Nel 1899 si costituì, autonomamente, una “Commissione per la
costruzione di un Teatro a Canicattì” presieduta dal commendatore Salvatore
Lombardo Ricca. La Commissione iniziò una pubblica sottoscrizione che, in poco
tempo, fruttò £ 29.953,70. I soldi venivano raccolti e certificati mediante
apposita ricevuta staccata da bollettari intestati “Comitato per la costruzione
del Teatro” e regolarmente firmati dal cassiere.
Il 27 dicembre 1899 lo scienziato
Antonino Sciascia contribuì con 25 lire. Anche l’assemblea dei soci del locale
Circolo di compagnia, il 21 febbraio 1904, decise di partecipare alla
sottoscrizione con una delibera davvero singolare: sarebbero state versate “£
8.000 da pagare a £ 1.000 ogni fine anno incominciando dal 1905”.
Per la costruzione del Teatro la
Commissione chiese al Comune la concessione dell’area edificabile “Giardino
Carmine”, nelle immediate vicinanze della piazza principale della città. Il 15
marzo 1899 il Consiglio Comunale, presieduto dal sindaco Enrico Gangitano,
concesse l’area.
Della progettazione fu incaricato
l’architetto professor Ernesto Basile. Il grande maestro del liberty preparò un
primo progetto nel 1899.
Il Comune di Canicattì teneva molto
alla realizzazione del teatro e, prima di quello del Basile, erano stati
presentati altri tre progetti. Il primo era stato presentato nel 1873
dall’ingegnere capo del Genio Civile di Girgenti Angelo Carelli che ne aveva
fatto dono al Comune; il Carelli per i disegni si era avvalso della
collaborazione dell’ingegnere Salvatore Lo Presti che insisteva, invece, per il
pagamento delle sue spettanze; la Giunta nel 1874 disponeva il pagamento di £
50 in favore del Lo Presti, mentre ringraziava Carelli per la sua generosità.
Intanto però, nello stesso 1873, il
Comune affidava la modifica del progetto Carelli all’ingegnere
Francesco Tabasso che vi provvedeva in tempi rapidi, consegnando in
data 8 marzo 1874 un progetto di massima di £ 116.000; anche Tabasso offrì
gratuitamente il suo lavoro e il Comune lo ringraziò regalandogli un oggetto.
Il terzo progetto, dell’ingegnere
Dionisio Sciascia, fu presentato il 10 aprile 1883 con una previsione di spesa,
per un primo stralcio, di £ 11.700 (11.029 per lavori, 671 per impreveduti). Il
progetto del Tabasso prevedeva un teatro di piccole dimensioni:
centocinquanta posti in platea, un loggione per cento persone e venticinque
palchi su due ordini, oltre agli ambienti di servizio come biglietteria,
guardaroba, camerini per gli attori, due caffè e “alloggio del caffettiere”; la
platea si sarebbe raggiunta attraverso un portico e un vestibolo.
Più impegnativo il progetto dello
Sciascia: i posti in platea ed i palchi corrispondevano a quelli previsti nel
progetto del Tabassoma si aggiungevano duecento posti in galleria ed un
palcoscenico più grande. Era però più ambiziosa la sistemazione artistica degli
altri ambienti: sul prospetto un portico dorico con due vani destinati a
biglietteria e corpo di guardia; sedici camerini per gli attori; un caffè;
un’ampia scala in marmo che consentisse l’accesso ad una sala d’aspetto ovale e
ad una vasta sala attrezzata per concerti musicali. Sciascia prevedeva altresì
di innalzare la costruzione al piano di platea: in tal modo sarebbe stato
possibile realizzare alcune botteghe che il Comune avrebbe potuto affittare
ricavando “un reddito tale da poter servire alla manutenzione dell’intero
edificio” .
Questi progetti furono lasciati da
parte e si pensò, attraverso canali aristocratici ben collegati con Palermo, a
quanto di meglio si potesse avere in quel tempo e cioè ad Ernesto Basile.
Questi, dopo la prima stesura del 1899, rielaborò il progetto nel 1905
nella forma poi realizzata che prevedeva una platea di centocinquanta posti, tredici
palchi, ottanta posti nella cavea ed altrettanti nel loggione. Assai elegante
ed armonico il prospetto, articolato su tre strutture rientranti da ambo i lati
ad angolo retto. Presenti nell’opera gli elementi più significativi della
progettualità del Basile: la raggiera bugnata delle finestre arcuate, i bugnati
angolari, i pilastri con lesene doriche e parastate corinzie che
racchiudono i tre cancelli in ferro, la trifora vetrata della balconata del
piano superiore. Per la sala del Teatro Sociale di Canicatti il Basile utilizzò
per la prima volta la forma rettangolare che avrebbe adottato nel 1913 anche
per la costruzione della sala del Kursaal Biondo (oggi Teatro Nazionale) di via
Emerico Amari a Palermo.
La realizzazione dell’opera prevedeva
una spesa complessiva di £ 170.000,00; l’appalto fu affidato all’impresa
dell’ing. Raimondo Foti fu Angelo e di Vincenzo Maira che aveva già
eseguito i lavori del civico Acquedotto Savuco. Al Basile fu affidata
l’alta direzione dei lavori che venivano sorvegliati e diretti in loco dal
geom. Alfonso Giuseppe Martines, “ingegnere comunale”. Con i soldi raccolti con
la pubblica sottoscrizione si poterono realizzare soltanto la gabbia della sala
e del palcoscenico e due scale laterali per raggiungere il loggione con le
relative coperture.
Il Consiglio Comunale, nella seduta del
6 agosto 1900, dopo aver commemorato il re Umberto I, ucciso pochi giorni
prima, il 29 luglio, a Monza, decise di intitolargli non solo la piazza e il
corso, che fino a quel momento avevano costituito insieme Piazza Maggiore, ma
anche l’erigendo teatro. La decisione fu poi in parte abbandonata e il Teatro
fu chiamato Sociale non solo per la funzione cui era destinato, ma anche per la
contribuzione volontaria dei cittadini alla sua realizzazione.
Il Consiglio Comunale nel 1901 discusse
del completamento del Teatro a seguito della richiesta, avanzata dalla
commissione incaricata di raccogliere i fondi, di poter utilizzare “il resto
dello spazio dell’ex Giardino del Carmine, attiguo al lato Nord del Teatro,
affine di potere con giardini e fabbricati preparare il completamento della
decorazione esterna del Teatro e delle sue adiacenze”.
Del completamento del Teatro si tornò a
parlare in Consiglio nelle sedute del 30 marzo e del 23 aprile 1904 presiedute
dall’assessore anziano facente funzioni di sindaco Francesco Caramazza. Il
consigliere Salvatore Lombardo rilevò che le somme raccolte tra i cittadini
erano state appena sufficienti per realizzare la struttura e la copertura e si
era resa necessaria una seconda sottoscrizione che aveva raccolto altre
12.741,35 lire, non ancora sufficienti per il completamento dell’opera.
Grazie alla seconda sottoscrizione
pubblica e alla somma stanziata dal Comune, i lavori, affidati all’impresa del
cav. Rutelli di Palermo, poterono riprendere; furono costruiti un palcoscenico
provvisorio, la maschera della sala, i camerini per gli attori, due ritirate e
furono collocati pavimenti e infissi. Il Teatro Sociale fu così messo in
condizione di iniziare la propria attività, seppur in via provvisoria.
L’inaugurazione avvenne nella primavera
del 1905 con la rappresentazione da parte della compagnia drammatica di Italia
Vitaliani della Maria Stuarda di Shespeare (Così scrisse, ahimè, il
tecnico comunale Alfonso Giuseppe Martines nella sua relazione del 21 gennaio
1919!).
Intanto alcuni membri della Commissione
Teatrale erano morti, mentre altri erano ammalati e impediti; pertanto i pochi
componenti ancora attivi, rendendosi conto di non poter portare avanti il
gravoso incarico, il 7 giugno 1912 deliberarono la retrocessione del Teatro al
Comune; l’offerta non fu però accolta dall’Amministrazione comunale che aveva
già i suoi problemi finanziari.
Il 23 dicembre 1912 nel vestibolo del
Teatro Sociale si svolse la gara di appalto “a schede chiuse” per la
costruzione del portico anteriore della struttura. L’ammontare dei lavori era
di £ 16.000. Ma, per l’esiguità delle somme a disposizione, i lavori non furono
completati.
Il prospetto del Teatro Sociale poté
essere completato solo in vista delle grandi manovre militari che avrebbero
avuto luogo in Sicilia nel 1937, anno XV dell’era fascista. Una circolare del
Prefetto di Agrigento, in data 15 gennaio 1937, disponeva, proprio in
riferimento a tale evento, la sistemazione delle strade principali dei comuni
della provincia.
Il 23 gennaio 1937 il podestà Ignazio
Portalone adottò una delibera avente per oggetto: “Grandi manovre Anno XV –
Completamento del Teatro Comunale”. Dopo aver fatto riferimento al contratto
del 18 settembre 1924, approvato il 2 ottobre 1924, n. 17080, con il quale al
signor Diego Fontana fu Angelo era stato concesso in affitto il Teatro “per la
durata di anni 19” e cioè fino all’otto febbraio 1944, il podestà, nel rilevare
che il Teatro del Basile era “rimasto incompleto, cioè allo stato grezzo, nel
prospetto”, evidenziava “l’urgente necessità di provvedere al completamento del
prospetto suddetto in conformità del progetto principale” in vista delle grandi
manovre previste per lo stesso anno in Sicilia, in considerazione che tale
necessità era “tanto più urgente in quanto il Comune dev’essere il primo
nell’abbellimento delle facciate delle abitazioni delle vie principali”.
Poiché tuttavia il Comune non era in
condizione di sostenere la spesa occorrente di £ 15.000, il podestà propose al
Fontana di realizzare i lavori anticipando quanto necessario. Come
corrispettivo il gestore chiese una proroga del contratto di affitto di sette
anni e cioè sino all’otto febbraio 1951. Il podestà accettò l’accordo.
Il Teatro, finalmente ultimato, poté
quindi essere inserito, in data 22 aprile 1940, nel catasto dei fabbricati, con
scheda n. 074543. Si trattò dunque di un caso, davvero raro, di cultura
promossa da esercitazioni di guerra!
Per il buon andamento del Teatro e per
scegliere ed assegnare gli spettacoli, il Consiglio Comunale, nella seduta del
10 novembre 1906, aveva nominato una Commissione Teatrale composta da
Ferdinando Narbone, dottor Luigi Marchese, baronello Salvatore
La Lomia, Niccolò Lombardo Lumia e Alfredo Lumia. Ma, dopo alcuni anni, si
ritenne opportuno dare il teatro in gestione ad un privato. Con una scrittura
privata del 30 aprile 1913, il commendatore Salvatore Lombardo Ricca, nella sua
qualità di presidente della Commissione amministrativa del Teatro Sociale, concesse
in affitto la struttura al sig. Filippo Sillitti “per usarne per cinematografo
ed altri spettacoli teatrali”. La concessione prevedeva una durata di nove
anni, dal 1° dicembre 1914 a tutto il mese di novembre del 1923.
Dal testo della concessione in affitto
al Sillitti si deduce che il Teatro Sociale era utilizzato anche come
cinematografo; questa particolare utilizzazione, apprendiamo da un articolo di
Francesco Macaluso, era iniziata già nel febbraio del 1909: “Funziona da alcune
sere nel nostro teatro il cinematografo Gigante, superiore persino all’ultimo
che abbiamo avuto tra noi e che tutti abbiamo ammirato. E’ dunque il non plus
ultra. In questi giorni in cui si fa tanta bile e si arriva, alla sera di ogni
giorno, esauriti dalla lotta e stanchi è indicatissimo e fa uso presso i popoli
più civili, andare a ricreare un po’ lo spirito, a sollevarlo e ad allietarlo.
Metodo brevettato ed energico per ammazzare a colpo sicuro…le serate invernali
maledettamente uggiose”. (Francesco Macaluso, Cinematografo Gigante, in La
Folla-Giornale Socialista, Canicattì 3 marzo 1909)
Il 22 aprile 1918 il Comune di
Canicattì accettò di entrare in possesso del Teatro, così come chiesto già da
tempo dall’apposita Commissione. L’accettazione fu tuttavia soltanto verbale, in
attesa che l’Ufficio Tecnico Comunale predisponesse la relazione di consegna.
Il 21 gennaio 1919 l’Ufficio Tecnico
Comunale, diretto dal geom. Martines, consegnò una relazione che forniva un
quadro completo della situazione relativa al Teatro Sociale, sia dal punto di
vista strutturale, sia dal punto di vista gestionale. Il Sillitti, che veniva
confermato nella gestione, presentò la sua relazione finanziaria: esisteva un
residuo attivo di £ 2.314,17, una parte del quale, di £ 95,05, era depositata a
risparmio presso il Banco di Credito Canicattinese su libretto n. 3615; la
parte più consistente, di £ 2219,12, era nella disponibilità dello stesso
Sillitti per la conduzione della struttura.
Al termine dei nove anni di locazione,
Filippo Sillitti riconsegnò al Comune il Teatro. Su incarico dello stesso
Sillitti e del commissario regio del Comune, cav. colonnello Angelo Drago,
l’Ufficio Tecnico Comunale predispose una relazione sullo stato dei luoghi e
così, in data 29 ottobre 1923, poté essere firmato il verbale di riconsegna. Il
19 agosto 1924 il commissario prefettizio, avvocato Agostino Puma, indisse la
gara di appalto per la gestione, della durata di 19 anni, del Teatro Sociale;
la gara fu vinta da Diego Fontana che firmò i relativi contratti il 13 settembre
e il 19 ottobre; nel 1927 Fontana divenne gestore anche dell’Arena Azzurra di
via Menfi..
Con delibera del 3 ottobre 1924 il
commissario prefettizio Agostino Puma (in carica dal 14 giugno dello stesso
anno) provvide all’acquisto di 350 sedie-poltrone con un costo complessivo di £
16.000, comprensive di £ 600 per il trasporto. Il tutto fu fornito dalla ditta
di Palermo “Al Vulcano” di Antonio Diotti & Figli. Il 7 ottobre
successivo la Giunta, con delibera n. 369, approvò il progetto relativo
all’installazione di tre cancelli in ferro per l’accesso al teatro; l’undici
ottobre fu approvato il preventivo predisposto dall’Ufficio Tecnico Comunale
per l’illuminazione elettrica del teatro: importo previsto £ 5.500,00 “ivi
comprese £ 263.45 per spese impreviste”; l’otto dicembre dello stesso anno la
Giunta, presieduta sempre da Puma, affidò all’appaltatore
Giuseppe Paxia la fornitura di due bussole, al prezzo di £ 743,80
ciascuna.
Il Teatro Sociale intanto, anche se
ancora incompleto, continuava nella sua attività, ospitando le compagnie di
Gustavo Salvini, Giovanni Grasso e Angelo Musco.
Nell’autunno 1930 Angelo Musco fu ospite del venticinquenne barone
Agostino La Lomia a Villa Giacchetto e recitò al Teatro Sociale in Don Gesualdo
e la ballerina, Fiat voluntas Dei, San Giovanni decollato. La
compagnia di Giovanni Grasso fu impegnata al Sociale nel novembre 1929: matinée
con San Giovanni Decollato; soirée con Cavalleria rusticana.
Il Teatro, soprattutto in occasione di
importanti proiezioni cinematografiche, ospitava particolari categorie di
cittadini: nella primavera del 1928, in occasione della proiezione del film Il
re dei Re, metà platea fu messa gratuitamente a disposizione dell’Orfanotrofio
Femminile “Maria Corsello”, “procurando alle innocenti creature due ore di vero
godimento spirituale”; nella primavera del 1931 le scolaresche di Canicattì
poterono assistere gratuitamente alla proiezione del film La Trasvolata
Oceanica. Le rappresentazioni teatrali e gli spettacoli cinematografici
venivano pubblicizzati sulla stampa locale.
Sempre al Sociale, il 20 maggio 1931,
furono dati due capolavori dell’umorismo: Roberto XXVII e La Vedova all’erta.
Sul palcoscenico del Sociale recitarono Ermete Novelli, Ermete Zacconi,
Emma ed Irma Grammatica, Germana Paolieri, Paola Borboni, Virginia
Balestrieri, Rosina Anselmi, Tommaso Marcellini e tanti altri ancora.
Luigi Pirandello, per una delle prime
rappresentazioni dei Sei personaggi in cerca di autore non scelse il Teatro
“Regina Margherita” di Agrigento, che sarebbe poi stato a lui intitolato, ma il
Teatro Sociale di Canicattì. Il tutto fu organizzato da un comitato, composto
dall’avv. Salvatore Sanmartino, dal dottor Gaetano Stella, da Giuseppe
Caramazza Imperia, da Salvatore Narbone e da Nicolò Bartoccelli. A
cura del comitato, giovedì 1° dicembre 1927 Luigi Pirandello fu prelevato in
automobile ad Agrigento insieme alla signora Marta Abba, che era accompagnata
dalla mamma e dalla sorella. Gli ospiti giunsero a Canicattì alle ore 17 e
furono ricevuti - al Circolo di Compagnia per l’occasione riccamente addobbato
e illuminato - dalle autorità e da un folto gruppo di cittadini. Porsero il
benvenuto il dottor Gaetano Stella e il vice podestà Calogero
Fazio Tirrozzo che conferì all’illustre ospite la cittadinanza
onoraria del Comune di Canicattì. Lo scrittore, visibilmente commosso,
ringraziò, dicendosi lieto dell’accoglienza ricevuta e lusingato della
cittadinanza onoraria. (Pirandello a Canicattì, in Notiziario Canicattinese,
Canicattì, 11 dicembre 1927)
Quindi gli fu consegnato il diploma
di arcade minore dell’Accademia del Parnaso, mentre i componenti
della banda musicale suonavano, ciascuno per proprio conto, chi la marcia
trionfale dell’Aida, chi brani della Norma o dei Vespri Siciliani, dal momento
che non c’era stata intesa preventiva sui pezzi da eseguire. A Luigi
Pirandello, che si disse colpito da tanta diversità di suoni, l’avvocato
Salvatore Sanmartino rispose con assoluta naturalezza: “Maestro, ciascuno a suo
modo: non le pare?”.
Al termine, come risulta dalla fattura
della ditta Caillers-Cioccolatini Fantasia, furono serviti dolci, liquori
e champagne per un totale di 616,25 lire, comprensive di 30 lire date come
complimento a due barbieri per l’occasione, come si usava allora, e del
facchinaggio.
Alle ore 21 in punto l’opera di Luigi
Pirandello fu messa in scena dalla Compagnia Teatrale d’Arte di Roma, di cui
facevano parte la prima attrice Marta Abba, il primo attore Lamberto Picasso e
altri attori come Rodolfo Martini, Gilda Marchiò, Rina Franchetti, Gina
Graziosi, Arnaldo Martelli. Il Teatro Sociale era gremito in ogni ordine di
posti da un pubblico particolarmente attento. Fu tale il successo, accompagnato
da numerosi, scroscianti applausi, che al termine della rappresentazione Marta
Abba chiese a Luigi Pirandello: “Maestro, siete nato ad Agrigento oppure a
Canicattì?”. Data la rilevanza dell’avvenimento culturale, l’impresa che
gestiva il Teatro mise gratuitamente a disposizione locale, luce e personale.
La serata diede un incasso di £ 7.120. Furono spese in totale 6620 lire: 4.000
per la compagnia, 1743 come tassa erariale e diritti di autore, 757 per
albergo, pranzi e spese varie; 120 lire furono date in beneficenza al TemplumCharitatis di
Agrigento. L’utile netto, di £ 500, fu dato in beneficenza ad istituzioni
locali: 200 lire all’Opera S. Vincenzo, 100 all’Opera Nazionale Balilla, 100
all’Orfanotrofio e 100 al Patronato Scolastico.
Quella sera, eccezionalmente,
Pirandello decise di assistere allo spettacolo e fu chiamato alla ribalta al
termine di ogni atto. Pare infatti che il grande scrittore nutrisse nei
riguardi del Teatro Sociale di Canicattì una specie di pregiudizio
scaramantico: preferiva dare la prima dei suoi lavori a Canicattì e, da come vi
andavano le cose, traeva indicazioni per le successive rappresentazioni. Ma, in
questo atteggiamento scaramantico, rientrava un comportamento strano: il grande
drammaturgo veniva a Canicattì per la rappresentazione delle sue opere ma non
vi assisteva mai: ne attendeva la fine seduto al caffè Ferreri che si trovava
nei pressi del Teatro. Al termine entrava nella sala per sentire gli umori del
pubblico.
Talora la fine dello spettacolo era
annunciata all’autore da una fragorosa bordata di fischi. L’amico
Pasquale Gazzara, socialista e futuro sindaco della Città, che allora
gestiva un negozio di materiale elettrico proprio di fronte al Sociale, spesso
gli faceva compagnia; mortificato per il comportamento dei suoi concittadini,
si avvicinava, quasi scusandosi a nome della città: “Zi Luvì,
li pirdunassi, sunnu quattro viddani ca
nun capiscinunenti!”. Ma il drammaturgo rispondeva con assoluta serenità:
“Sono contento, molto contento, perché quanto successo stasera è il segnale che
l’opera sarà un trionfo nei teatri del mondo”.
Il Sociale rimase per decenni il
principale centro culturale-ricreativo della città ed era utilizzato anche per
conferenze ed incontri di carattere politico, culturale e sociale. Nel 1916 e
nel 1919 il salesiano canicattinese don Antonio Fasulo vi tenne delle
conferenze con “proiezioni luminose” a favore degli istituti salesiani che
assistevano orfani di guerra.
Il 29 settembre 1907 al Teatro Sociale
si tenne un “comizio anticlericale”: “Tutti al comizio Anticlericale – Al
Compagno Avvocato Antonio Guarnieri Ventimiglia, che oggi, nel nostro
Teatro Sociale, porterà la voce dell’infaticabile apostolo, del dotto
propagandista, dello scienziato popolare, il saluto solidale e fraterno de La
Folla” (La Folla, Canicattì, 29 settembre 1907). A fine dicembre del 1922 al
Sociale tenne una conferenza l’avv. Giovanni Battista Adonnino,
fiduciario provinciale delle organizzazioni sindacali fasciste. All’incontro
parteciparono anche operai e impiegati dei molini e pastifici aderenti al
Sindacato Mugnai Fascisti, costituito domenica 3 dicembre 1922.
Il 10 gennaio 1927 il teatro fu
temporaneamente chiuso per problemi di pubblica incolumità. La Commissione
Provinciale di Vigilanza, il 22 dicembre 1939, ordinò dei lavori di adeguamento
che furono realizzati, come richiesto, entro il 31 gennaio 1940; con lettera
dello stesso giorno il gestore Diego Fontana fu Angelo ne dava comunicazione al
podestà Angelo La Vecchia. Il 6 febbraio 1945 la Commissione di vigilanza sul
Cinema Teatro Sociale, presieduta dal sindaco Vincenzo Fazio Tirrozzo,
verificò l’esecuzione da parte del gestore delle prescritte misure antincendio
e certificò che il locale poteva “essere adibito a spettacoli cinematografici e
teatrali”.
Nel secondo dopoguerra, in coincidenza
col boom delle sale cinematografiche e l’aumento iperbolico degli spettatori,
si ebbe la decadenza e la distruzione del glorioso Teatro. Il Sociale aveva una
ricettività affatto insufficiente: la maggior parte dei posti della cavea e
molti palchi non consentivano una adeguata visibilità da parte degli
spettatori; risultavano idonei alle nuove esigenze soltanto i posti della
platea, una trentina di posti della cavea e alcuni palchi. Urgeva quindi, a
giudizio del gestore e di molti cittadini, ampliare la ricettività complessiva
e a questa esigenza si provvide apportando sostanziali modifiche strutturali.
La colpa di questa vicenda dolorosa
viene da molti addebitata al sindaco comunista Francesco Cigna ma bisogna
osservare che la decisione sulla trasformazione del Teatro non fu assunta con
una autorizzazione del solo Cigna ma con delibera adottata dall’intero
Consiglio Comunale e che il medesimo sindaco non fu l’unico né il principale
autore dello scempio.
La pratica andò avanti con assoluta
celerità. Il 3 aprile 1951 Diego Fontana, gestore del Teatro Sociale, presentò
al sindaco Francesco Cigna una istanza (datata 31 marzo 1951) in cui chiedeva
di poter realizzare profonde modifiche all’interno del teatro. Su richiesta
dell’amministrazione comunale, il capo dell’Ufficio Tecnico Comunale, ing.
Luigi Portalone, il 30 aprile 1951, presentò apposito progetto “di
miglioramento del Cinema Teatro Comunale di Canicattì gestito dal sig. Fontana
Diego” che prevedeva l’ampliamento dei posti del teatro da 250 a 600 al fine di
“migliorare i servizi e la stessa struttura”. Era previsto un importo dei
lavori di £ 7.000.000.
Il 19 maggio Diego Fontana, con una
istanza su carta bollata da £ 24, comunicava al sindaco Cigna di aver preso
visione del progetto dell’ing. Portalone e di averlo trovato di suo gradimento;
si dichiarava quindi disposto ad eseguire tutte le opere, a condizione che il
contratto di affitto del Teatro - stipulato il 13 settembre 1924 e prorogato in
data 29 luglio 1938 fino al 30 giugno 1959 – fosse ulteriormente prorogato fino
al 30 giugno 1969 con sostanziali modifiche delle clausole di locazione.
Il 26 maggio 1951 il Consiglio
Comunale, si riunì, alle ore 20, sotto la presidenza del sindaco Francesco
Cigna e con l’assistenza del segretario capo ragioniere
Sebastiano Timineri; presente anche l’ing. Luigi Portalone per fornire ai
consiglieri eventuali chiarimenti di carattere tecnico. Il sindaco diede
lettura dell’istanza di Diego Fontana, proponendone al Consiglio
l’approvazione. Nei pochissimi interventi, in particolare in quelli di Antonino
Pillitteri e di Carmelo Antinoro, ci si preoccupava soltanto di problemi
tecnici e soprattutto delle clausole del nuovo contratto di affitto. Dopo
“ampia discussione ed i chiarimenti contabili dati dal Rag. Capo del Comune”,
il Consiglio adottò all’unanimità la seguente delibera: “Modifica contratto di
affitto del Teatro Comunale – Approvazione progetto di trasformazione del
Teatro Comunale”.
L’atto fu approvato dai consiglieri
Carmelo Antinoro, Gaetano Caico, Gaspare Cammilleri, Nicolò Capizzi,
Calogero Carusotto, Francesco Cigna, Vincenzo Di Grigoli, Vincenzo Di
Puma, Pasquale Gazzara, Angelo Giglia, Antonio La Verde, Luigi Livatino,
Angelo Lo Giudice, Luigi Lo Giudice, Domenico Messina, Giuseppe Miccichè,
Vincenzo Paci, Antonino Pillitteri, Diego Sgammeglia, Cristoforo Vinci.
Erano assenti i consiglieri Filippo Carbone, Luigi Contrino, Aurelio Contrino,
Salvatore Donato, Ignazio Ferreri, Salvatore Ferro, Giovanni Lattuca,
Francesco Messina.
Nella delibera si approvava il progetto
di trasformazione del Teatro Sociale redatto dall’ing, capo del Comune, si
prendeva atto che le opere sarebbero state eseguite sotto la direzione e
sorveglianza dell’Ufficio Tecnico Comunale e si chiedeva al Prefetto
“autorizzazione alla trattativa privata col signor Diego Fontana per la
stipulazione del contratto di cui agli articoli seguenti, con la proroga
ulteriore dei contratti in vigore del 1924 e del 1938”.
Veniva quindi approvato il nuovo
contratto di locazione.
La delibera, firmata dal sindaco Cigna,
dal consigliere anziano Gazzara e dal segretario capo Timineri,
fu pubblicata all’albo pretorio domenica 10 giugno 1951 e trasmessa alla
Prefettura di Agrigento, per i provvedimenti di competenza, il 20 giugno. La
delibera fu approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa nella seduta del
30 aprile 1952 “salva l’autorizzazione prefettizia alla trattativa privata”; in
data 23 maggio 1952 il nuovo contratto di affitto, n. 2736 di repertorio, poté
essere stipulato.
Diego Fontana affidò l’esecuzione dei
lavori all’impresa di Alfonso La Licata ed ai fratelli Raffaele e Vincenzo
Corbo; direttore dei lavori fu nominato il geometra comunale
Salvatore Narbone. Nel 1956, quando Francesco Cigna ormai da anni non era
più sindaco, il gestore Fontana realizzò all’altezza del primo piano un’orrida
tribuna in cemento armato, poggiata su pilastri collocati là dove si
sviluppavano i sottopalchi, inseriti in un’unica galleria rialzata di un metro
rispetto al piano della platea; per consentire un’adeguata capienza della
tribuna furono utilizzati ampi spazi e sottotetti del primo piano. Furono
fortunatamente conservati nella forma originale i locali di accesso e la
suddivisione della scena. Nei primi anni Sessanta fu completata la demolizione
dei palchi, furono distrutte le decorazioni in stucco dell’interno, furono
rimossi gli arredi in velluto e il teatro divenne esclusivamente sala
cinematografica; ma poco dopo, in seguito all’alluvione che nel 1966 colpì la
città, la struttura fu dichiarata inagibile.
Dopo tanti incarichi a professionisti
più o meno illustri, nel 2008 il Teatro Sociale è stato finalmente sottoposto a
lavori di ristrutturazione, adeguamento strutturale, recupero architettonico e
realizzazione degli impianti tecnologici imposti dalle attuali normative:
centrale idrica, locale pompe antincendio, locale macchine ascensore, impianto
elettrico e gruppo di continuità, impianto termico. Nella relazione tecnica del
progettista, architetto Luigi Munna, erano evidenziati i punti essenziali del
recupero architettonico: “Eliminazione delle superfetazioni e recupero della
distribuzione originaria; recupero del prospetto; riproposizione dell’impianto
tipologico della sala; adeguamento dello spazio scenico e realizzazione
della “macchina teatrale” all’italiana, composta principalmente da due
spazi: la torre scenica, volume tecnico dove avviene la rappresentazione, e la
sala, luogo deputato al pubblico”.
Sono state demolite la gradinata in
cemento armato e la cabina di proiezione; sono state ripristinate le due scale
laterali ed il salone delle feste centrale e, grazie alla ricostruzione
dell’antico timpano e all’apertura dell’oculo centrale, è di nuovo possibile
accedere al terrazzo sovrastante il prospetto.
Il 20 dicembre 2009 il Teatro Sociale è
stato riconsegnato alla Città.
Canicattì si è, finalmente,
riappropriata di una struttura davvero “sociale”, che potrà esaltarne e
potenziarne le tradizioni culturali.
Gaetano Augello
Gaetano Augello
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