LUIGI FICARRA, Senza memoria non c’è futuro

- Intervento al Comune di Palermo l’8 luglio 2006 sui fatti del 5 luglio 1960 a Licata
- L'intervento e la risposta di Emanuele Macaluso pubblicati su "Liberazione" rispettivamente del 4 e 6 luglio 2010

Avevo 21 anni. Mi trovavo a Canicattì ed ero molto attivo ed impegnato nella sinistra del PSI e precisamente nell’ala facente capo a Lelio Basso.
Leggo sui giornali l’annuncio della manifestazione di Licata del 5 luglio 1960.
Il clima è teso: si sentiva l’avvicinarsi del temporale, della rottura politica.

A Palermo il governo Majorana ed a Roma il governo Tambroni si reggono il primo con l’apporto organico il secondo col voto aperto e richiesto del MSI.
Vado di prima mattina il 5 luglio, con la “littorina”, da Canicattì a Licata.
Uscito dalla stazione mi fermano dei giovani, che pensando fossi un deputato, senza neppure chiedermi di che partito, mi intimano di andare via. “Non vogliamo – dicono –alcun rappresentante della forze politiche- Siamo contro tutti i partiti”.
Avevo sotto il braccio “ABC”, un settimanale allora di lotta, del gruppo del “Giorno” di Milano, finanziato dall’ENI.
Dico che sono un giornalista di “ABC”.
Mi lasciano passare. Vado in centro, e seguo il corteo. Poi, seguendo gruppi di manifestanti, ritorno verso la ferrovia e trovo che l’hanno occupata, bloccando i binari ed i treni.
Una folla immensa e pacifica di disperati. Maggioranza giovani.
Non ricordo che la Polizia, presente in forze notevoli, avesse suonato la tromba, per annunciare l’attacco. A chi poi: ad una folla disarmata? – Comunque sono certo che non lo fece.
Spararono ad altezza d’uomo. Vidi cadere nel sangue, a meno di un metro da me, un giovane lavoratore, che poi seppi essere Vincenzo Napoli. Lottava per il pane ed ebbe il piombo. E’ un eroe del lavoro che non c’era, l’eroe di una lotta “mancata”; e dirò perché.
Nel febbraio 1960 cade nell’ignominia della corruzione - (caso Santalco, in cui fu implicato un alto dirigente del PCI dell’epoca, oggi riformista dichiarato) - il governo Milazzo, che rappresentò una delle fasi a mio avviso più arretrate, regressive, della storia del M.O. siciliano.
Il suo vice ed assessore alle finanze, il barone Majorana della Nicchiara, rappresentante della classe più reazionaria dell’isola, gli agrari, ed altri due assessori dello stesso governo Milazzo (Romano Battaglia e Pivetti, entrambi ex monarchici come Majorana), ne avevano provocato la crisi, unendo i loro voti al resto della destra: MSI e DC dell’epoca: quella DC, si badi, che nel settembre 1961, con D’Angelo, realizzerà il primo governo di centro sinistra dell’isola.
Nel marzo 1960 si forma il governo Tambroni con l’appoggio richiesto e quindi aperto del MSI.
C’era stata nel paese – in una fase economico sociale di transizione dello sviluppo capitalistico – una forte virata a destra, a livello politico istituzionale.
Quale fosse in quel tempo la tragica situazione economica e sociale della Sicilia occidentale è noto. I capitali si erano spostati dall’agricoltura all’industria dell’edilizia, in particolare nel settore degli appalti dei lavori pubblici, dove, usufruendo di notevoli agevolazioni-regalie regionali, venivano realizzati alti profitti. Pesante era, come è tuttora, la presenza della mafia anche in questo specifico settore e, quindi, elevatissimo lo sfruttamento della forza lavoro. Per cogliere la drammaticità della situazione sociale basti considerare un solo dato: nella prima metà del ’60, in soli cinque mesi, 1500 lavoratori erano stati costretti ad emigrare in cerca di lavoro solo da Licata: una media di 300 lavoratori al mese.
Nell’aprile del ’60, tre mesi prima del tragico 5 luglio di Licata, si era svolto a Palma, organizzato da Danilo Dolci, il convegno sulle “condizioni di vita e di salute nelle zone arretrate della Sicilia occidentale”.
Vi parteciparono l’odierno Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Silos Labini, che di recente abbiamo perduto e che ricordo con commozione come mio maestro, Li Cansi, Sciascia, Carlo Levi, Ignazio Bulletta, Simone Gatto.
Vi intervenne anche Milazzo, che vi sostenne la tesi reazionaria, qualunquista e piagnona che l’unico colpevole del degrado di Palma e Licata era da individuare nello Stato, assolvendo da ogni responsabilità, in tale prospettazione, le classi dirigenti dell’isola: agrari ed imprenditori dell’edilizia, padroni delle miniere, etc, tutti strettamente legati politicamente alla borghesia nazionale ed ai partiti che la rappresentavano, e con profondi, radicati rapporti di scambio con la mafia.
Subito dopo detto convegno, nel maggio 1960, una mozione votata dall’assemblea regionale siciliana a stragrande maggioranza, e quindi da DC, MSI, monarchici ed ampi settori della sinistra, impegnò il governo “a predisporre un piano di risanamento di Licata e Palma e ad adottare immediate iniziative per la costruzione della diga sul fiume Palma e sul fiume Salso, che, con la creazione di vaste zone irrigue, (potesse) determi(nare) l’elevazione del reddito; etc…”
Nulla di tutto ciò, dopo 46 anni, è stato realizzato, e la colpa è della Regione Siciliana, delle classi dirigenti dell’isola, della borghesia mafiosa che tuttora la domina.
Nei primi anni ’70 la Regione deliberò la realizzazione di un piano urbanistico intercomunale Palma -Licata, su progetto dell’arch. Calandra, con uno stanziamento di 10 miliardi di lire.
Si svolse in merito anche un’assemblea con i Sindaci delle due città ed i rappresentanti di tutte le categorie sociali e dei sindacati.
Nulla di detto piano, che prevedeva la costruzione di ospedali, la creazione della zona industriale e l’assetto delle infrastrutture di base in tutto il territorio, è stato realizzato dalla Regione.
La colpa non è evidentemente dello Stato, in quanto tale, ma della Regione, anzi delle classi dirigenti che l’hanno governata e governano ancora oggi.
Il manifesto degli studenti di Licata, che, assieme ad un indistinto comitato promotore, chiamava alla rivolta l’intera popolazione il 5 luglio, dopo aver denunciato il degrado economico e sociale della città, con il 50% di analfabeti, con migliaia di tubercolotici e di tracomatosi, con migliaia di tuguri ed il drammatico problema dell’acqua, (tuttora in gran parte irrisolto), diceva: “Questa è la realtà dopo 15 anni di progresso (1945 – 1960). Vergognatevi tutti, voi così detti onorevoli, vergognatevi, voi uomini del governo (attuale) e dei governi passati (tutti), che avete strombazzato miliardi e avete dato pidocchi”.
Era certo espressione della disperazione, ma non possiamo non dire che era una posizione ingenua, immatura, che rimaneva nell’indistinto; figlia della cultura del tutti uniti (ambrassons nous) contro un potere vago ed indefinito, una posizione qualunquista che non mordeva la realtà, era anzi impotente ad affrontarla ed aggredirla con le armi della critica e della lotta di classe, e, quindi, ne rimaneva succube.
Due esempi di questa linea politica arretrata sono al riguardo illuminanti:
● dopo le elezioni del 25 maggio ’58 in cui ci fu il trionfo di Fanfani e si formò un Ministero da lui presieduto senza nessun ministro siciliano, l’Ora, quotidiano della sinistra, proponeva nel giugno ’60 di costituire “un gruppo unitario dei deputati e dei senatori siciliani”, al fine di avere una rappresentanza nel ministero, senza quindi distinzione alcuna fra destra e sinistra: tutti indistintamente uniti contro un potere centrale, in quanto tale negativo ed insensibile; non individuato quindi come espressione di ben determinate forze economico - sociali e di classe.
● Dopo le elezioni regionali del 7 giugno 1959, [negative per l’esperienza Milazziana, avendo la DC confermato integra la sua forza (circa il 39%) ed essendo rimasti PCI e PSI, con USCS, fermi al 10,58%], D’Antoni, indipendente di sinistra, formulò la teoria, che nel tempo ha avuto sempre tanti seguaci, del “fronte unico della difesa dell’autonomia siciliana”. Quello che ha proposto di recente Totò Cuffaro, indagato per favoreggiamento della delinquenza mafiosa.
Con impostazioni del tipo ora denunciato si occultano le responsabilità delle forze politiche e delle classi dirigenti che hanno per 60 anni guidato la Regione.
_____

Nel ricordare la rivolta popolare del 5 luglio ’60 a Licata e l’assassinio del giovane Vincenzo Napoli, vittima del non lavoro e di una politica reazionaria e di classe, abbiamo il dovere di indicare vie alternative alla mera passiva e subalterna rivolta.
Lo slogan dell’indistinto “tutti insieme”, destra e sinistra, contro un potere anonimo e lontano, non può e non deve oggi essere il nostro.
E’ una posizione che genera vittimismo, passivizzazione delle masse, qualunquismo - (tratto essenziale del Milazzismo) -, produce immobilismo sociale, non lotta di classe per la trasformazione; e, quindi, rende vittoriose, non scalfendole e tanto meno scalzandole, le classi sociali che sono al comando politico - sociale e vi restano saldamente in sella, con tutte le loro forti ed estese connivenze mafiose. Espressione piena di tale linea, sicilianista e reazionaria, è oggi il movimento di Lombardo, alleato a Palermo di Cuffaro ed a Roma di Bossi e Berlusconi.
La scelta, la strada da proporre alle nuove generazioni non è la rivolta disperata, come quelle di “Alcara Li Fusi” ed in parte di “Bronte” del 1860 e-o come quella pur pacifica, ma indistinta, di Licata del 5 luglio 1960, ma quella realizzata, anche se allora sconfitta, dal movimento di lotta dei Fasci dei Lavoratori Siciliani del 1893 – 94; delle lotte per l’occupazione delle terre del primo dopoguerra ed in particolare quelle del ‘44 –‘50, movimento sconfitto purtroppo dalla falsa riforma agraria del ’50, il cui progetto di legge, è bene ricordarlo, fu elaborato dall’agrario on. Milazzo.
Il movimento dei lavoratori deve assumere su di sé la responsabilità del programma e degli obiettivi e scegliere le forze sociali più vicine cui allearsi, senza deleghe e tanto meno attese passive, stabilendo fra fronte sociale e fronte politico di riferimento distinzione ed autonomia. E’ quantoin parte emerso nel convegno della CGIL palermitana sulla mafia del marzo 2005, in cui è prevalsa la linea dell’alternativa.
Trattasi di una lotta di lunga durata contro il potere politico della borghesia siciliana, strettamente alleata ed oggi anzi interconnessa con quella nazionale, una lotta che deve avere al suo centro la battaglia senza quartiere contro ogni connivenza mafiosa, e, quindi, diretta anche a superare ogni retaggio della cultura della mafia.

Luigi Ficarra



_________________________________________________




Emanuele Macaluso
Licata 1960, alcune precisazioni

Caro Direttore,
domenica scorsa Liberazione ha pubblicato un "articolo" riciclato, come dice l'autore, un certo Luigi Ficarra, dato che si tratta di un discorso fatto nel Consiglio Comunale di Palermo nel 2006.
Non sarebbe difficile contestare ogni riga di un pezzo che rimastica altri pezzi scritti da antichi esponenti della democrazia cristiana. Sul governo Milazzo sono state scritte tante cose, alcune molto critiche ma seriamente motivate, altre raccolte nella spazzatura. Non è questa certo la sede per riprendere le mie opinioni su quel periodo che si ritrovano nei miei libri sull'argomento e in tanti articoli. Voglio solo precisare fatti storicamente accertati. Il primo governo, formato dal gruppo che, con Milazzo, aveva rotto la Dc (settembre 1958), includeva un deputato socialista, un indipendente eletto nelle liste del Pci, parlamentari del Msi e dei monarchici; nacque per preparare le elezioni che si dovevano svolgere nella primavera del 1959. L'Assemblea regionale siciliana può essere sciolta solo da un voto, con doppia lettura, del Parlamento nazionale. E nel 1958 non c'era né il tempo né la volontà della Dc di farlo. Infatti, l'alternativa a Milazzo era un governo di minoranza della Dc, sconfitta ripetutamente. E con un presidente della Regione, La Loggia, che pur in minoranza non voleva dimettersi. Lo fece dopo due mesi di ostruzionismo. Una battaglia politica conclusa con la elezione di Milazzo che fu salutata da 40 mila cittadini radunati a Piazza Politeama. In preparazione delle elezioni del 1959, la Dc firmò il "patto anticomunista" con Msi, liberali e monarchici e le elezioni si svolsero tra due schieramenti opposti: Pci-Psi-Cristiano sociali da una parte e Dc-Msi-monarchici e liberali dall'altra. Lo schieramento della sinistra e quello della destra (che ottenne pochi voti in più) si fronteggiarono all'Assemblea siciliana e Milazzo fu rieletto Presidente. Tutto qui, sino alla crisi del gennaio 1960.
Due altre precisazioni a proposito della mafia. Il governo Milazzo destituì, con decreto, da presidente dei due più grandi consorzi di bonifica (il Belice e Tumarrano) i capi mafia Genco Russo e Vanni Sacco e, con loro, il presidente dell'Ente di riforma agraria amico di Cosa Nostra. Tutti nominati dai governi Dc verso cui noto un rimpianto da parte del "giurista" Ficarra. Il quale ricorda anche il caso Santalco, un deputato regionale Dc che tese una trappola al deputato comunista Enzo Marraro e al cristiano sociale Ludovico Corrao, inscenando uno scambio di favori per transitare dai Dc a Milazzo. Una provocazione organizzata nei giorni in cui io che, con Li Causi, dirigevo il Pci, non ero a Palermo. La trappola,come raccontò il capo del Sifar, il famoso generale Giovanni De Lorenzo, fu organizzata dai servizi su ordine del Presidente del Consiglio di allora Antonio Segni, e finanziata dai mafiosi cugini Salvo.
Potrei continuare e contestare le sciocchezze dette sulla riforma agraria del 1950 (contro cui votarono Pci e Psi), che comunque aprì la nuova stagione di lotte contadine, come racconta Pio La Torre nel suo libro su quel periodo. Mi fermo qui. Scrivo solo perché ho rispetto per i redattori e i lettori di Liberazione, i quali non meritano di essere disinformati su un momento complesso della lotta che la sinistra unita condusse negli anni 50-60 in Sicilia.

Emanuele Macaluso
06/07/2010

Nessun commento:

Posta un commento