M.R. ODDO, F. VELLA, Note sui carrettieri catanesi

18 Marzo 1978 - Nell'ufficio del cavaliere Platania, presso la Camera di Commercio di Catania, incontriamo don Saro Caruso, camionista, ex carrettiere. Il cav. Platania era stato da noi contattato telefonicamente da Palermo, come persona qualificata per fornirci le prime indicazioni sui carrettieri catanesi. La sua mediazione ci era sembrata necessaria, poiché la vastità fisica e la disgregazione sociale propria ad ogni città del meridione, avrebbe reso estremamente problematico un approccio diretto con i nostri informatori.
Don Saro Caruso, 63 anni, analfabeta, ci fornisce una serie di informazioni abbastanza confuse, che solo integrate con successive interviste sarebbero servite a darci un quadro della sua attività. Proveniente da una famiglia in cui il padre era carrettiere ed il nonno costruttore di carretti, di don Saro si può dire, come egli stesso suole ripetere, «ca nascíu mmienzu é cavaddi», espressione questa che ritornerà spesso nei discorsi dei nostri informatori. Incominciò ad accompagnare il padre nei viaggi intorno ai dieci anni, non è andato a scuola ed ha lavorato con il carretto fino a pochi anni fa. Proprietario del mezzo di trasporto, lavorava anche per conto di terzi. Trasportava in prevalenza fieno e carciofi, secondo le stagioni. Ora è proprietario di un camion e lavora con i suoi quattro figli, i quali però non svolgono questa attività continuamente: uno di essi è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, un altro è impiegato e due lavorano come carpentieri nei cantieri edili. Oggi don Saro si limita al trasporto di legname. Gli chiediamo se, come avviene nel Palermitano, è solito incontrare gli antichi compagni di lavoro per cantare le vecchie canzoni. Don Saro dice che gli ex carrettieri si ritrovano oggi insiemein occasione delle feste organizzate dagli Enti turistici e allora i loro canti sono, stando a ciò che egli afferma, Ciuri ciuri, Si maritau Rosa, Vitti na crozza, accompagnati da scacciapensieri, zufolo e fisarmonica. Sul modo di cantare dei palermitani non si esprime in termini lusinghieri: dice che svuota il cervello di chi canta e assorda l'ascoltatore: «si potta i miruddi» e «unu s'arricogghi suddu».
Lo scarso apprezzamento dei catanesi per il canto alla carrettiera dei palermitani sarà una costante in tutte le altre interviste. Lo stesso si dica per la maniera di guidare il carro. Don Saro insiste su questo punto e istituisce una distinzione tra cacciari a misteri, guidare con arte e cacciari à fumirara, guidare alla maniera dei vecchi raccoglitori di sterco. La seconda definizione, secondo i catanesi, indica la maniera di condurre il cavallo propria dei palermitani. Cercando di non lasciarci coinvolgere in dispute campanilistiche chiediamo a Don Saro dove possiamo incontrare altri carrettieri ed egli ci fissa un appuntamento per le 15 a Piazza Palestro: u Futtinu.
In fondo alla via Vittorio Emanuele, alla periferia di Catania si trova Piazza Palestro, al di là di un grande arco di pietra. Tutt'intorno alla piazza dove sostano camions e autocarri, vi sono officine di riparazioni meccaniche, autorimesse, taverne o osterie, e negozi di piccolo commercio tipici di un piccolo agglomerato urbano. Si ha l'impressione che l'arco divida la grande città da un paese. Si respira, infatti, questa atmosfera, sia per i tipi edilizi (abitazioni, luoghi di commercio e attività artigianali) sia per il tipo di rapporto che si instaura a livello familiare e di vicinato proprio degli abitanti di questo quartiere.
Don Saro si era preoccupato di avvertire del nostro arrivo i suoi compagni di lavoro, per cui a Piazza Palestro troviamo già un gruppo di persone che ci attende. La nostra puntualità è apprezzata come garanzia di serietà e siamo prese subito sul serio, malgrado qualche riserva non chiaramente espressa ma evidente, sulla insolita presenza di due giovani donne e sul tipo stesso del lavoro che dichiariamo di volere svolgere. Il gruppo di Piazza Palestro ci indirizza ad un ex carrettiere, Santo Cavagno, detto Santu Pintu di 74 anni, analfabeta. Egli è, tutt'oggi, un esecutore molto apprezzato di canti alla carrettiera. La ricerca di Santu Pintu non è facile. Alla fine di un lungo girovagare lo troviamo in una osteria, dato che è a tutti nota nel quartiere la sua abitudine di trascorrere i pomeriggi «nna putia». L'intervista con Santu Pintu si anima per i numerosi interventi degli altri presenti. Giovanni Sapuppo, detto Rapisarda di 54 anni, carrettiere, contesta a Santu Pintu l'abilità nel canto e la mancanza di voce, e ne addebita le ragioni all'abuso del vino. Da qui nasce una disputa sulle qualità del cantare, da cui un concetto risulta chiaro: più di una bella voce è apprezzabile lo stile con cui si canta. Santu Pintu lo dichiara cantando:
mi pigghiu un cutidduzzu e na valanza
pi spàttiri la vuci e la carenza
Giovanni Sapuppo, sollecitato nell'amor proprio, ci invita a casa per ascoltare i suoi canti, sfidando palesemente Santu Pintu.
Tra varie contese non abbiamo avuto modo di registrare, in quell'occasione, i canti degli ex carrettieri. Alla fine veniamo condotte, quasi in processione, nella casa del vecchio Francesco Sapuppo, ex carrettiere di 95 anni, nominato il 28 ottobre 1937 «cavaliere e re dei carrettieri». La casa si presenta come un museo: una vecchia e grande stanza, sicuramente? ma ex stalla, tappezzata di fotografie di cavalli, di carretti, di gente in costume; vi sono inoltre numerose coppe, finimenti per i cavalli pendenti dal tetto, un grande carretto interamente scolpito, vanto della famiglia Sapuppo, un armadio colmo di bellissimi ornamenti per i cavalli, usati durante le sfilate. In un angolo c'è un letto dove il vecchio Rapisarda, completamente incosciente viene costantemente vegliato dalla moglie. I due vecchi non sono soli: tutti i carrettieri e gli ex carrettieri entrano ed escono dalla grande porta sempre aperta, informandosi sul malato, sostano nella sua casa sedendosi a gio­care a carte; comportamento, quest'ultimo, che ci stupisce, quasi fosse segno di indifferenza, ma che più profondamente, poi, ci si rivela come testimonianza di solidale amicizia sia verso il vecchio morente sia verso la moglie. Del vecchio Rapisarda vengon decantate la voce e lo stile; ascoltiamo una registrazione dei suoi canti, fatta nel 1972, da cui traiamo effettiva conferma della sua bravura.
Dopo questo primo incontro, singolare per molti aspetti, i nostri rapporti con i carrettieri di Catania divennero familiari e più agevolmente si svolse il nostro lavoro. Ciò in particolare accadde nel corso di una « festa » estemporanea.
31 Marzo 1978. Ci troviamo a casa di Francesco Rametta, ex carrettiere di 57 anni. Oltre alle persone da noi contattate in precedenza sono stati invitati alcuni suonatori. Pensiamo che ai fini del nostro lavoro questi ultimi non siano strettamente necessari, ma in seguito abbiamo modo di constatare che all'interno della comunità di carrettieri ed ex carrettieri catanesi la loro presenza ha significato non trascurabile.
La riattualizzazione del passato, se di ciò può trattarsi, si tenta soltanto nelle grandi feste e nel caso di sfilate «folkloristiche», organizzate dall'Ente per il Turismo e dalla Pro Loco: il 1° maggio a Messina, il 9-10 maggio a Tre Castagni per la festa di S. Alfio, i primi di febbraio per la Sagra del mandorlo in fiore ad Agrigento. In queste ricorrenze ciò che è richiesto ai carrettieri è di essere pittoreschi. Vengono indossati costumi tradizionali improbabili, il cavallo ed il carretto sono ornati sino all'inverosimile, i canti dei carrettieri sono riproposti con l'accompagnamento di tutta una serie di strumenti che con l'antica struttura musicale del canto nulla hanno da vedere. Durante la festa improvvisata in casa Rametta si esibiscono, oltre il padrone di casa suonatore di cianciani, i suoi due figli: Gaetano di 26 anni suonatore di marranzanu e quattara e Salvatore di 23 anni suonatore di tambureddu; Carmelo Messina di 59 anni ex carrettiere, suonatore di friscalettu, Carmelo Sangiorgio ex carrettiere di 60 anni, suonatore di marranzanu; Francesco Di Martino di 76 anni, analfabeta, suonatore di chitarra. I due ultimi alternativamente suonano anche 1'azzarinu o triangulu e due mezze noci di cocco per imitare il rumore degli zoccoli del cavallo. Le persone che noi avevamo precedentemente contattato e che ci avrebbero cantato i loro canti sono: Santu Pintu, Rapisarda, Concetto Testa detto Sghibbiu, di 37 anni, saldatore elettrico, nipote del Rapisarda. Presenti oltre alla moglie e alla nipote del Rametta, Luciano Privitera, carrettiere di 68 anni, analfabeta; Nicolò Volpes ex carrettiere, detto Cola Capaci.
I canti â carrittera sono intercalati spesso da tarantelle, serenate, friscalettate, marranzanate, ballate â siciliana, che i nostri informatori si fanno obbligo di farci ascoltare ritenendoli più interessanti e musicalmente più ricchi, tali da prestarsi meglio alla esibizione delle loro capacità interpretative. Santu Pintu oltre ai canti â carrittera esegue due serenate che a nostro avviso costituiscono un esempio della differenza tra il canto dei carrettieri vero e proprio e l'imbastardimento di questo. La sua maniera di cantare, in particolare nelle serenate, dichiara influenze e rimaneggiamenti di altri generi musicali: per esempio della canzone napoletana. La distanza dalle musiche e dai modi tradizionali si fa più evidente se il suo cantare si paragona a quello di Rapisarda, più aderente all'antico modello. Un modo tradizionale di cantare è sufficientemente rappresentato dal contrasto tra Rapisarda e il nipote Concetto Testa. Il contrasto, una vera e propria sfida sulla conoscenza del canto più bello e sulla padronanza della tecnica migliore, consiste nella esecuzione alternata di canti che si concludono con la chiamata.
L'avvio al contrasto è dato da Concetto Testa, per alcuni versi la persona più estranea al mondo dei carrettieri. Oltre al contrasto e ad un canto, che egli afferma di avere interamente composto: Acchia cavaddu miti, statti mmovimentu, Concetto Testa esegue, dedicandoceli, alcuni canti improvvisati e un esempio di carrittera giurgintana: Mara Maruzza susiti matinu.

Abbiamo riportato i due incontri per noi più significativi con i carrettieri di Catania. Altre interviste ci hanno permesso di ampliare le prime notizie raccolte sulla loro vita nel passato e al presente. Oggi per l'ambito urbano di Catania non si può più parlare di carrettieri. Il loro è un mestiere quasi scomparso. Indicativamente, tra venti persone da noi intervistate, solo due fanno ancora i carrettieri; gli altri hanno smesso di lavorare col carretto, già da dieci anni i più anziani, solo da circa due anni i più giovani. In tutta Catania non si trovano più di nove carrettieri che continuano a svolgere la loro attività. I carretti sono stati sostituiti dai camions per i più giovani; gli anziani non svolgono più alcuna attività. Gli ex carrettieri continuano ad incontrarsi o almeno ad avere rapporti frequenti. Per i vecchi è l'unica possibi­lità loro rimasta di rivivere un passato che non ha avuto continuità nemmeno nella famiglia: nessuno dei figli dei nostri intervistati fa o ha mai fatto il carrettiere.
Nei racconti di vita dei nostri informatori vengono ricordati gli aspetti più duri del mestiere: la fatica, la lontananza continua dalla famiglia e dalla casa, la precarietà delle condizioni economiche, i rischi dei viaggi. Questi aspetti vengono però ampliamente ricompensati dalla coscienza, propria del carrettiere, della sua condizione privilegiata rispetto a quella del contadino. Egli era quasi sempre proprietario del carretto e del cavallo, i suoi guadagni bastavano a mantenere tutta la famiglia: «a mugghieri ru carritteri un ha travagghiatu mai!»; i suo rapporti col datore di lavoro si limitavano all'indicazione della destinazione e della merce da trasportare: il carrettiere era poi libero di organizzare i1 viaggio come meglio credeva.
Quello del carrettiere era un mestiere che si tramandava quasi esclusivamente da padre in figlio, e comunque il carrettiere proveniva sempre da famiglie che vivevano dell'economia del carretto: costruttori di carri, funnacari cioè proprietari dei luoghi di riposo per il carrettiere e gli animali durante i viaggi, ecc. Non è più possibile trovare a Catania dei fondaci, che per altro sono ridotti a ruderi anche nelle campagne e nei paesi; i fondaci urbani sono stati spesso adibiti ad autorimesse. I1 carrettiere veniva avviato al mestiere da bambino: intorno ai 10 anni, è l'età che ci è stata indicata più frequentemente. Il bambino non andava a scuola o, al più, frequentava solo le prime classi. La necessità di aiutare economicamente la famiglia era la giustificazione dell'avviamento precoce al lavoro dei maschi; le donne, mogli o figlie, accudivano alla casa.
«Nné tiempi cchiù antichi», fino alla seconda guerra mondiale, il carrettiere viaggiava per tutta la piana di Catania, dalla città andava in campagna a caricare prodotti agricoli: fieno, carciofi, ecc. secondo le stagioni. Dopo la seconda guerra mondiale si incrementò il commercio del legname, molti viaggi si restrinsero allora all'ambito urbano: si caricava al porto e si portava il carico nei magazzini del datore di lavoro. Il tramite tra i carrettieri e il datore di lavoro era il massaro o il curatolo. Prima della seconda guerra mondiale un viaggio era così retribuito: da 4 a 5 lire un viaggio all'interno del perimetro urbano; 10 lire un viaggio alla «Piana»; 20 lire un viaggio che durava due giorni. Il carrettiere veniva pagato a viaggiu, di solito faceva un viaggio al giorno e riscuoteva il pagamento alla fine della settimana. Il carrettiere partiva alle quattro del mattino, se il viaggio era più lungo anche all'una. Il carretto e il, cavallo, per quanto riguarda le persone che abbiamo intervistato, erano di proprietà del carrettiere che per essi aveva una grande cura. Il « cavallo siciliano » era considerato il migliore: baiu baio, baiu carrubbaru baio color carruba, mureddu niuru morello nero, stunnu cavallo bianco, covvu cavallo grigio, erano i più richiesti. I tipi di carro usati erano essenzialmente due: u carrettu carro a due ruote, u carramattu carro lungo a sei ruote per i carichi di legname.

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