DIEGO GUADAGNINO, Il Congo di Guido Cicero


“Che orrore! che orrore!” Con queste parole, cariche di mistero, muore l’altrettanto misterioso Kurtz, nelle ultime pagine di Cuore di tenebra, il  romanzo in cui Joseph Conrad volle descrivere i massacri compiuti dai bianchi nelle foreste del Congo in nome del dio denaro. Dopo più di un secolo, non possono essere diverse le parole  che ci salgono alle labbra nel considerare i primati che detiene la Repubblica Democratica del Congo.

E’ il paese con il maggior numero di bambini soldato; in poco più di un decennio sono stati uccisi oltre sei milioni di abitanti; lo stupro contro le donne è norma tra le milizie; i bambini orfani sono più di dieci milioni; molti vengono fatti lavorare nelle miniere, dove lo sfruttamento del lavoro minorile è la regola, facendo più di duecentomila vittime ogni anno. Sono dati sufficienti per dire che il Congo è il luogo dove la cattiva coscienza dell’Occidente da oltre centocinquant’anni dà il peggio di sé.  


       Questa breve notazione introduttiva è necessaria per poterci accostare immunizzati  alle immagini accattivanti che  il  fotografo Guido Cicero ci propone per raccontare un suo viaggio in Africa, compiuto nel 2010 al seguito di una delegazione della diocesi di Noto. Quando il talento predomina sullo strumento, come nel caso di Cicero, lo scatto riesce a cogliere lo spirito che sta dentro la figura; e dietro questi volti intensamente espressivi c’è, e si sente, l’interiorità dell’Africa, un’interiorità fatta di incondizionata adesione alla vita come valore dominante su ogni altro, nonostante le offese atroci della storia.

      Bisogna tenere viva memoria del passato e del presente del popolo congolese non solo per non vedere queste  immagini stupende come un tentativo di edulcorare una realtà che nella sua essenza storica e politica  ha ben poco di stupendo; ma anche per ponderare e scandagliare la forza della vita espressa da quei visi, che ci commuovono, non per il paternalismo verso il buon selvaggio a cui ci ha educato un malinteso romanticismo, ma per la nostra miseria di uomini strozzati dall’eccesso di beni materiali e divenuti incapaci di felicità. Gli adolescenti, le donne, le madri, i bambini ripresi da Cicero certamente non sospettano quanto hanno da insegnare alla nostra stanchezza di vincenti senza gioia. La ricchezza di cui le corporations occidentali non potranno depredarli risiede nella coincidenza tra essere e coscienza, un sentire collettivo, questo, che  l’artista ha saputo cogliere con la foto dal titolo Oceano di mani”, dove si vede una folla di bambini alzare la mano, aperta, distesa, ben visibile, leale. Si forma un’immagine che brulica di volti e di mani.


Non sono mani che chiedono, come ci si aspetterebbe dalla loro condizione di bisogno; non sono mani che minacciano, come ci si aspetterebbe dalla loro condizione di sfruttati, sono mani che salutano, e ci sorprendono con la loro disarmante  gioia di esistere e comunicare.  
      “A piedi nudi verso la speranza…” è, invece, il titolo della foto di un bambino appresso a un cerchione di biciletta, lieto e sicuro di sé, circondato da un alone luminoso e davanti a una strada che si apre ampia e libera alla sua voglia di correre: un’immagine perfetta della fiducia in se stessi convogliata in ansia di futuro.



 Un  sapore di  quotidianità sana e positiva domina  le “Venditrici della savana” e  le “Venditrici a Bingo”, dove diventa protagonista anche l'’inconfondibile abbigliamento delle donne africane fatto di colori e fantasie sgargianti, interamente proiettati verso l’esterno a esprimere un modo di essere che è essenzialmente comunicazione.

    Cicero non è fotografo sofisticato, perché non ha bisogno di ricorrere alla sofisticazione per trasformare l’immagine in messaggio forte e allusivo. La sua capacità, la sua bravura, il suo talento sono tali da riuscire a cogliere dalla semplice naturalezza  dei soggetti i particolari e gli attributi che li impongono alla nostra attenzione con la poesia e il mistero dell’arte. Si guardino, a conferma, “Spiragli di luce” e “Innocenti e luminosi”: gli occhi infantili emergenti dal nero o dal buio ci attraggono in un vortice allusivo di significati, simboli, miti, circostanze, sentimenti come succede solo davanti alle opere in grado di far vibrare i nostri archetipi.

  “Emozione Africa”, non c’era titolo più appropriato per questo reportage, con cui il nostro fotografo ci dà un’istantanea della dolcezza e dell’orgoglio di quell’anima  africana,  che attraverso la voce di un suo poeta ha saputo dire all’uomo occidentale: “La tua frusta mi ha tolto la paura della morte”.



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