FRANCESCA VELLA, Mastri d'ascia a Troina

Mastru d'ascia, come dal nome stesso si deduce, è l'artigiano che lavorando il legno, usa, in modo preponderante rispetto a tutti gli altri attrezzi da lavoro, l'ascia. Nella comunità da me presa in esame, l'attività del mastru d'ascia è Completamente diversa da quella del falegname, u fallignami. Mentre quest'ultimo costruisce porte, infissi, mobili, il mastru d'ascia, secondo la stessa definizione degli artigiani da me intervistati, «fa un travagghiu cchiù pisanti, cchiù rozzu».
La produzione del mastru d'ascia è essenzialmente una produzione di strumenti di lavoro. Altra importante distinzione da notare è che, mentre il mastru d'ascia si procurava da sé la materia prima, il legno, u fallignami lo acquista. A Troina l'attività dei mastri d'ascia era connessa a quella agricola e a quella pastorale; infatti gli strumenti fondamentali per queste attività: a ratu, a straula, i marruggia ri picu, ri pala, ri zappa; per il lavoro contadino, i cischi pu latti, i tina pi quagghiari per la pastorizia, erano specificatamente costruiti da questi mastri artigiani.
U mastru d'ascia era un lavoro che si trasmetteva soltanto da padre in figlio e l'attività completa si incominciava a svolgere soltanto verso i venti anni, non essendo possibile per il ragazzo iniziarla prima, data la forza che occorre per il lavoro. L'attività dei mastri d'ascia era un ciclo di lavoro completo: dall'approvvigionamento della materia prima, il legno al bosco, alla rifinitura dei prodotti nel laboratorio del paese.
Troina, città demaniale fin dal secolo XI, per volontà dello stesso Ruggero, amministrava un territorio vastissimo, suddiviso in grandi proprietà dei due conventi di San Michele Arcangelo e di Sant'Elia de Ambula e un demanio pubblico, posto a settentrione del centro costituito dai boschi di Troina, Cerami e Buscemi, ancora oggi esteso oltre i 6.000 ettari.
La prima grossa divisione del lavoro era per stagioni: primavera-estate, autunno-inverno.
Tutta a staciunata, di solito da marzo a settembre, la mattina, attorno alle quattro, i mastri d'ascia, partivano per il bosco a ccarricari a lignami chi muli o chi scecchi. I mastri d'ascia andavano al bosco in gruppi di quattro o cinque, di solito imparentati tra loro: padri, figli, zii, nipoti, perché era impossibile segare i tronchi da soli. I tronchi si sirravanu cu sirruni, una sega a due manici e si pulivano ca ccetta. Nel bosco stesso si procedeva alla esecuzione dei vari pezzi degli aratri e delle tregge (a strula). Questa operazione veniva svolta solo con l'ascia. Il legno preferito per questi attrezzi era il faggio. I pezzi che si preparavano per una straula erano: due currenti di circa tre metri ciascuno, due chiumazzedda, due catinelle, quattro stamila, una scocca. Per un aratro, almeno secondo le notizie da me raccolte, si preparavano nel bosco un u ratu e una pietticu. La sera i mastri d'ascia tornavmo al paese e il giorno seguente eseguivano il lavoro con il legno raccolto.
Nel laboratorio, u putia, sempre annessa alla casa e posta al piano terra, i pezzi preparati nel bosco si montavano: si ddamavanu, si ddàmmava a straula, si ddamava a ratu. A piettica dell'aratro veniva agganciata all'aratro con una tinnigghia di ferru e una scufina (una vite). A piettica aveva all'estremità superiore tre buchi a cui veniva agganciato il giogo degli animali. L'aratro è sempre del tipo a chiodo.
Pi puliziari, cioè per rifinire il lavoro, oltre l'ascia stessa, si usavano: a raspa, u rrascaturi, u chianozzu. Per fare i buchi si usavano: u virrugghiu, u scalpellu, u trapànu e a sgubbia per arrotondarli meglio.
Per fare una straula occorrevano in media tre giorni di lavoro: due nel bosco e uno in paese. Di solito veniva pagata in natura: in frummientu o favi, una o due salme, secondo la quantità di lavoro impiegata. Mezza giornata di lavoro bastava per l'aratro e solitamente nel bosco se ne riuscivano a preparare anche sei alla volta. L'aratro costava da venti a trenta lire. Questi prezzi risalgono all'immediato secondo dopoguerra.
A putia di un mastro d'ascia era fornita di un banco di lavoro in legno, u vancu, di una morsa, a mossa, di una incudine, a ncuina, di una mola, a mola, e poi di murtieddi ri varia misura, tinagghi, limi, trianguli, intrizzaturi, nginaturí. U triangulu serviva p'ammulari a serra (arrotare la sega). U ntrizzaturi serviva p'intrizzari i serri, cioè per fare i denti della sega più grossi della lama. Nto nviernu si facevano i cischi pu latti, i tina pi quagghiari, i vutti pu vinu. Per questi recipienti il legno preferito era il castagno. I primi pezzi che si costruivano erano i duvi, le doghe, così chiamate sia per i tini che per le botti. Nelle doghe si eseguiva una tacca, u scasciu, che si fa;ceva cu nginaturi. Nno scasciu veniva incastrato u timpagnu, il pezzo di legno rotondo che serviva da fondo nei tini e nelle botti. Le doghe erano tenute ferme da un cerchio di ferro, u ciccu, che veniva fatto dallo stesso mastro d'ascia, che, comprato il ferro, lo piegava sopra a ncuina. I1 fondo delle botti si puliva cu rrascaturi.
Affinché il mastro d'ascia, ricevuta un'ordinazione di tino o botte, sapesse già quante doghe occorrevano, c'erano delle misure fisse, per cui, ad esempio, una tina di litri centotrenta aveva queste misure: fondo cm. 48, bocca cm. 62 altezza cm. 70, duvi venti.
A tina si pagava a formaggio, in dipendenza dalla misura e dal tempo di lavorazione. Qualsiasi lavoro si eseguiva soltanto su ordinazione del parruchianu (il cliente). Non era in uso costruire attrezzi in numero superiore alla richiesta ed esporli in vendita nna putia.
Nell'immediato dopoguerra si contavano a Troina quindici mastri d'ascia; fino a dieci anni fa qualcuno ancora lavorava, oggi ne sono rimasti tre, nessuna dei quali in attività. In pratica è un mestiere quasi scomparso: con l'abbandono completo delle campagne anche questa attività, interamente dipendente dal lavoro contadino non ha avuto più modo di sussistere.
Oggi un solo mastro d'ascia lavora a Troina per il rifacimento delle doghe delle botti. I cerchi di ferro vengono riparati o fatti dai ferrari.
In questo caso il mastro d'ascia non si approvvigiona più del legno direttamente nel bosco ma compra il castagno già stagionato in un magazzino di legname a Troina stessa.
Gli strumenti del lavoro caseario sono stati sostituiti con recipienti di materie plastiche più maneggevoli e più facilmente pulibili, anche se meno resistenti. Secchi di moplen di tutte le misure hanno sostituito cischi e tina. La plastica è intervenuta per sostituire i fasceddi di canna e vimini per contenere la ricotta. D'altro canto il fatto stesso che il lavoro procedesse solo su ordinazione dimostra che difficilmente le tecniche di lavoro del mastro d'ascia si allontanavano negli ultimi tempi da una produzione iterativa.
La mancanza di possibilità di innovazioni ha reso quindi debole questa tecnica di fronte alle nuove tecnologie e rispetto alle tecniche continuamente innovative come quelle de falegname.
In termini economici si può affermare che il lavoro del mastro d'ascia era rivolto sia alla produzione di altri mezzi di produzione, quando lavorava per contadini o pastori, sia alla produzione di mezzi di sostentamento rivolti al consumo individuale e alla riproduzione delle condizioni soggettive quando lavorava per te famiglie o per le grandi comunità conventuali.
Restano però da analizzare i contratti di compravendita delle case, i contratti di matrimonio e i libri delle amministrazioni dei conventi, per individuare concretamente la dimensione economica della produzione del mastro d'ascia e i periodi in cui tale produzione è stata presente, nonché la considerazione del suo lavoro nella gerarchia dei mestieri.

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