GIOVANNI TESE', Diritto e giustizia: un perenne conflitto

Giornata di Studio su: Diritto e Giustizia


Canicattì Palazzo Stella – 02 febbraio 2013
 
RELAZIONE INTRODUTTIVA






      Desidero, innanzitutto, rivolgere un cordiale saluto e un sentito ringraziamento all’avvocato Antonino Gaziano, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, e all’avvocato Vincenzo Avanzato, responsabile per la formazione dell’Ordine degli Avvocati, per avere accolto la proposta del Lions Club Canicattì Host, che ho l’onore di presiedere, di promuovere e organizzare insieme questa giornata di studi giuridici qui, a Canicattì.
         Ritengo, altresì, doveroso esprimere la più alta e sentita solidarietà all’Ordine degli Avvocati di Agrigento per le battaglie intraprese per affrontare e contribuire a risolvere la grave situazione in cui si trova il Tribunale di Agrigento a causa dell’ormai cronica carenza di magistrati rispetto alle già insufficienti previsioni di organico.
         Al tempo stesso mi sia consentito manifestare un forte e deciso dissenso alla decisione di privare la Città di Canicattì della sezione distaccata del Tribunale di Agrigento, disposta con il decreto legislativo del 7 settembre 2012, n.155 concernente la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
         Tutto ciò nella consapevolezza del fatto che tanto il Tribunale di Agrigento quanto la sede distaccata di Canicattì rappresentano presidi di giustizia indispensabili non soltanto per gli addetti ai lavori ma anche e soprattutto per tutti i cittadini. Siamo fermamente convinti, infatti, che la regolare e serena amministrazione della Giustizia contribuisca a garantire la libertà dei cittadini e ad assicurare la pace sociale; un bene della comunità, pertanto, che come tale deve essere salvaguardata da tutti.
         Porgo un caloroso benvenuto a tutti i partecipanti e ai colleghi avvocati, che vedo in tanti, e ciò a conferma, spero, dell’interesse suscitato dal tema che abbiamo scelto per questa giornata di studi.
         Rivolgo ancora un cordiale saluto e particolare ringraziamento al professore Vittorio Villa e all’avvocato Diego Guadagnino che hanno accolto l’invito a portare il loro autorevole contributo su un tema tanto affascinante quanto vasto e complesso: Diritto e Giustizia.
         Un tema, questo, che oltre ad essere rilevante sul piano letterario, storico, filosofico e giuridico, ritengo sia anche profondamente attuale e abbia notevoli implicazioni pratiche.
         Il professor Antonio Cantaro, ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, osserva al riguardo che «la domanda di un diritto giusto, al servizio dei valori “universali” della persona, dell’uomo e del valore “assoluto” della vita, si fa ogni giorno sempre più pressante. [….] La crescente domanda di giustizia è un dato fenomenologico. È la società ad avanzare [….] richieste di puntuali interventi riparatori delle “ingiustizie” in tutti gli spazi e gli ambiti della vita comunitaria. Richieste di regolazione e di provvedimenti giudiziari diretti a “moralizzare” l’economia, la società civile, le sue istituzioni, le relazione comunitarie e personali. Persino quelle più private ed intime. Legislatori e giudici sono sempre più frequentemente investiti della richiesta di riconoscere questo o quel diritto, di imporre questo o quell’obbligo, per porre fine hic et nunc a torti e ingiustizie. Un tempo non era nell’ordine naturale delle cose pensare di ricorrere in tribunale con “argomenti morali” per risolvere conflitti tra docenti e studenti, tra padri e figli, tra medici e pazienti, tra  partner. Oggi lo sta diventando. Per non parlare, su un altro piano, del “pentitismo storico”. Della tendenza a portare nel foro penale le colpe storiche di un’intera società o civiltà, a trasformare la “Storia” in tribunale penale».[1] 
         In questa nostra epoca, post-ideologica e post-moderna, l’appello alla morale e alla giustizia rappresenta una costante anche del discorso pubblico sia europeo sia mondiale. Così come, ormai, il riferimento all’etica e alla giustizia è una costante che trova riscontro in moltissimi atti normativi e giuridici.
          Ecco anche perché, nel tempo presente, non è per nulla superfluo o retorico chiedersi: cos’è il diritto, cos’è la giustizia, qual è il rapporto tra diritto e giustizia?
         Il professor Alberto Trabucchi, trattando del concetto di diritto nel suo volume di Istituzioni di diritto Civile[2], afferma che «esistono volumi e volumi di leggi (troppe!), biblioteche di opere sul diritto, palazzi per l’amministrazione della giustizia, organizzazioni scolastiche e universitarie per gli studi giuridici; ma [….] ancora oggi la cosa più difficile consiste nel rispondere a questa semplice domanda: cos’è il diritto?».
         Lo stesso vale allorquando ci chiediamo: che cos’è la giustizia e qual è il rapporto tra diritto e giustizia.
         Tantissime sono le definizione date alla “giustizia” e tantissimi gli attributi: giustizia distributiva, correttiva, naturale, procedurale, retributiva, restituiva, sociale intergenerazionale, personale, politica eccetera.
         Così come tantissime sono le teorie concernenti la relazione tra “diritto” e “giustizia”: teoria critica della razza, teoria critica del femminismo, teoria del bilanciamento e così via.
         Diritto e giustizia, due termini con alto valore polisemico, spesso erroneamente considerati come sinonimi ma profondamente connessi in un rapporto complesso, talvolta difficile e controverso o addirittura antitetico, hanno dato vita a un interminabile confronto e a tantissime disquisizioni che hanno coinvolto ab immemorabili, e continuano a coinvolgere gente comune, letterati, filosofi, drammaturghi, scrittori, teologi, magistrati, avvocati, giuristi, senza giungere tuttavia a conclusioni maggioritariamente condivise.
         Ne ricorderò alcuni e solo a titolo esemplificativo.
         Socrate, filosofo ateniese del IV secolo a.C.,  sacrificò la sua vita per la verità e la giustizia secondo la legge.
          Platone, discepolo di Socrate, mise al centro del suo pensiero filosofico e in particolar modo delle sue opere Repubblica e Gorgia il tema della giustizia.
         Nel Gorgia, Platone sostiene che felicità e giustizia sono due facce della stessa medaglia. Nel Libro I della Repubblica, Trasimaco, interloquendo con Socrate e Polemarco, afferma che «la giustizia è l’utile del più forte».
         Oggi, a distanza di oltre 2400 anni, cosa diremmo a Trasimaco?
         Anche lo storico e generale ateniese Tucidide (circa 460 a.C. e 397 a.C.), nel suo capolavoro La Guerra del Peloponneso, sostiene che il diritto altro non è che «l’utilità» dei più forti per contrastare i più deboli.
         Sofocle, drammaturgo ateniese, affronta il tema della giustizia già nel 442 a.C. con una delle sue celebri tragedie: Antìgone.
         Aristotele (circa 384 a.C. e 322 a.C), discepolo di Platone, specie nellEtica Nicomachea, introduce, in modo chiaro ed innovativo, la distinzione tra giustizia distributiva e giustizia commutativa, sostenendo che la giustizia distributiva consiste nel dare a ciascuno il suo, secondo un criterio di reciprocità e di proporzionalità, mentre la giustizia commutativa o regolatrice, che poggia sul concetto di uguaglianza tra individui, consiste nel cercare di riparare i danni subiti indipendentemente dalle differenze tra gli stessi individui.
         A Eneo Domizio Ulpiano, politico e giurista romano del II secolo circa, si deve la famosa citazione: «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere». («La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo»).
         Quest’ultimo principio concorda con il precetto evangelico: «Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo». («Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»).
         Celso, giurista vissuto al tempo di Adriano, nel II secolo d.C., afferma che «ius est ars boni et aequi»il diritto non è altro che l’arte o il sistema del giusto»). Tale espressione esprime l’aspirazione del ius verso valori morali ed etici.
         Il grandissimo avvocato, giurista e politico Marco Tullio Cicerone (106 a.C. e 43 a.C.) in quasi tutte le sue opere ed in particolare nel De officiis e le Opere politiche e filosofiche pone come riferimento principale il tema della giustizia. In Cicerone possiamo rinvenire una teoria generale della giustizia ispirata alla morale stoica, che si rivolge a tutti gli uomini senza distinzione alcuna e con una visione cosmopolita, transazionale e universale.  
         Sant’Agostino d’Ippona (354 e 430), vescovo, filosofo, teologo, dottore e santo della Chiesa Cattolica, nella sua opera De civitate Dei contra Paganos, (La città di Dio contro i Pagani), si pone un interrogativo tanto inquietante quanto attuale: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (De Civitate Dei 4,4).
         Giustizia, verità e bene comune rappresentano i pilastri portanti del pensiero di Tommaso d'Aquino, definito Doctor Angelicus e venerato come santo sia dalla Chiesa Cattolica - che dal 1567 lo considera anche dottore della Chiesa - sia dalla Chiesa Luterana.
         Sia pur in diverse epoche e ovviamente con diverse sensibilità ed impostazioni, il tema e le problematiche connesse al concetto di giustizia furono centrali per John Locke, David Hume, Adam Smith, George Berkeley, Immanuel Kant,  Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Hans Kelsen.
         Anche Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi prestò particolare attenzione alle problematiche sulla giustizia. Egli si pose decisamente contro l’arbitrio e contro le ingiustizie perpetrate nei confronti dei più deboli e degli indifesi. Non mancavano certo, anche nel Seicento, leggi per punire angherie e soprusi commessi; di fatto, però, la “giustizia” diventava uno strumento aggiuntivo per garantire l’arbitrio e lo strapotere dei più forti a danno dei più deboli e dei poveri.   
         Altri importanti autori, come lo scrittore e filosofo russo dell’Ottocento Fëdor  Michajlovič  Dostoevskij[3], il sociologo tedesco Jürgen Habermas[4], il filosofo francese Jacques Maritain[5], affrontano il tema della giustizia approfonditamente e da diverse angolazioni.
         Per Aldo Moro, acuto giurista e fine politico del Novecento, «il diritto è una forza giusta o, se così preferiamo, una giustizia forte operante» e «questo compenetrarsi di giustizia e di forza è il grande problema del diritto, il problema umano del diritto».[6]  Sul rapporto tra diritto naturale e diritto positivo, Moro, nelle lezioni che tenne presso l’istituto di Filosofia del diritto della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari dal 1944 al 1945, sostiene che «evoluzione e  rivoluzione sono entrambe la vicenda del diritto naturale che sostituisce compiutamente, poco a poco o di colpo, il diritto positivo. [….] Così il diritto naturale è un diritto che nasce ed avanza: quello positivo, sempre in qualche modo, un diritto che muore. Non v’è sistema di diritto positivo nel quale non vada sorgendo un diritto nuovo, naturale, che lo corrode. [….] È chiaro che un diritto è diritto fin quando non è stato ripudiato dal diritto naturale. È diritto fin quando è vivo, fin quando, esso solo, è naturale. [….] La storia nella sua oggettività lo considera come diritto vigente in quel tempo, ma esso è nel tempo nuovo una ingiustizia, contro la quale bisogna stare in guardia e lottare, perché non ritorni».[7]
         Il giudice Rosario Livatino, «un martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede», così disse di lui Giovanni Paolo II  il 9 maggio del 1993 in occasione della sua visita pastorale in Sicilia, ebbe a definire la giustizia come «frutto ultimo del diritto».[8]
         Mi piace ricordare anche il filosofo americano John Bordlej Rawls secondo cui ogni persona umana, nella società, dovrebbe avere «né troppo, né troppo poco».
         Il rapporto tra giustizia secondo la legge e giustizia al di là della legge, che ha contrassegnato diverse epoche della storia dell’umanità, sicuramente ha dato e continua a dare vita ad un eterno conflitto e le problematiche relative all’indignazione e alla ribellione per il diritto ingiusto, ci impongono pertanto doverose considerazioni e riflessioni.
         Se è vero che sia il diritto (ius per i latini)[9] sia la giustizia (iustitia - aequitas) sono (o dovrebbero essere) in accordo tra loro e mirano (o dovrebbero mirare)[10] ad assicurare l’uguaglianza, la pace, l’armonia morale all’interno della società nonché a garantire un giusto e legittimo equilibrio tra i consociati e conseguentemente a favorire la promozione culturale, politica, economica e sociale della persona umana, è altrettanto vero che alcune spaventose esperienze della storia ci hanno insegnato e ancora oggi ci insegnano che l’autorità dello Stato, purtroppo, può trasformarsi anche in uno strumento di oppressione e di barbarie, per cui, sin dagli albori dell’umanità a tutt’oggi, diritto e giustizia sono stati e sono spesso in perenne conflitto tra loro.
         L’anelito a un diritto giusto, esigenza fortemente sentita in modo particolare nel nostro tempo, non rappresenta una novità assoluta.
         La tensione a uno stretto rapporto tra giustizia e diritto è un tema che ha radici molto lontane.
         L’indignazione per il diritto ingiusto è un sentimento che è stato sempre presente nella storia dell’uomo e specialmente nella storia dei popoli europei.
         Sin dalle origini della nostra civiltà al diritto codificato è stata sempre contrapposta l’universalità dei valori umani.
         La letteratura, l’arte, la filosofia europea contengono una miniera inesauribile di appelli alla giustizia da parte di martiri, di personaggi eroici e tragici. 
         La ribellione al diritto ingiusto è stata rappresentata con particolare efficacia nell’Antìgone di Sofocle[11].
          Antìgone, una donna fiera e combattiva, così come rappresentata nella tragedia di Sofocle, decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice, nonostante l’espresso divieto del re di Tebe Creonte; divieto contenuto nel diritto positivo che Antìgone ritiene ingiusto perché contrario al diritto naturale, alle norme di origine divina e quindi da contravvenire, da disattendere, da combattere e conseguentemente sceglie di non sottostare alle inique leggi dello Stato[12], espressioni di una volontà dispotica, tirannica che si pongono al di sopra delle leggi divine. Antìgone contrappone le leggi non scritte degli dei[13], che prevedevano, invece, l’obbligo morale di dare sepoltura ai morti. Sceglie, quindi, la giustizia al di là della legge positiva, con la consapevolezza di dover pagare con la vita la sua ribellione.
         Antìgone simboleggia, pertanto, l’espressione più alta dell’indignazione e della ribellione alla  giustizia secondo la legge o meglio, nel caso di specie, al  diritto ritenuto ingiusto. Per questa ragione, ancora oggi, Antìgone rappresenta il simbolo intramontabile della resistenza alle leggi ingiuste e alla tirannide.
         E ancora, il teologo e filosofo cristiano del terzo secolo Origene di Alessandria (185–232), come ha ricordato Papa Benedetto XVI nel discorso ai parlamentari tedeschi,[14] esortava i cristiani ad avversare gli ordinamenti giuridici ingiusti con queste argomentazioni: «Se qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia che ha leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro […] questi senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della verità […] insieme con altri che hanno la stessa opinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in vigore». «In base a questa convinzione», ha sottolineato ancora il Papa, sempre nel discorso ai parlamentari  tedeschi, «i combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera  umanità. Per queste persone era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia».
         Il richiamo a principi di giustizia naturale spinsero e spingono  uomini di ogni ceto e di ogni razza alla ribellione contro le leggi inique, contro gli Stati oppressori. Eroi del passato e del presente non hanno esitato a sacrificare la propria vita per la vera giustizia e per la libertà.
         I fratelli Hans e Sophie Sholl e il Teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer  si ribellarono contro lo Stato nazista e contro le aberranti leggi naziste, pagando con la loro vita la giusta ribellione.
         I fratelli Rosselli, Giacomo Matteotti, Giorgio Amendola, Antonio Gramsci, don Giovanni Minzoni, Alcide De Gasperi, Luigi Sturzo, e moltissimi altri meno noti, con le loro coraggiose scelte di vita si opposero alla dittatura fascista.
         Così come, e solo per citarne alcuni, ricordiamo anche Sinjavskij, Daniel, Solzhenitsyn, Conquest, Popper  che con le loro opere sono esempi di ribellione e dissenso al comunismo sovietico[15].
         Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, padre del satyagraha[16],  spinse e convinse il suo popolo alla  disubbidienza civile - sincera, rispettosa, pacifica senza odio e senza rancore, basata su principi morali universalmente condivisibili - contro le leggi ingiuste e contro l’oppressione dello Stato.
         Tantissimi altri potrebbero essere ricordati. Tanti contemporanei, in tante parti del mondo, con coraggio e pagando anche con la vita, si sono ribellati e si ribellano al diritto ingiusto, alle inique leggi degli Stati.
         Da queste considerazioni  discendono inevitabilmente insegnamenti e riflessioni.  «Servire il diritto e combattere le ingiustizie» ben può rappresentare un riferimento e al tempo stesso un dovere, un insegnamento, un ideale per ogni cittadino, per ciascuno di noi.
         E noi che viviamo in quest’epoca, credo la più straordinaria e affascinante ma al tempo stesso la più pericolosa di tutte le epoche della storia dell’uomo, non possiamo esimerci dal porre doverosi interrogativi.
         Coloro che stanno solo dalla parte della legge positiva, ancorché ingiusta, sono sempre coloro che negano i sentimenti e l’umanità?  E i suoi operatori sono sempre degli assassini senza scrupoli?
         Creonte è quel mostruoso tiranno che prima facie riteniamo che sia (a scanso di equivoci, nessun accostamento a un Hitler) ovvero può essere considerato un governante le cui responsabilità di governo e di tutela della Città richiedono di tener conto delle conseguenze che una disobbedienza alle leggi positive può causare?
         L’insegnamento di Origene e l’esempio di Antìgone possono essere un riferimento da seguire?
         Il diritto, oggi, si può ritenere «l’utile del più forte»?
         Che cosa è legittimo (right) e che cosa è giusto (just)?
         Come possiamo riconoscere ciò che è giusto e ciò che è iniquo?
         Come possiamo distinguere il vero diritto e il diritto solo apparente?
         Cosa fare e come combattere le leggi ingiuste?
       Questi sono solo alcuni dei tanti interrogativi a cui dovremmo rivolgere la nostra attenzione e le nostre riflessioni.
         Siamo consapevoli della vastità e della complessità del tema proposto per cui non ci illudiamo di poterlo affrontare esaustivamente in una giornata di studio.
       Non abbiamo certamente la pretesa di risolvere oggi, per dirla con Alberto Trabucchi, «un problema tanto grave che ha tormentato la mente e la coscienza degli uomini», ma desideriamo offrire, con l’illuminante contributo degli illustri relatori e con le loro attese relazioni, nuove indicazioni e sollecitare ulteriori riflessioni.  


[1]  Cfr.  Antonio CANTARO,  Giustizia e diritto nella Scienza Giuridica  Europea  in Giustizia e diritto nella Scienza Giuridica Contemporanea, atti del seminario tenutosi a Urbino il 25 marzo 2010, a cura di Antonio Cantaro, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, pag. 4.

[2] Cfr. Alberto TRABUCCHI, Istituzioni di Diritto Civile, Cedam – Casa Editrice Dott. Antonio Milani,  Padova, 1973, pag. 1 e ss.
[3]  Di Dostoevskij si vedano le famose opere:  Memorie dal Sottosuolo (1864) e Delitto e Castigo (1866).

[4]  Di Jürgen Habermas si veda anche: Moralbewusstsein und Kommunikatives Handeln (1983; trad. it. Etica del discorso). 

[5] Di Jacques Maritain si veda in particolare: La loi naturelle ou loi non écrite, Fribourg-Paris, Éditions Universitaires, 1986 (prima ed. postuma: Nove lezioni sulla legge naturale, a cura di F. Viola, Milano, Jaca Book, 1985).

[6] Cfr. Aldo MORO in Lezioni di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari, il Diritto, 1944-1945, Cacucci  Editore Bari, 1978, pag. 31.

[7] Cfr. Aldo MORO in Lezioni di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari, op. cit., 1978, pag. 53.

[8] Rosario LIVATINO, in Fede e Diritto, fotocopia del dattiloscritto originale, pag. 24.

[9] Cfr. Biondo BIONDI, Istituzioni di diritto Romano, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1972, pag.55 e ss. «La parola latina, che corrisponde al nostro termine diritto è ius. […] Da ius deriva iustus, iuste e iustitia con riferimento al diritto positivo. […]  Il contrapposto di ius e di iustus, per i latini è iniuria ed iniustus, che indicano la difformità dal diritto positivo; iniuria è pertanto tutto ciò che non iure fitIniuria est omne quod non iure fit.  Ingiusto è tutto ciò che si fa contro il diritto.
[10] Cfr. Biondo BIONDI, Istituzioni di diritto Romano, op. cit. pag. 63 e ss. «L’aequitas è intimamente compenetrata nel ius, che per definizione è giustizia. L’adeguamento del ius all’aequitas non sempre è immediato». Allorquando si verifica una discordanza tra ius ed aequitas il sistema romano e la giurisprudenza ricompongono il contrasto con il trionfo dell’aequitas. Nelle fonti giustinianee troviamo indicati i tre grandi princìpi del vivere civile: “honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. Il primo di questi, è regola soltanto morale. Gli altri due sono fondamentali principi etici regolatori anche della vita sociale. Oggi diremmo che ci sono esigenze di rispetto della persona umana e di potenziamento del bene comune che costituiscono, oltre che le direttive di ogni onesto legislatore, anche dei limiti che dovrebbero essere invalicabili. La stessa dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 si riferisce a tali diritti essenziali che sono insiti nella natura dell’uomo e del consorzio civile.
[11]  La tragedia, appartenente al ciclo dei drammi tebani, fu rappresentata ad Atene alle Grandi Dionisie del 442 a.C.

[12]  Al νομος (nomos, corpus delle leggi della polis).

[13]  I cosiddetti αγραπτα νομιμα (agrapta nomima: corpus di leggi consuetudinario, ritenuto di origine divina e che nessuna autorità può violare, un diritto, quindi, al di sopra della legge positiva).
[14] Il sommo Pontefice Benedetto XVI, in occasione della visita al Parlamento federale Tedesco del 22 settembre 2011, parlando ai parlamentari tedeschi ha anche proposto loro alcune considerazioni sul diritto. Il Papa ha cominciato la sua riflessione sui fondamenti del diritto con una narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. «Nel Primo Libro dei Re», ha ricordato il successore di Pietro ai suoi connazionali, «si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3,9).» «Con questo racconto», ha proseguito il Papa «la Bibbia vuole indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico: il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell’azione effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha sentenziato una volta sant’Agostino. Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri essere umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la questione decisiva davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trovano anche oggi.» 
[15] Andrej Sinjavskij con Che cos’è il realismo socialista? Julij Markovič Daniel con Qui parla Mosca del 1960, L’uomo del Minap del 1961 e L’espiazione del 1961; Aleksander Isaevich Solzhenitsyn anche con i capolavori Una Giornata di Ivan Denisovič del 1963, Arcipelago Gulag del 1973-1978, Vivere senza menzogna del 1974; Robert Conquest con il Costo umano del Comunismo del 1973 e il Secolo delle idee assassine del 2001; Karl Raimund  Popper con Miseria dello storicismo del 1944-45 e La società aperta e i suoi nemici del 1945.
[16]  Lotta non violenta, disobbedienza civile di massa. Metodo fondato sulla verità (satya) e sulla non violenza (ahimsa).

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