Giornata
di Studio su: Diritto e Giustizia
Canicattì
Palazzo Stella – 02 febbraio 2013
RELAZIONE
INTRODUTTIVA
Desidero,
innanzitutto, rivolgere un cordiale saluto e un sentito ringraziamento
all’avvocato Antonino Gaziano, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Agrigento, e all’avvocato Vincenzo Avanzato, responsabile per la
formazione dell’Ordine degli Avvocati, per avere accolto la proposta del Lions
Club Canicattì Host, che ho l’onore di presiedere, di promuovere e organizzare
insieme questa giornata di studi giuridici qui, a Canicattì.
Ritengo, altresì, doveroso
esprimere la più alta e sentita solidarietà all’Ordine degli Avvocati di
Agrigento per le battaglie intraprese per affrontare
e contribuire a risolvere la grave situazione in cui si trova il Tribunale di Agrigento a causa dell’ormai
cronica carenza di magistrati rispetto alle già insufficienti previsioni di
organico.
Al
tempo stesso mi sia consentito manifestare un forte e deciso dissenso alla
decisione di privare la Città di Canicattì della sezione distaccata del
Tribunale di Agrigento, disposta con il decreto
legislativo del 7 settembre 2012, n.155 concernente
la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Tutto ciò nella consapevolezza
del fatto che tanto il Tribunale di Agrigento quanto la sede distaccata di
Canicattì rappresentano presidi di giustizia indispensabili non soltanto per
gli addetti ai lavori ma anche e soprattutto per tutti i cittadini. Siamo
fermamente convinti, infatti, che la regolare e serena amministrazione della
Giustizia contribuisca a garantire la libertà dei cittadini e ad assicurare la
pace sociale; un bene della comunità, pertanto, che come tale deve essere
salvaguardata da tutti.
Porgo
un caloroso benvenuto a tutti i partecipanti e ai colleghi avvocati, che vedo
in tanti, e ciò a conferma, spero, dell’interesse suscitato dal tema che
abbiamo scelto per questa giornata di studi.
Rivolgo ancora
un cordiale saluto e particolare ringraziamento al professore Vittorio Villa e
all’avvocato Diego Guadagnino che hanno accolto l’invito a portare il loro
autorevole contributo su un tema tanto affascinante quanto vasto e complesso: Diritto e Giustizia.
Un
tema, questo, che oltre ad essere rilevante sul piano letterario, storico,
filosofico e giuridico, ritengo sia anche profondamente attuale e abbia
notevoli implicazioni pratiche.
Il
professor Antonio Cantaro, ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Sociologia
dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, osserva al riguardo che «la domanda
di un diritto giusto, al servizio dei
valori “universali” della persona, dell’uomo e del valore “assoluto” della
vita, si fa ogni giorno sempre più pressante. [….] La crescente domanda di giustizia
è un dato fenomenologico. È la società ad avanzare [….] richieste di puntuali
interventi riparatori delle “ingiustizie” in tutti gli spazi e gli ambiti della
vita comunitaria. Richieste di regolazione e di provvedimenti giudiziari
diretti a “moralizzare” l’economia, la società civile, le sue istituzioni, le
relazione comunitarie e personali. Persino quelle più private ed intime.
Legislatori e giudici sono sempre più frequentemente investiti della richiesta
di riconoscere questo o quel diritto, di imporre questo o quell’obbligo, per
porre fine hic et nunc a torti e
ingiustizie. Un tempo non era nell’ordine naturale delle cose pensare di
ricorrere in tribunale con “argomenti morali” per risolvere conflitti tra
docenti e studenti, tra padri e figli, tra medici e pazienti, tra partner. Oggi lo sta diventando. Per non
parlare, su un altro piano, del “pentitismo storico”. Della tendenza a portare
nel foro penale le colpe storiche di un’intera società o civiltà, a trasformare
la “Storia” in tribunale penale».[1]
In
questa nostra epoca, post-ideologica e post-moderna, l’appello alla morale e
alla giustizia rappresenta una costante anche del discorso pubblico sia europeo
sia mondiale. Così come, ormai, il riferimento all’etica e alla giustizia è una
costante che trova riscontro in moltissimi atti normativi e giuridici.
Ecco anche perché, nel tempo presente, non è
per nulla superfluo o retorico chiedersi: cos’è il diritto, cos’è la giustizia,
qual è il rapporto tra diritto e giustizia?
Il
professor Alberto Trabucchi, trattando del concetto di diritto nel suo volume di Istituzioni
di diritto Civile[2],
afferma che «esistono volumi e volumi di leggi (troppe!), biblioteche di opere
sul diritto, palazzi per
l’amministrazione della giustizia,
organizzazioni scolastiche e universitarie per gli studi giuridici; ma [….]
ancora oggi la cosa più difficile consiste nel rispondere a questa semplice
domanda: cos’è il diritto?».
Lo
stesso vale allorquando ci chiediamo: che cos’è la giustizia e qual è il
rapporto tra diritto e giustizia.
Tantissime sono le definizione date alla “giustizia” e
tantissimi gli attributi: giustizia distributiva, correttiva, naturale,
procedurale, retributiva, restituiva, sociale intergenerazionale, personale,
politica eccetera.
Così come tantissime sono le teorie concernenti la relazione
tra “diritto” e “giustizia”: teoria critica della razza, teoria critica del
femminismo, teoria del bilanciamento e così via.
Diritto e giustizia, due termini con alto valore
polisemico, spesso erroneamente considerati come
sinonimi ma profondamente connessi in un rapporto complesso, talvolta
difficile e controverso o addirittura antitetico, hanno dato vita a un
interminabile confronto e a tantissime
disquisizioni che hanno coinvolto ab
immemorabili, e continuano a coinvolgere gente comune, letterati, filosofi,
drammaturghi, scrittori, teologi, magistrati, avvocati, giuristi, senza
giungere tuttavia a conclusioni maggioritariamente condivise.
Ne
ricorderò alcuni e solo a titolo esemplificativo.
Socrate,
filosofo ateniese del IV secolo a.C.,
sacrificò la sua vita per la verità e la giustizia secondo la legge.
Platone, discepolo di Socrate, mise al centro
del suo pensiero filosofico e in particolar modo delle sue opere Repubblica e Gorgia il tema della giustizia.
Nel Gorgia, Platone sostiene che felicità e
giustizia sono due facce della stessa medaglia. Nel Libro I della Repubblica, Trasimaco, interloquendo con
Socrate e Polemarco, afferma che «la giustizia è l’utile del più forte».
Oggi, a
distanza di oltre 2400 anni, cosa diremmo a Trasimaco?
Anche lo
storico e generale ateniese Tucidide (circa 460 a.C. e 397 a.C.), nel suo capolavoro
La Guerra del Peloponneso, sostiene
che il diritto altro non è che
«l’utilità» dei più forti per contrastare i più deboli.
Sofocle,
drammaturgo ateniese, affronta il tema della giustizia già nel 442 a.C. con una delle sue
celebri tragedie: Antìgone.
Aristotele (circa 384 a.C. e 322 a.C), discepolo di
Platone, specie nell’Etica Nicomachea, introduce, in modo chiaro ed
innovativo, la distinzione tra giustizia distributiva e giustizia
commutativa, sostenendo che la giustizia distributiva consiste nel dare a
ciascuno il suo, secondo un criterio di reciprocità e di proporzionalità,
mentre la giustizia commutativa o regolatrice, che poggia sul concetto di
uguaglianza tra individui, consiste nel cercare di riparare i danni subiti
indipendentemente dalle differenze tra gli stessi individui.
A Eneo Domizio Ulpiano, politico e
giurista romano del II secolo circa, si deve la famosa citazione:
«Iustitia est constans et perpetua
voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere,
alterum non laedere, suum cuique tribuere». («La giustizia consiste
nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le
regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri,
attribuire a ciascuno il suo»).
Quest’ultimo
principio concorda con il precetto evangelico: «Reddite quae sunt Caesaris
Caesari et quae sunt Dei Deo». («Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio
quel che è di Dio»).
Celso,
giurista vissuto al tempo di Adriano, nel II secolo d.C., afferma che «ius est ars boni et aequi» («il
diritto non è altro che l’arte o il sistema del giusto»). Tale espressione esprime l’aspirazione del ius verso valori morali ed etici.
Il
grandissimo avvocato, giurista e politico Marco Tullio Cicerone (106 a.C. e 43 a.C.) in quasi tutte le sue
opere ed in particolare nel De
officiis e le Opere politiche e filosofiche pone come riferimento principale
il tema della giustizia. In Cicerone possiamo rinvenire una teoria generale
della giustizia ispirata alla morale stoica, che si rivolge a tutti gli uomini
senza distinzione alcuna e con una visione cosmopolita, transazionale e
universale.
Sant’Agostino
d’Ippona (354 e 430), vescovo, filosofo, teologo, dottore e santo della Chiesa
Cattolica, nella sua opera De civitate Dei
contra Paganos, (La città di Dio contro i Pagani), si pone un interrogativo tanto
inquietante quanto attuale: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono
gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (De Civitate Dei 4,4).
Giustizia,
verità e bene comune rappresentano i pilastri portanti del pensiero di Tommaso d'Aquino, definito Doctor
Angelicus e venerato come santo sia
dalla Chiesa Cattolica - che
dal 1567 lo considera anche
dottore della Chiesa - sia dalla Chiesa Luterana.
Sia pur in diverse epoche e ovviamente con
diverse sensibilità ed impostazioni, il tema e le problematiche connesse al
concetto di giustizia furono centrali per John Locke, David Hume,
Adam Smith, George Berkeley, Immanuel Kant, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Hans Kelsen.
Anche Alessandro Manzoni ne I Promessi
Sposi prestò particolare attenzione alle problematiche sulla giustizia.
Egli si pose decisamente contro l’arbitrio e contro le ingiustizie perpetrate
nei confronti dei più deboli e degli indifesi. Non mancavano certo, anche nel
Seicento, leggi per punire angherie e soprusi commessi; di fatto, però, la
“giustizia” diventava uno strumento aggiuntivo per garantire l’arbitrio e lo
strapotere dei più forti a danno dei più deboli e dei poveri.
Altri importanti autori, come lo
scrittore e filosofo russo dell’Ottocento Fëdor
Michajlovič Dostoevskij[3], il sociologo tedesco Jürgen Habermas[4], il filosofo francese Jacques Maritain[5],
affrontano il tema della giustizia approfonditamente e da diverse
angolazioni.
Per
Aldo Moro, acuto giurista e fine politico del Novecento, «il diritto è una forza giusta o,
se così preferiamo, una giustizia forte operante» e «questo compenetrarsi di
giustizia e di forza è il grande problema del diritto, il problema umano del
diritto».[6] Sul rapporto tra diritto naturale e diritto
positivo, Moro, nelle lezioni che tenne presso l’istituto di Filosofia del
diritto della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari dal 1944 al
1945, sostiene che «evoluzione e
rivoluzione sono entrambe la vicenda del diritto naturale che
sostituisce compiutamente, poco a poco o di colpo, il diritto positivo. [….]
Così il diritto naturale è un diritto che nasce ed avanza: quello positivo,
sempre in qualche modo, un diritto che muore. Non v’è sistema di diritto
positivo nel quale non vada sorgendo un diritto nuovo, naturale, che lo
corrode. [….] È chiaro che un diritto è diritto fin quando non è stato
ripudiato dal diritto naturale. È diritto fin quando è vivo, fin quando, esso
solo, è naturale. [….] La storia nella sua oggettività lo considera come
diritto vigente in quel tempo, ma esso è nel tempo nuovo una ingiustizia,
contro la quale bisogna stare in guardia e lottare, perché non ritorni».[7]
Il
giudice Rosario Livatino,
«un martire della giustizia e, indirettamente, anche
della fede», così disse di lui Giovanni
Paolo II il 9 maggio del 1993 in occasione della sua
visita pastorale in Sicilia, ebbe a definire
la giustizia come «frutto ultimo del
diritto».[8]
Mi piace ricordare anche il filosofo americano John Bordlej
Rawls secondo cui ogni persona umana, nella società, dovrebbe avere «né troppo,
né troppo poco».
Il rapporto tra
giustizia secondo la legge e giustizia al di là della legge, che ha
contrassegnato diverse epoche della storia dell’umanità, sicuramente ha dato e
continua a dare vita ad un eterno conflitto e le problematiche relative
all’indignazione e alla ribellione per il diritto ingiusto, ci impongono pertanto
doverose considerazioni e riflessioni.
Se è
vero che sia il diritto (ius per i
latini)[9] sia
la giustizia (iustitia - aequitas)
sono (o dovrebbero essere) in accordo tra loro e mirano (o dovrebbero mirare)[10] ad
assicurare l’uguaglianza, la pace, l’armonia morale all’interno della società
nonché a garantire un giusto e legittimo equilibrio tra i consociati e
conseguentemente a favorire la promozione culturale, politica, economica e
sociale della persona umana, è altrettanto vero che alcune spaventose
esperienze della storia ci hanno insegnato e ancora oggi ci insegnano che
l’autorità dello Stato, purtroppo, può trasformarsi anche in uno strumento di
oppressione e di barbarie, per cui, sin dagli albori dell’umanità a tutt’oggi,
diritto e giustizia sono stati e sono spesso in perenne conflitto tra loro.
L’anelito
a un diritto giusto, esigenza fortemente sentita in modo particolare nel nostro
tempo, non rappresenta una novità assoluta.
La
tensione a uno stretto rapporto tra giustizia e diritto è un tema che ha radici
molto lontane.
L’indignazione
per il diritto ingiusto è un sentimento che è stato sempre presente nella
storia dell’uomo e specialmente nella storia dei popoli europei.
Sin
dalle origini della nostra civiltà al diritto codificato è stata sempre
contrapposta l’universalità dei valori umani.
La
letteratura, l’arte, la filosofia europea contengono una miniera inesauribile
di appelli alla giustizia da parte di martiri, di personaggi eroici e
tragici.
La
ribellione al diritto ingiusto è stata rappresentata con particolare efficacia
nell’Antìgone di Sofocle[11].
Antìgone, una donna fiera e combattiva, così
come rappresentata nella tragedia di Sofocle, decide di dare sepoltura al
cadavere del fratello Polinice, nonostante l’espresso divieto del re di Tebe
Creonte; divieto contenuto nel diritto positivo che Antìgone ritiene ingiusto
perché contrario al diritto naturale, alle norme di origine divina e quindi da
contravvenire, da disattendere, da combattere e conseguentemente sceglie di non
sottostare alle inique leggi dello Stato[12], espressioni di una
volontà dispotica, tirannica che si pongono al di sopra delle leggi divine. Antìgone
contrappone le leggi non scritte degli dei[13], che
prevedevano, invece, l’obbligo morale di dare sepoltura ai morti. Sceglie,
quindi, la giustizia al di là della legge positiva, con la consapevolezza di
dover pagare
con la vita la sua ribellione.
Antìgone simboleggia,
pertanto, l’espressione più alta dell’indignazione e della ribellione alla giustizia secondo la legge o
meglio, nel caso di specie, al diritto ritenuto ingiusto. Per questa ragione, ancora oggi, Antìgone
rappresenta il simbolo intramontabile della resistenza alle leggi ingiuste e
alla tirannide.
E
ancora, il teologo e filosofo cristiano del terzo secolo Origene di Alessandria
(185–232), come ha ricordato Papa
Benedetto XVI nel discorso ai parlamentari tedeschi,[14]
esortava i cristiani ad avversare gli ordinamenti giuridici ingiusti con queste
argomentazioni: «Se qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia che ha
leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro […] questi
senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della
verità […] insieme con altri che hanno
la stessa opinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in
vigore». «In base a questa convinzione», ha sottolineato ancora il Papa, sempre
nel discorso ai parlamentari tedeschi,
«i combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro
altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera umanità. Per queste persone era evidente in
modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia».
Il
richiamo a principi di giustizia naturale spinsero e spingono uomini di ogni ceto e di ogni razza alla
ribellione contro le leggi inique, contro gli Stati oppressori. Eroi del passato e del presente non hanno
esitato a sacrificare la propria vita per la vera giustizia e per la libertà.
I
fratelli Hans e Sophie Sholl e il Teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer si ribellarono contro lo Stato nazista e
contro le aberranti leggi naziste, pagando con la loro vita la giusta
ribellione.
I fratelli Rosselli,
Giacomo Matteotti, Giorgio Amendola, Antonio Gramsci, don Giovanni Minzoni,
Alcide De Gasperi, Luigi Sturzo, e moltissimi altri meno noti, con le loro
coraggiose scelte di vita si opposero alla dittatura fascista.
Così come, e solo per citarne alcuni,
ricordiamo anche Sinjavskij, Daniel, Solzhenitsyn, Conquest, Popper che con le loro opere sono esempi di
ribellione e dissenso al comunismo sovietico[15].
Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, padre del satyagraha[16],
spinse e convinse il suo
popolo alla disubbidienza civile -
sincera, rispettosa, pacifica senza odio e senza rancore, basata su principi
morali universalmente condivisibili - contro le leggi ingiuste e contro l’oppressione
dello Stato.
Tantissimi altri potrebbero essere
ricordati. Tanti contemporanei, in tante parti del mondo, con coraggio e
pagando anche con la vita, si sono ribellati e si ribellano al diritto
ingiusto, alle inique leggi degli Stati.
Da queste considerazioni discendono inevitabilmente insegnamenti e
riflessioni. «Servire il diritto e
combattere le ingiustizie» ben può rappresentare un riferimento e al tempo
stesso un dovere, un insegnamento, un ideale per ogni cittadino, per ciascuno
di noi.
E noi che viviamo in quest’epoca, credo
la più straordinaria e affascinante ma al tempo stesso la più pericolosa di
tutte le epoche della storia dell’uomo, non possiamo esimerci dal porre doverosi
interrogativi.
Coloro che stanno solo dalla parte
della legge positiva, ancorché ingiusta, sono sempre coloro che negano i
sentimenti e l’umanità? E i suoi
operatori sono sempre degli assassini senza scrupoli?
Creonte è quel mostruoso tiranno che
prima facie riteniamo che sia (a scanso di equivoci, nessun accostamento a un
Hitler) ovvero può essere considerato un governante le cui responsabilità di
governo e di tutela della Città richiedono di tener conto delle conseguenze che
una disobbedienza alle leggi positive può causare?
L’insegnamento di Origene e l’esempio
di Antìgone possono essere un riferimento da seguire?
Il diritto, oggi, si può ritenere «l’utile
del più forte»?
Che cosa è legittimo (right) e che cosa
è giusto (just)?
Come possiamo riconoscere ciò che è
giusto e ciò che è iniquo?
Come possiamo distinguere il vero
diritto e il diritto solo apparente?
Cosa
fare e come combattere le leggi ingiuste?
Questi sono solo alcuni dei tanti
interrogativi a cui dovremmo rivolgere la nostra attenzione e le nostre
riflessioni.
Siamo consapevoli della vastità e della complessità
del tema proposto per cui non ci illudiamo di poterlo affrontare esaustivamente
in una giornata di studio.
Non
abbiamo certamente la pretesa di risolvere oggi, per dirla con Alberto
Trabucchi, «un problema tanto grave che ha tormentato la mente e la coscienza
degli uomini», ma desideriamo offrire, con l’illuminante contributo degli
illustri relatori e con le loro attese relazioni, nuove indicazioni e
sollecitare ulteriori riflessioni.
[1] Cfr. Antonio CANTARO, Giustizia
e diritto nella Scienza Giuridica
Europea in Giustizia e diritto nella Scienza Giuridica
Contemporanea, atti del seminario tenutosi a Urbino il 25 marzo 2010, a
cura di Antonio Cantaro, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, pag. 4.
[2] Cfr. Alberto TRABUCCHI, Istituzioni di Diritto Civile, Cedam – Casa Editrice Dott. Antonio
Milani, Padova, 1973, pag. 1 e ss.
[3] Di
Dostoevskij si vedano le famose opere: Memorie dal Sottosuolo (1864) e Delitto e Castigo (1866).
[4] Di Jürgen Habermas si veda
anche: Moralbewusstsein und Kommunikatives Handeln (1983; trad. it. Etica del discorso).
[5] Di Jacques Maritain si veda in particolare: La loi naturelle ou loi non écrite, Fribourg-Paris, Éditions Universitaires, 1986 (prima
ed. postuma: Nove lezioni
sulla legge naturale, a cura di F. Viola, Milano, Jaca Book, 1985).
[6] Cfr. Aldo MORO in Lezioni
di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari, il Diritto,
1944-1945, Cacucci Editore Bari, 1978,
pag. 31.
[7] Cfr. Aldo MORO in Lezioni
di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari, op. cit.,
1978, pag. 53.
[8] Rosario LIVATINO, in Fede e Diritto, fotocopia del dattiloscritto originale, pag. 24.
[9] Cfr. Biondo BIONDI, Istituzioni di diritto Romano, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,
1972, pag.55 e ss. «La parola latina, che corrisponde al nostro termine diritto
è ius. […] Da ius deriva iustus, iuste e
iustitia con riferimento al diritto positivo. […] Il contrapposto di ius e di iustus, per i
latini è iniuria ed iniustus, che indicano la difformità dal
diritto positivo; iniuria è pertanto
tutto ciò che non iure fit.» Iniuria est omne quod non iure fit.
Ingiusto è tutto ciò che si fa contro il diritto.
[10] Cfr. Biondo BIONDI, Istituzioni di diritto Romano, op. cit. pag. 63 e ss. «L’aequitas è intimamente compenetrata
nel ius, che per definizione è
giustizia. L’adeguamento del ius all’aequitas non sempre è immediato».
Allorquando si verifica una discordanza tra ius
ed aequitas il sistema romano e la
giurisprudenza ricompongono il contrasto con il trionfo dell’aequitas. Nelle fonti giustinianee
troviamo indicati i tre grandi princìpi del vivere civile: “honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. Il
primo di questi, è regola soltanto morale. Gli altri due sono fondamentali
principi etici regolatori anche della vita sociale. Oggi diremmo che ci sono
esigenze di rispetto della persona umana e di potenziamento del bene comune che
costituiscono, oltre che le direttive di ogni onesto legislatore, anche dei limiti che dovrebbero essere invalicabili. La
stessa dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 si riferisce a
tali diritti essenziali che sono insiti nella natura dell’uomo e del consorzio
civile.
[11] La tragedia,
appartenente al ciclo dei drammi tebani, fu rappresentata ad Atene alle Grandi
Dionisie del 442 a.C.
[12] Al νομος (nomos, corpus delle leggi
della polis).
[13] I cosiddetti αγραπτα νομιμα (agrapta nomima: corpus di
leggi consuetudinario, ritenuto di origine divina e che nessuna autorità può
violare, un diritto, quindi, al di sopra della legge positiva).
[14] Il sommo Pontefice Benedetto XVI, in occasione della
visita al Parlamento federale Tedesco del 22 settembre 2011, parlando ai
parlamentari tedeschi ha anche proposto loro alcune considerazioni sul diritto.
Il Papa ha cominciato la sua riflessione sui fondamenti del diritto con una
narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. «Nel Primo Libro dei Re», ha ricordato
il successore di Pietro ai suoi connazionali, «si racconta che al giovane re
Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una
richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento? Successo,
ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo
egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché
sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”
(1 Re 3,9).» «Con questo racconto», ha proseguito il Papa «la Bibbia vuole
indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico: il
suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve
essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere
un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace.
Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai
avere la possibilità dell’azione effettiva. Ma il successo è subordinato al
criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza
del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la
strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia.
“Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di
briganti?” ha sentenziato una volta sant’Agostino. Noi tedeschi sappiamo per
nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo
sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il
diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo
strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti
molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo
sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio
dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento
storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo
compito diventa particolarmente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il
mondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed
escludere altri essere umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è
giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e
il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la questione decisiva
davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trovano anche oggi.»
[15] Andrej Sinjavskij con Che cos’è il realismo socialista? Julij Markovič Daniel con Qui parla Mosca del 1960, L’uomo del Minap del 1961 e L’espiazione del 1961; Aleksander
Isaevich Solzhenitsyn anche con i capolavori Una Giornata di Ivan Denisovič del 1963, Arcipelago Gulag del
1973-1978, Vivere senza menzogna del
1974; Robert Conquest con il Costo umano
del Comunismo del 1973 e il Secolo delle idee assassine del 2001;
Karl Raimund Popper con Miseria dello storicismo del 1944-45 e La società aperta e i suoi nemici del
1945.
[16] Lotta non
violenta, disobbedienza civile di massa. Metodo fondato sulla verità (satya) e
sulla non violenza (ahimsa).
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