“La saggezza non vince la morte e
il pensiero della morte ti porta spesso a interrogarti sul vero senso del
drammatico percorso esistenziale”. E’ questa una delle riflessioni esternate,
in una ricca articolata lunga corrispondenza epistolare, tra Francesco e Marco.
Due amici d’infanzia che, cresciuti in Sicilia all’ombra di antichi mandorli ed
ulivi ancora dal sapore saraceno e immersi in “diffusi fecondi frutteti e
sghembi fichidindia”, condividono, sin dalla giovinezza, particolari interessi
letterari non nascondendo un disinibito rifiuto della verità di fede.
Eppure, è innato nell’uomo il
desiderio di voler sapere incuneandosi nelle pieghe della ricerca e conoscenza
del divino, che ha alimentato la mente e il cuore delle più grandi intelligenze
dell’umanità. E’ un tentativo al di sopra delle umane coscienze o un desiderio
insaziabile dell’animo? “La natura umana non è mai soltanto razionalità, così
come non è mai soltanto istinto”, lo sostiene saggiamente Francesco Augello
nella sua opera prima, “Una sofferta disputa di fede” (Salvatore Sciascia
Editore, Caltanissetta 2013, pp. 376), in cui percorre un significativo
itinerario dove, attraverso la sequenza epistolare tra Francesco e Marco, “il doppio
volto della verità si configura sempre con l’ambiguità delle cose che sfuggono
alle pretese delle dimostrazioni scientifiche”.
L’autore, docente liceale di
italiano e latino in terra nissena, conterraneo e studioso di Luigi Russo, da
alcuni anni ha immerso il suo animo deliano nell’accanita passione agli studi
dei testi sacri. Lo si intravede attraverso gli strumenti rivenienti dalla sua
formazione culturale: i testi della letteratura mondiale, gli scritti dei
pensatori.
“Sempre gli uomini hanno tentato di conciliare ciò che si crede per fede
con ciò che si crede per esperimento d’indagine, ossia conciliare l’inconciliabile.
Grave errore. Fede e ricerca scientifica sono due valori distinti del patrimonio
ideale dell’umanità. Conviene lasciare a ciascuno il suo valore intatto e pensare
che la ricchezza del mondo è tale, perché sono tante le verità”, così scrive il
prefatore Matteo Collura.
Di qui l’intreccio delle
riflessioni di cui è dolcemente impregnato il citato epistolario che Augello
propone al lettore attraverso pagine avvincenti ed emozionanti e da cui “emerge il ritratto di un’anima inquieta, di
uno spirito indagatore”, come annota Francesca Fiandaca nella postfazione, alla
ricerca delle “ragioni del credere e del non credere”.
In questa incessante e tormentata ricerca emerge dirompente il filo
conduttore che, scrive Antonio Vitellaro nell’altra postfazione, si gioca entro
due “confini” quello riposto nella fede e nella speranza della fede viaggiante
nel binario parallelo del “dissidio interiore che cerca conforto nelle parole
dell’altro”.
Giuseppe Nativo
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