GIUSEPPE NATIVO, “Una sofferta disputa di fede” in un libro di Francesco Augello



“La saggezza non vince la morte e il pensiero della morte ti porta spesso a interrogarti sul vero senso del drammatico percorso esistenziale”. E’ questa una delle riflessioni esternate, in una ricca articolata lunga corrispondenza epistolare, tra Francesco e Marco. Due amici d’infanzia che, cresciuti in Sicilia all’ombra di antichi mandorli ed ulivi ancora dal sapore saraceno e immersi in “diffusi fecondi frutteti e sghembi fichidindia”, condividono, sin dalla giovinezza, particolari interessi letterari non nascondendo un disinibito rifiuto della verità di fede.

Eppure, è innato nell’uomo il desiderio di voler sapere incuneandosi nelle pieghe della ricerca e conoscenza del divino, che ha alimentato la mente e il cuore delle più grandi intelligenze dell’umanità. E’ un tentativo al di sopra delle umane coscienze o un desiderio insaziabile dell’animo? “La natura umana non è mai soltanto razionalità, così come non è mai soltanto istinto”, lo sostiene saggiamente Francesco Augello nella sua opera prima, “Una sofferta disputa di fede” (Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2013, pp. 376), in cui percorre un significativo itinerario dove, attraverso la sequenza epistolare tra Francesco e Marco, “il doppio volto della verità si configura sempre con l’ambiguità delle cose che sfuggono alle pretese delle dimostrazioni scientifiche”.
L’autore, docente liceale di italiano e latino in terra nissena, conterraneo e studioso di Luigi Russo, da alcuni anni ha immerso il suo animo deliano nell’accanita passione agli studi dei testi sacri. Lo si intravede attraverso gli strumenti rivenienti dalla sua formazione culturale: i testi della letteratura mondiale, gli scritti dei pensatori.
“Sempre gli uomini hanno tentato di conciliare ciò che si crede per fede con ciò che si crede per esperimento d’indagine, ossia conciliare l’inconciliabile. Grave errore. Fede e ricerca scientifica sono due valori distinti del patrimonio ideale dell’umanità. Conviene lasciare a ciascuno il suo valore intatto e pensare che la ricchezza del mondo è tale, perché sono tante le verità”, così scrive il prefatore Matteo Collura.
Di qui l’intreccio delle riflessioni di cui è dolcemente impregnato il citato epistolario che Augello propone al lettore attraverso pagine avvincenti ed emozionanti e da cui “emerge il ritratto di un’anima inquieta, di uno spirito indagatore”, come annota Francesca Fiandaca nella postfazione, alla ricerca delle “ragioni del credere e del non credere”.
In questa incessante e tormentata ricerca emerge dirompente il filo conduttore che, scrive Antonio Vitellaro nell’altra postfazione, si gioca entro due “confini” quello riposto nella fede e nella speranza della fede viaggiante nel binario parallelo del “dissidio interiore che cerca conforto nelle parole dell’altro”.

Giuseppe Nativo

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