta una
concezione del cristianesimo essenzialmente come spiritualità, una scelta
morale che involge alla radice ogni aspetto della vita del soggetto. Donde la
sua critica dura, radicale, ed a tratti anche violenta, di tutte le forme di
paganesimo e di feticismo presenti nella pratica religiosa cattolica. E’ una
posizione, questa, che lo accomuna molto allo “spirito” ed alle idee del
modernismo. Non a caso egli, quando nel 1907 venne pubblicata l’enciclica “Pascendi
dominici gregis” di Pio X,
che condannava il modernismo, la criticò in modo aperto ed inequivoco,
appellandola spregiativamente “nuovo Sillabo” (vs. in allegato sua
corrispondenza col Curella e sua notazione nel diario del 1907. Ho fatto un
lavoro di archiviazione di tutte le ‘carte’ di Mons. Ficarra da me detenute, e
le ho quindi donate al Vescovo di Patti, così come ha pure fatto mio fratello
Angelo per quelle da egli detenute. Una copia in pdf l’ho fatta avere anche al
dr. Brancato Giuseppe per la sua monumentale biblioteca on line). E non è
neppure casuale che egli si sia rivolto ad Ernesto Buonaiuti, esponente di
primo piano del modernismo italiano e per questo motivo scomunicato dalla
Chiesa cattolica, per avere dei pareri e dei consigli in merito alla sua opera
su S. Girolamo, come testimoniato dalla lunga corrispondenza fra i due
intercorsa. La sua critica radicale di ogni forma di irrazionalismo, nonché, si
ripete, del “materialismo”, largamente presenti nel culto cattolico, ne fanno,
per certi aspetti, un anticipatore di posizioni che si manifesteranno, anche
all’interno della chiesa Cattolica, dopo gli inizi degli anni ‘60. Questo suo
aspirare ad una religione che non sia in contrasto con le istanze della
ragione, spiega perché egli persegua l’obiettivo, espressamente dichiarato nel
suo “Le devozioni materiali”, di
realizzare “un equilibrio tra la cultura laica e la cultura religiosa”.
E spiega anche come egli abbia trovato del tutto naturale compiere degli studi
e delle ricerche assieme ad un filosofo, suo amico, ateo e socialista, A.
Sacheli, fino a quando non ne ricevette espresso divieto dalla gerarchia
ecclesiastica.
Queste succinte notazioni fanno comprendere la sua
distanza siderale dalla cultura reazionaria di un Pacelli, che, con scandalo di
tanti cristiani arrivò a proclamare, nel 1950, il dogma dell’assunzione
‘corporea’ di Maria in cielo. Chi era profondamente credente in Gesù Cristo e
nella Madonna ‘mater dei’, ne rimase colpito negativamente, avendo fede
nell’assunzione di Maria in cielo, ma in puro spirito, come dicono anche tutti
i cristiani di oriente, da Costantinopoli ad Atene e Mosca; non col suo corpo,
rispecchiando tale credenza una concezione quasi pagana.
Come ora evidenzierò, le
presunte carenze di carattere pastorale, (c. d. condotta morale criticabile di
alcuni sacerdoti, presente in tutte le diocesi del mondo, e pure a Patti anche
prima di Ficarra; ammanchi nella Pontificia Opera assistenza per opera di un
prete, cosa che ‘fece soffrire moltissimo Ficarra’; gli incarichi di
Tricoli, ‘autorevole per la sua fama di intelligenza e cultura’,
giustamente conferitigli da Mantiero e confermati da Ficarra), in merito alle
quali rinvio al saggio giudizio di Gaetano De Maria (in ‘Memoria di Mons.
Ficarra’), non costituivano intanto, come erroneamente si è scritto, ‘una
questione morale’. Invero, parlando di “condotta morale”, il
riferimento avrebbe dovuto, semmai, essere fatto a cose veramente serie e
gravi, come ad esempio al rapporto fra chiesa e mafia, fra chiesa e finanza
corrotta, con riferimento, s’intende, ove in mera ipotesi una denuncia fosse
stata da fare, alla diocesi di Patti nella gestione Ficarra. E’ noto invece che
la gerarchia vaticana del tempo, manifestando interessi ben diversi da quelli
di carattere ‘pastorale-religioso’, omise di colpire il cardinale
Ruffini, il quale, per occultarla, arrivò fino a dire che la mafia non
esisteva; non cacciò subito via Marcinkus e con lui quegli
ecclesiastici, di altissimo grado e rango, che l’avevano aiutato, protetto ed
anche guidato nelle operazioni dello IOR e nei rapporti con Calvi, Sindona e
con tutta la finanza collegata alle organizzazioni politico-mafiose di
allora. Per non dire, ovviamente, delle gravissime colpe morali dei
vescovi, cardinali e pontefici che esaltarono il potere dittatoriale di
Mussolini, osannato come “l’uomo della Provvidenza divina”, come
fece ad esempio Peruzzo nella sua pastorale dell’aprile 1937, ampiamente
citata da Renda nel volume II della sua “Storia della Sicilia”.
Le succitate presunte carenze di
carattere pastorale non potevano quindi essere e non sono il motivo della ‘inflessibile’
fermezza di Pacelli e di Piazza nei confronti di Ficarra, fermezza arrivata
anche al meschino e volgare falso delle ‘dimissioni’ mai da quest’ultimo
date.
Va ricordato che Pacelli con decreto
della Congregazione del Sant'Uffizio del 1º luglio 1949 scomunicò chi si iscriveva al
partito comunista e comunque dava ogni forma di appoggio ad esso, anche
indiretto.
La prima accusa mossa al vescovo
Ficarra fu, come noto, di non aver agito per impedire il successo di una lista
massonico – comunista; ché il comunismo era stato già da tempo, dal concordato
con i nazisti del ’33, indicato da Pacelli come il vero nemico della Chiesa.
Nel 1950 mons. Angelo Ficarra
dà la sua pubblica adesione all’appello per la Pace di Stoccolma (vs. allegato),
promosso, come noto, dal movimento dei “Partigiani
della Pace” col sostegno aperto del movimento comunista internazionale.
- Ciò avviene in pieno clima anticomunista, di caccia alle streghe,
tanto che Ruffini, non soddisfatto della sola scomunica religiosa, chiese,
in una lettera a Scelba, la messa fuori legge del partito comunista. Il
vescovo Peruzzo invitò clero e fedeli a rompere ogni
rapporto coi comunisti. Il Santo Uffizio, come noto, aveva proibito,
sotto pena di scomunica, anche di “dare (semplice) appoggio
ai partiti comunisti”, di “appoggiare associazioni organizzate
direttamente dal comunismo, anche se camuffate sotto altri nomi” ,
quali erano i Partigiani della Pace. Di cui era infatti Presidente
Federico Joliot Curie, premio Nobel per la Fisica, noto partigiano e
comunista, ex Presidente del Fronte nazionale della resistenza in Francia.
Renda, nella sua “Storia della Sicilia” (vol. III, pag. 303), nel ricordare
l’adesione del vescovo di Patti, mons. Ficarra, sottolinea che il fatto “fece
sensazione, stante la scomunica della chiesa contro i partiti marxisti”.
Angelo Ficarra diede la sua adesione, con spirito evangelico, in osservanza del
principio fissato nel suo diario del 1907: “il bene (della
pace) riceviamolo, da qualunque parte esso venga”. Il suo pensiero era evidentemente consonante con quanto scriveva nel 1949
Carlo Arturo Jemolo su “Il Ponte”, nell’articolo “Muoia Sansone con
tutti i filistei” : “si è formato diceva
- un fronte opaco, nel quale sono uomini che abbiamo sempre
disprezzato, ed uomini che abbiamo amato , il fronte che si chiama
dell’anticomunismo”. Dal quale egli, Jemolo, da cristiano laico,
progressista ed antifascista, prendeva apertamente le distanze.
Ficarra, secondo il decreto pontificio
del 1° luglio 1949, avrebbe dovuto essere scomunicato per questa sua pubblica
adesione all’appello di Stoccolma. Invece, Pacelli e Piazza non ne fanno mai
cenno, salvano ipocritamente le apparenze del potere, cui soprattutto tengono,
e scelgono di perseguitarlo sino alle orchestrate ‘dimissioni’ per circa dieci
anni, attaccandolo, con ricorso pure a false accuse, nella sua dignità di uomo
e pastore di anime. Riporto sul punto la conclusione della introduzione di
Guadagnino alla biografia di A. Ficarra scritta da Gaetano Augello: “Il candore scomodo di mons. Ficarra fece di lui un limpido
testimone della spietatezza del potere e, in virtù di tale destino, un
contemporaneo dei suoi posteri, come tutti coloro che essendo giusti hanno
subito l'ingiustizia e che in quanto tali non appartengono a nessuna chiesa ma
all'umanità tutta, finché sopravviverà il senso della dignità e della pietà”.
Circa la totale falsità delle accuse
mosse dolosamente dal cardinale Piazza sulle <<non più floride
condizioni di salute di (A: F.)>>, nel quale, a suo dire, nel 1952
sarebbe <<sopraggiunto un indebolimento della vista e dell’udito>>,
basta tenere presenti, non solo le testimonianze delle centinaia di persone che
andarono a trovarlo a Canicattì fra il ’57 ed il ’59, intrattenendosi a parlare
con lui, ma in particolare le parole dette da Mons. Armando Fares,
arcivescovo di Squillace, in occasione dell’ultimo discorso tenuto in pubblico
da A. F. a Patti il 23 ottobre 1954, al congresso mariano : <<ma
era questo il vescovo cieco e malandato di salute?>> (v. in biografia
di A. F. di Augello, p. 143).
L’inquisitore, cardinale
Adeodato Piazza, ben conosceva le posizioni culturali di Angelo Ficarra,
il suo essere stato vicino al pensiero modernista, la sua
critica ferma di ogni forma di irrazionalismo paganeggiante e di volgare
materialismo, presenti in tanti riti del culto cattolico, il suo aspirare ad
una religione che non fosse in contrasto con le istanze della ragione, sì da
dichiarare nel suo libro “Le devozioni materiali”
- che Piazza, da esperto inquisitore, certamente aveva letto -, di voler
realizzare “un equilibrio tra la cultura laica e la cultura religiosa”,
come diceva Jacques Maritain: una bestemmia per Pacelli. Sono queste posizioni culturali che quest’ultimo e Piazza
vogliono colpire, senza però ipocritamente farne cenno nell’accusa, specie dopo
la sua pubblica adesione all’appello di Stoccolma dei partigiani della Pace.
Per il potere vaticano, la cui misura era già colma dopo le prime elezioni
amministrative di Patti, sì da scrivere: “dappertutto si lavora
per Dio, a Patti, sede vescovile, ha vinto il
comunismo, si è lavorato per Satana”, non poteva consentirsi di
andare oltre: donde la cieca e dura inflessibilità della macchina
persecutoria che lo macina come il grano, come fosse una cosa e non un uomo.
Tra l’inquisitore Piazza e Ficarra vi
era poi una inconciliabilità di posizioni politico-culturali, in quanto il
primo, fascista dichiarato, arrivò ad esaltare l’amicizia con la Germania
nazista quando era patriarca di Venezia, e ad accettare esplicitamente i
provvedimenti razziali del governo Mussolini, in un momento in cui, peraltro,
detti provvedimenti avevano incrinato le relazioni fra la chiesa di Pio XI ed
il fascismo. (vs. sul punto Ernesto Brunetta in <<Storia d’Italia – Le
Regioni – Veneto>>, ed. Einaudi, pag. 973, 974; e vs. pure Reberschak
“Veneti fra fascismo ed antifascismo”, in “Movimento cattolico e
sviluppo capitalistico”, Padova, 1974, p, 155). - Il Piazza, poi,
repubblichino convinto, si schierò apertamente con la Repubblica di Salò, tanto
che lo storico Dinelli, in “La guerra partigiana nel Veneto”, Venezia,
1976, p. 85-86, ebbe a dire che in lui, Piazza, <<legalitarismo e
conservatorismo cattolico raggiungevano manifestazioni estreme, assumendo un
preciso significato: quello di favorire e fiancheggiare la politica
nazifascista>> - (vs pure Brunetta, op. cit., pag. 1016).Sono queste
posizioni del Piazza a spingere Pacelli ad averlo suo vicino e stretto
collaboratore, come responsabile del dicastero della Congregazione del
Concilio, per ‘vigilare’, secondo la sua visione politico-religiosa, sulle
diocesi di tutto il mondo.
Le posizioni della chiesa di oggi, pur con forti
resistenze, sono molto cambiate dai tempi neri di Pacelli. La teologia della
liberazione non è più perseguitata, Antonio Rosmini dall’inizio di questo
secolo è stato riabilitato, e due anni fa è stato presentato un appello con
diverse centinaia di adesioni, fra cui Mancuso, Bettazzi, Prosperi, e molte
comunità cristiane di base, come ‘Nuovi Orizzonti’ di Messina, per la
riabilitazione di Ernesto Buonaiuti.
Fermo restando il giudizio espresso da Diego
Guadagnino, pensiamo quindi sia possibile che la Chiesa Cattolica riveda il
negativo processo intentato fra la fine degli anni ’40 e gli anni ‘50
contro Mons. Angelo Ficarra.
Padova, 6 febbraio 2017
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