GIUSEPPE CARLO MARINO, Profilo biografico

Giuseppe Carlo Marino è nato a Palermo nel 1939. Esponente della generazione dei “figli della guerra” (secondo una definizione autobiografica che gli è cara), cresciuto nel clima della rinascita democratica del Paese di cui ha vissuto da ragazzo le passioni e le contraddizioni nella “profonda Sicilia” del dopoguerra, ha concluso la sua prima fase di formazione intellettuale a Firenze conseguendo la laurea in Scienze politiche (indirizzo diplomatico-consolare), nel 1962, con il massimo dei voti, la lode e la menzione speciale, all’Istituto “Cesare Alfieri”, discutendo una tesi sulla “Sinistra siciliana dopo il Risorgimento” che ha inaugurato la sua esperienza di studioso di storia contemporanea all’ombra di Giovanni Spadolini.
Nell’ambiente politico-culturale della Firenze di quegli anni, ha vissuto intense e complesse esperienze, segnate dalla costante frequentazione di Giorgio La Pira e di Mario Luzi. Particolarmente fecondo, anche ai fini della sua evoluzione culturale, è stato lì, sul filo di un contestuale, assai intenso, rapporto con Giorgio La Pira, l’incontro con la “sinistra cristiana” raccoltasi intorno alla rivista “Politica” di Nicola Pistelli.
Inizialmente incline a coltivare ambizioni letterarie (di qui la sua presenza nel mondo delle “avanguardie” esistenzialiste del tempo, con un ruolo bene evidenziatosi negli ambienti fiorentini) e ben presto, poco più che ventenne, giornalista pubblicista collaboratore di vari quotidiani e riviste, ha poi definitivamente scelto, per un provvido consiglio di Giovanni Spadolini, di dedicarsi agli studi storici.
Infatti, muovendo dalle ricerche compiute per la tesi di laurea, ha messo a punto, su una ricca base documentaria, il suo primo lavoro storiografico: L’Opposizione mafiosa, un’opera apparsa nel 1964 per i tipi dell’esordiente editore palermitano S. Fausto Flaccovio con il sostegno scientifico dell’Istituto di Storia contemporanea dell’Università di Firenze diretto da Giovanni Spadolini, accolta dagli studiosi, e dalla grande Stampa nazionale (con oltre cento recensioni) come la prima ricostruzione storica del rapporto tra il fenomeno mafioso e i ceti dominanti della società siciliana nel quadro della lotta politica italiana del periodo postunitario. Libro destinato a tre edizioni con numerose ristampe, L’Opposizione mafiosa è subito entrato nel dibattito culturale nazionale, oltre che per l’autorevole avallo di Paolo Alatri e di Giovanni Spadolini, per una speciale attenzione di Palmiro Togliatti e di Girolamo Li Causi. Quel libro ha rappresentato la prima verifica di un’attività di studioso fortemente alimentata dall’idea di un éngagément civile (nel senso proprio dell’evoluzione europea della cultura dell’esistenzialismo e del particolare messaggio di Jean Paul Sartre) e, pertanto, ha anche segnato una svolta giovanile verso una concezione “militante” dell’attività intellettuale che si sarebbe evoluta e rafforzata, con un attento studio del pensiero di Antonio Gramsci, fino al definitivo approdo all’umanesimo marxista.
Ma dalle acerbe posizioni giovanili dell’éngagément ai suoi esiti più maturi, il cammino sarebbe stato ancora lungo, travagliato e contrassegnato da una ricerca comunque costantemente guidata dall’intento di conciliare il patrimonio di una persistente formazione cattolica con il sempre più consapevole accesso alla cultura marxista, su un itinerario critico e metodologico mutuato dal pensiero di Franco Rodano e dalla singolare elaborazione del cosiddetto “catto-comunismo”. Di un così travagliato cammino della ricerca di “senso” per un’attività intellettuale decisamente “militante” sono individuabili le principali tappe.
All’indomani della laurea, vincitore di una borsa di studio annuale dell’Eni, Giuseppe Carlo Marino ha studiato economia e sociologia sotto la direzione di Arrigo Boldrini, Giorgio Braga e Paolo Sylos Labini, nella “Scuola Superiore Enrico Mattei” di Milano, traendo profitto, tra l’altro, dai contatti con gli ambienti culturali che facevano capo al Movimento di Comunità di Adriano Olivetti nel clima delle relazioni tra mondo della cultura e grande industria attivate particolarmente da Ottiero Ottieri e da Paolo Volponi.
Rientrato in Sicilia e acquisita con il più alto punteggio l’abilitazione all’insegnamento di Storia e Filosofia (avrebbe anche insegnato per tre anni le due discipline nei Licei e in particolare in quello di “frontiera” di Partinico), si è subito evidenziato tra i giovani protagonisti del vivace ambiente culturale della Palermo dei primi anni Sessanta che aveva allora il suo club informale nella libreria Flaccovio e un importante laboratorio di riferimento, e una vera e propria “palestra” di testimonianza civile, nel quotidiano “L’Ora” diretto da Vittorio Nisticò. In tale ambiente, soprattutto la frequentazione di amici-maestri come Leonardo Sciascia e Danilo Dolci ha decisivamente contribuito all’evoluzione di un lavoro culturale sempre più indivisibile dalla vocazione all’impegno politico.
Con lo slancio ideale di un “cristianesimo sociale” sempre più influenzato dal marxismo, Giuseppe Carlo Marino, “giovane cattolico” (ma non democristiano), chiamato, non ancora trentenne, dal presidente della Regione Siciliana Giuseppe D’Angelo a compiti di consulenza e al lavoro redazionale per la rivista Sicilia Domani, ha intensamente partecipato con scritti, proposte e iniziative (per esempio il pamphlet Antimafia occasione perduta? del 1964) alla prima stagione della lotta al fenomeno mafioso, nel clima delle speranze generate dalla nascita della Commissione parlamentare d’inchiesta. Ma è stata anche quella l’occasione per verificare gli organici e ormai irreversibili rapporti istauratisi in Sicilia tra la politica e la “borghesia mafiosa”. Di qui, la decisione di accedere definitivamente al fronte delle forze sociali e politiche impegnate nell’opposizione al sistema di potere democristiano. Sulla linea di tale scelta definitiva, ha subito sperimentato sul campo l’impegno civile antimafioso collaborando alle lotte del movimento contadino per l’attuazione della riforma agraria, a fianco di Mario Ovazza, nel “Centro studi ed iniziative” della Lega delle cooperative presieduta da Francesco Renda. Nel contempo, assunti ufficiosi compiti di direzione editoriale per la Casa editrice palermitana “Andò s.p.a.”, è stato l’artefice, tra l’altro, della pubblicazione in lingua italiana delle principali opere di Martin Luther King.
Al termine del suo complesso itinerario giovanile, Giuseppe Carlo Marino ha infine conseguito la sua piena maturità culturale e politica. Dopo una temporanea militanza nella sinistra socialista, nel 1974, anche sotto la spinta dei processi culturali e politici avviati dal Sessantotto, e nel nuovo clima inaugurato da Enrico Berlinguer, si è iscritto al Pci, una scelta decisiva e culturalmente definitiva, interpretata e vissuta in continuità con la personale ed intensa tradizione cattolico-comunista.
La progressiva evoluzione ideologica avrebbe decisamente influenzato negli anni la scelta dei temi della sua ricerca storiografica (i processi della “rivoluzione mancata” nel Risorgimento, la lotta sociale nello Stato unitario come lotta di classe, la “spirito borghese” e le radici del fascismo, la questione meridionale nel quadro delle contraddizioni e dei limiti di sviluppo della democrazia, il sicilianismo e l’ideologia sicilianista come espressioni dell’egemonia dei ceti privilegiati in Sicilia, le forme del potere nell’Italia contemporanea dall’età giolittiana all’Italia repubblicana con un’attenzione specifica al ruolo delle classi dirigenti e degli intellettuali, la formazione dei movimenti di massa e il ruolo dei partiti e delle organizzazioni sindacali, ecc.), nonché la metodologia e, ovviamente, il giudizio storico.
Di qui, la dedizione a un progetto di “storiografia impegnata” o di “tendenza” (secondo i consolidati modelli di metodo e di analisi di una feconda tradizione grandemente segnata dall’opera di Gaetano Salvemini), un progetto nel quale, tuttavia, certi originari influssi e limiti della formazione giovanile nel fiorentino “Cesare Alfieri” al segno della lezione etico-politica spadoliniana si sarebbero dissolti e superati tramite l’assunzione dei canoni ermeneutici della gramsciana “filosofia della prassi”. Ne è conseguito un lungo sodalizio culturale soprattutto con Paolo Alatri, Gaetano Arfé, Arcangelo Leone de Castris, Enzo Santarelli, Paolo Spriano, Rosario Villari e, infine, con Nicola Tranfaglia: l’itinerario di una produzione saggistica che ha voluto soprattutto testimoniare, negli anni, sul banco di prova del lavoro storiografico, la fertilità del pensiero di Antonio Gramsci e dello stesso “gramscismo”: una testimonianza che forse è stata, in Italia, tra le più coerenti e tenaci, anche in un lungo lavoro al servizio dell’”uso pubblico” della storia, concretizzatosi, tra l’altro, in un mai abbandonato confronto con i problemi della didattica della storia e con le urgenze dell’educazione antimafia nelle scuole di secondo grado, nonché nella collaborazione ai quotidiani L’Ora, L’Unità e Liberazione e alle riviste Rinascita e Lavoro critico. Il tutto, nel perseguimento di una costante attività di divulgazione scientifica, culminata nella consulenza prestata a vari programmi della RAI per la realizzazione di film-documentari su argomenti storici.
Su tale itinerario si sono collocati nel tempo, dal fortunato libro su La formazione dello spirito borghese in Italia (1974), sia gli studi sugli intellettuali e sul potere in Italia, sia quelli sui ceti dirigenti e sulla lotta politica in Sicilia, fino ai recenti studi sulla “crisi della storia” (Eclissi del principe e crisi della storia. Apogeo e tramonto della democrazia rivoluzionaria nel XX secolo) nel quadro dei processi della globalizzazione di fine Novecento e all’ampio saggio sul Sessantotto e le generazioni politiche del dopoguerra (Biografia del Sessantotto).
Le ricerche sulla storia del potere in Italia (già culminate, nel saggio edito nel 2002 da Le Monnier, dopo il libro su Mario Scelba e sulla “repubblica della forza” edito da Angeli nel 1995) hanno insistito nell’analisi dei processi originativi del fascismo e del trasformismo italiano; mentre quelli sulla storia siciliana sono andati alla ricerca delle specifiche forme della storia del potere in Sicilia (Storia della mafia, Roma, Newton Compton, I ed. 1998, più altre quattro edizioni e diverse traduzioni in lingue straniere; I Padrini, Roma, Newton Compton I ed. 2001, più altre cinque edizioni e traduzioni in lingue straniere), approfondendo le intuizioni de L’Opposizione mafiosa, su una linea interpretativa largamente esposta agli attacchi delle più diverse correnti storiografiche neosicilianistiche.
Non poco del travaglio che ha contrassegnato la carriera accademica di Giuseppe Carlo Marino, nel difficile passaggio, in un trentennio, dall’assistentato ordinario per la Storia del Risorgimento (1970), al lungo insegnamento come professore incaricato (anche di Storia moderna) e poi come associato, fino alla conquista della cattedra di professore ordinario di Storia contemporanea (2001), è da addebitarsi alla sottile ostilità dell’agguerrito fronte degli storici neosicilianisti agli esiti di una ricerca che ha verificato tra l’altro, su basi documentarie incontestabili, gli organici rapporti tra la prassi dei ceti dominanti siciliani (e in specie della classe politica) e il fenomeno mafioso in un complessivo contesto sociale nel quale i processi di modernizzazione attivati dal basso dai ceti popolari e dalle loro élite progressiste sono stati di volta in volta sconfitti, reiterando i tratti fondamentali di un’egemonia delle forze del dominio (dagli antichi baroni alla “borghesia mafiosa”) tanto astuta nelle sue pratiche quanto parassitaria e di norma cinica e violenta, nonché socialmente molto radicata.
L’orizzonte strategico sia degli studi confluiti nell’abbondante produzione saggistica sulla Sicilia, sia del parallelo impegno nell’attività politica, è definito dal titolo di un libro di scritti minori, un titolo che è anche un proclama accolto da una larga parte della società civile: Antimafia come rivoluzione culturale (Palermo, Rinascita Siciliana, 1993).
Una siffatta “battaglia” culturale e civile per la Sicilia e per la “rivoluzione culturale” da attuare in Sicilia (del tutto coerente con il reiterato progetto di un lavoro storiografico deliberatamente non neutro e neutrale, ma civilmente impegnato e, se si vuole, “schierato”) è stata troppe volte fraintesa nel suo spirito e nelle sue finalità fino ad essere stigmatizzata, dai neosicilianisti, come “antisiciliana”. Il che, nonostante tutto, ha indotto nello storico una sorta di provocatoria fierezza per la sua tenace indipendenza di giudizio in partibus infidelium e per la sua radicale estraneità alle posizioni e alle manovre dei potentati accademici locali e nazionali.
In conclusione, può dirsi che Giuseppe Carlo Marino ha pagato per intero un rilevante prezzo personale (evidenziato dagli stessi difficili e talvolta quasi insormontabili ostacoli che ha dovuto superare per avanzare nella carriera accademica), oltre che al suo costante impegno per la “democrazia universitaria” testimoniato dalla militanza nel Sindacato (è stato tra i fondatori della Cgil-Scuola e protagonista di note battaglie contro le “lottizzazioni” accademico-politiche e per la riforma del sistema dei concorsi che hanno avuto un vasto seguito nazionale), proprio alla sua tenace testimonianza di fedeltà gramsciana negli studi, un prezzo, questo, immaginabile anche come una sorta di pesante “costo di posizione” su una difficile frontiera siciliana, comunque ben compensato dalla crescente considerazione conseguita nella comunità scientifica nazionale e dal successo editoriale dei suoi libri più importanti, tra i quali alcuni bestseller e longseller (i già citati saggi La repubblica della forza, Storia della mafia, I Padrini e la Biografia del Sessantotto).
A coronamento di una lunga esperienza di lavoro culturale ad ampio raggio, Giuseppe Carlo Marino ha recentemente concluso un imponente studio su Le generazioni italiane dall’unità alla repubblica, in uscita a novembre presso Bompiani, che si propone come modello di una storiografia fortemente innovativa per metodo e per scrittura. Si tratta di un’opera nella quale si compone una complessa “mappa” della mentalità collettiva degli italiani attraverso le trasformazioni politiche e culturali del Paese, soprattutto con l’intento di analizzare, in oltre un secolo di storia, il rapporto tra l’“uomo medio” e il potere: una storia che per la prima volta assume come prioritario per l’analisi il riferimento ai processi generazionali e che contiene, e verifica sul “campo”, un’organica teoria della “generazione politica”.
Palermo, giugno 2006




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