LUIGI FICARRA, Il sud d’Italia e la sinistra alla ricerca di se stessa

Gli intellettuali della borghesia si pongono seriamente il problema della grave questione meridionale, perché essa pesa come un macigno sulla agognata ripresa dello sviluppo dell’economia  di mercato che la gravissima crisi capitalistica ha bloccato.

   Da parte nostra occorrerebbe affrontare la questione dal punto di vista di classe opposto, su come utilizzare la gravissima ed in parte esplosiva condizione sociale delle masse popolari ed in particolare giovanili in tema di reddito, casa, lavoro, per affrontare la questione centrale del potere.
   Circa un anno fa, in uno studio sulla politica del PCI negli anni ’50, specie in Sicilia – pubblicato da “La Città Futura” e da qualche sito, scrivevo nelle conclusioni che di fronte al declino storico del capitalismo europeo, che in Italia si traduce in una pesante stagnazione e regressione, c’è un Sud non più da tempo funzionale (con l’emigrazione di lavoratori nelle fabbriche del nord) neppure allo sviluppo capitalistico del paese, essendo la sua forza lavoro non più competitiva rispetto a quella degli africani e dei cittadini dell’est Europa. In esso la condizione giovanile, che raggiunge punte di disoccupazione oltre il 50%, è tragica; ed il destino di tutto il territorio meridionale è di trasformarsi nel recinto di quella che Marx chiamava ”sovrappopolazione stagnante”.
   Si coglie al massimo in questa situazione la disfatta del M.O., i risultati di quella politica del vecchio PCI di bassa compartecipazione in Sicilia e altrove, specie nel Sud, alla gestione del potere borghese – (politica di cui il milazzismo fu l’espressione massima e peggiore). Politica che oggi si manifesta tramite un suo vecchio rappresentante storico, Napolitano, che plaude alla bestia trionfante del capitalismo alla Marchionne e al suo sodale, Renzi, che sta portando a termine l’opera di Berlusconi e Monti di distruzione delle difese del M.O., delle sue casematte: Statuto dei Lavoratori, c.c.n.l., e libere rappresentanze sui luoghi di lavoro.
   La strada da proporre alle nuove generazioni non è certo la rivolta disperata, come quelle di “Alcara Li Fusi” e di “Bronte” del 1860 e-o come quella indistinta di Licata del 5 luglio 1960, ma quella di un ripensamento profondo delle cause che hanno portato a questa disfatta politica e che faccia quindi i conti, anche e soprattutto a livello teorico, col passato riformista del M. O. Un ripensamento che recuperi in particolare in Sicilia la memoria storica del movimento dei Fasci dei Lavoratori Siciliani del 1893 - 94; delle lotte per l’occupazione delle terre del primo dopoguerra e quelle del ‘44 - ’50. Movimento, quest’ultimo, politicamente sconfitto dalla riforma agraria del dicembre 1950, definita dalla sinistra di allora una <<controriforma>>, il cui progetto di legge, è bene ricordarlo, fu elaborato dall’agrario on. Milazzo. Una vera controriforma, il cui attore principale fu il mercato, consentendosi e comunque non impedendosi che i grandi proprietari, anticipando l’applicazione della legge, vendessero direttamente a terzi, contadini compresi, le superfici migliori oltre il limite consentito di ben duecento ettari e realizzarono in tal modo, dice Renda, circa trenta miliardi: una vera manna, una sorta di piano Marshall che mise a disposizione della borghesia agraria ingenti capitali, destinati in parte alla trasformazione capitalistica delle sue terre.
Luigi Ficarra
http://www.corriere.it/editoriali/15_dicembre_21/governo-sud-che-non-c-e-74ba6972-a7ac-11e5-927a-42330030613b.shtml

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