In merito alla presentazione che Mons. Restivo ha scritto al libro di Augello, mi limito ad esaminare alcune affermazioni alle quali ritengo sia giusto dare una risposta.
1. Egli avanza per ben due volte l’insinuazione che non tutte le carte conservate nell’archivio del Ficarra e dai suoi familiari rinvenute siano state consegnate a Sciascia, e soprattutto che non tutte siano state da questi pubblicate; e lo fa al fine di poter affermare che in tal modo – data cioè la parzialità della pubblicazione da lui adombrata - non è possibile “riscontrare la correttezza della (sua) interpretazione conclusiva”; che egli, Restivo, dice di non condividere.
Posso in merito dire, per mettere un punto al riguardo, che tutte le “carte” relative al caso Ficarra, sono state consegnate a Sciascia, e sono state da lui tutte fedelmente ed integralmente riportate.
2. Aderendo poi in pieno alla tesi dell’inquisitore Piazza e dell’altro accusatore Ruffini, Restivo sostiene che “il Ficarra … per gli anni e per taluni disturbi fisici non bene avvertiti e tempestivamente curati, dava segni di stanchezza e di disattenzione alle insorgenze socio-politiche …... - non sembrava tenersi alla pari con tanti confratelli dell'episcopato siciliano mobilitato in difesa dei valori cristiani e della democrazia”.
Nulla di più falso! – Sul punto relativo alla sua salute ed in particolare all’uso sano e corretto degli organi dell’udito e della vista posso dire, senza tema di smentita, che egli vedeva e sentiva benissimo. Lo possono confermare tutti coloro che, anche a Canicattì, lo venivano a trovare sia in campagna, a Rinazzi, dove trascorreva tutti gli anni un mese circa assieme a noi, sia nella modestissima casa di via Magenta, dove viveva assieme al fratello Calogero. Leggeva due giornali al giorno ed anche dei libri, conversava con noi e nel pomeriggio con quelli che venivano a fargli visita. Non ricordo mai qualcuno che ebbe a fare osservazioni sulla sua vista o sul suo udito, e fra questi anche Mons. Restivo. Aggiungo anche che ogni anno si faceva togliere da suo fratello Alfonso il cerume dagli orecchi, così come fanno tanti altri, che non per questo vengono classificati di udito debole.
Le osservazioni che in merito a tale menzogna fa Sciascia sono molto puntuali e colpiscono, anche con fine ironia, svuotandola, la tesi sostenuta dal potere clericale. Ma il Restivo, ritenendola un’accusa ancor più grave, dice di più : che il Ficarra era “disattento” alle esigenze del potere politico, a differenza dei suoi confratelli del tempo, tutti schierati “in difesa … della democrazia” … cristiana! E non si rende conto, così scrivendo, di dar pienamente ragione alla tesi sostenuta da Sciascia. Ma soprattutto, a parte le parole che spende sul <>, che sembra stiano a significare qualcos’altro, ignora volutamente, come dirò meglio più avanti, la storia, la cultura e la personalità dell’uomo Ficarra, così come emerge in particolare dalla sua critica radicale a tutte le forme del materialismo religioso, dal suo antifascismo, dalla condivisione del pensiero modernista e poi, coerentemente, dall’adesione al movimento per la pace degli anni ’50.
3. Sostiene ancora Restivo che “iI card. Piazza … ascolta le due campane …, legge, riflette, si consulta e prega. ….”. – Indi, aggiunge : “è' brutto quel che scrivo ma è vero ….. la salus rei pubblicae prevale …”. “Roma non può, non deve tacere ….”. E, richiamando Caifa, Restivo, senza forse riflettere in merito all’affermazione che fa, dice ancora : “è meglio che muoia quest'uomo per il popolo, piuttosto che perisca tutta la nazione ……”; che riferito al caso di specie significa : <>, – (ché, come noto, c’è anche quella clericale, per non parlare della mafia bianca dell’Opus Dei). Illuminante della sua posizione è infine la conclusione che ne trae : “iI card. Piazza non mi parrebbe lo Javert dei Miserabili …..”….. “Il modo talora può offendere …… ma c'era scottante una situazione gravissima da risolvere”, e “Pullano – dice - ha ben operato”, … “ha sanato la situazione”.
Può pensare ad un cardinale Piazza sofferente, che si strugge nel dubbio e si consola nella preghiera solo chi prescinde, come Restivo, dalla sua fredda, ostinata, preconcetta determinazione di burocrate e di uomo dedito solo al potere, - (e, va ricordato, di salda e ferma cultura fascista e razzista ed addirittura con simpatie naziste) -, che ricorre al falso, come Ruffini, e si rifiuta di aprire anche un solo spiraglio alla ricerca della verità sul caso Ficarra. Non a caso, dice giustamente Sciascia, <>. Il colmo poi lo ha raggiunto, come ben evidenzia ancora Sciascia, nella lettera in cui ipocritamente dice al Ficarra di “venire incontro ai suoi desideri … (e cioè) la rinuncia al governo della diocesi di Patti”.
Se come sostiene Corsello in un suo noto libello - la cui tesi di fondo Restivo sposa in pieno -, nella diocesi di Patti la condotta morale del clero lasciava a desiderare dal punto di vista “cattolico” ed era addirittura – egli dice - una “condotta inveterata”, cioè di antica tradizione ed origine, occorre chiedersi perché Restivo, il quale da uomo della gerarchia dice che “la salus rei pubblicae prevale …. Roma non può, non deve tacere ….”, non si domanda come mai alcuna inchiesta venne condotta in precedenza su tale fenomeno, ritenuto addirittura, come scrive Corsello, notorio nell’ambiente ecclesiastico, e, quindi, non rifletta, come, invece fa Sciascia, sul basso ed ipocrita uso strumentale che se ne fece, per evidenti motivi politico-culturali che nulla avevano a che fare con la condotta morale del clero.
In Restivo, come in Corsello, manca soprattutto la riflessione su cosa sia la Chiesa come istituzione politico-religiosa dopo Costantino e specie dopo Teodosio; per cui, ad esempio, è vuota l’affermazione fatta dal secondo nel suo libello, in polemica con Sciascia, che “le preoccupazioni della gerarchia vaticana (cioè del potere politico della Chiesa) erano e sono prevalentemente di carattere pastorale, religioso”. Corsello lo scrive nel punto in cui, precisato nel suo articolo che “Ficarra .. integerrimo, .. dovette subire le conseguenze di colpe non sue”, accenna allo “scandalo della Pontificia Opera Assistenza diocesana provocato – egli dice – da un prete di sua fiducia. “. Ed aggiunge: “il vescovo ne soffrì moltissimo”. – Ebbene, se Corsello e le pie anime che, come Restivo ed altri lo seguono, avesse fatto la riflessione di fondo cui ho accennato, fermandosi pure a pensare alla tesi svolta da Hegel sulla trasformazione della Chiesa in istituzione, avrebbe capito che non poteva essere quello cui egli accenna, (e che - ripeto – Restivo condivide), il motivo reale dell’attacco subito da Angelo Ficarra. Per la semplice considerazione che, come noto, in Sicilia ed altrove, c’erano e vi sono diocesi e dicasteri ecclesiastici dove la condotta morale del clero era ed è ancora, sempre dal punto di vista cattolico, più scadente di quella di Patti di quel tempo: e va da sé che, parlando di “condotta morale” non intendo minimamente riferirmi ai rapporti di amore fra un sacerdote ed un altro soggetto, uomo o donna che sia, come è nella natura gioiosa della vita, ma a ben altro, di veramente grave: al rapporto, ad esempio, fra chiesa e mafia, fra chiesa e finanza corrotta: se, come dice Corsello, “le preoccupazioni della gerarchia vaticana erano e sono prevalentemente di carattere pastorale, religioso”, ed il fine perseguito è – dice ancora egli – “il bene delle anime”, avrebbe dovuto cadere, per fare un solo significativo esempio, una vera e propria mannaia addosso al cardinale Ruffini, il quale, per occultarla e servendosene, arrivò fino a dire che la mafia non esiste. Marcinkus avrebbe dovuto essere cacciato subito via a pedate, come i mercanti dal Tempio, e con lui quegli ecclesiastici, di altissimo grado e rango, che l’avevano aiutato, protetto ed anche guidato nelle operazioni dello IOR e nei rapporti con Calvi, Sindona e con tutta la finanza collegata alle organizzazioni politico-mafiose; ed essere cacciati via per colpe loro. Per non dire, ovviamente, delle gravissime colpe morali dei vescovi, cardinali e pontefici che esaltarono il potere dittatoriale di Mussolini, osannato come “l’uomo della Provvidenza” (vedi Peruzzo), che sostennero le leggi razziali del ’38, la Repubblica di Salò e l’alleanza col nazismo (vedi Piazza), dei prelati, ancora, che esaltarono Franco, Pinochet e gli ultimi dittatori di Cuba, Santo Domingo, Venezuela, Brasile e Argentina...
- Come accennavo sopra, c’è un vuoto di fondo che spiega a mio avviso l’errata tesi di Restivo: il silenzio totale sulle posizioni culturali di Angelo Ficarra. In un mio scritto “Passi scelti da “Le devozioni materiali di Angelo Ficarra”, dicevo che il “discorso” da egli svolto nel suo libro sul materialismo religioso, per il quale, come noto, gli fu rifiutato l’imprimatur, è il seguente: il cristianesimo è essenzialmente spiritualità, è una scelta morale che involge alla radice ogni aspetto della vita del soggetto. Donde la sua critica dura, radicale, ed a tratti anche violenta, di tutte le forme di paganesimo e di feticismo presenti nella pratica religiosa cattolica. Una posizione, questa, che, ripeto, lo accomuna allo “spirito” ed alle idee del modernismo. E non è invero casuale che egli si sia rivolto ad Ernesto Buonaiuti, esponente di primo piano del modernismo italiano e per questo motivo scomunicato dalla Chiesa cattolica, per avere dei pareri e dei consigli in merito alla sua opera su S. Girolamo, come testimoniato dalla lunga corrispondenza fra i due intercorsa.
La sua critica radicale di ogni forma di irrazionalismo, nonché del “materialismo”, largamente presenti nel culto cattolico, ne fanno, per certi aspetti, un anticipatore di posizioni che si manifesteranno, anche all’interno della chiesa Cattolica, dopo gli inizi degli anni ’60. Questo suo aspirare ad una religione che non sia in contrasto con le istanze della ragione, spiega perché egli persegua l’obiettivo, espressamente dichiarato nel suo succitato libro, di realizzare “un equilibrio tra la cultura laica e la cultura religiosa”. E spiega anche come egli abbia trovato del tutto naturale compiere degli studi e delle ricerche assieme ad un filosofo, suo amico, ateo e socialista, A. Sacheli, fino a quando non ne ricevette espresso divieto dalla gerarchia ecclesiastica. Così come, è espressione della sua cultura “laica”, libera e progressista l’adesione data nell’estate del 1950 all’appello per la Pace di Stoccolma, promosso, come noto, dal movimento dei “Partigiani della Pace” col sostegno aperto del movimento comunista internazionale. - Siamo in pieno clima anticomunista, di caccia alle streghe. Ruffini, non soddisfatto della sola scomunica religiosa, chiese per il comunismo, l’indomani del 18 aprile 1948, in una lettera a Scelba, la sua messa fuori legge. Il vescovo Peruzzo invitò clero e fedeli a rompere ogni rapporto coi comunisti. Il Santo Uffizio aveva proibito, sotto pena di scomunica, anche di “dare (semplice) appoggio ai partiti comunisti”, di “appoggiare associazioni organizzate direttamente dal comunismo, anche se camuffate sotto altri nomi” - (come I Partigiani della Pace).
In Sicilia le adesioni all’appello per la pace furono tantissime, ottocentoquattordicimila, e, quindi, con grande partecipazione di popolo. Presidente del movimento dei Partigiani della Pace era Federico Joliot Curie, premio Nobel per la Fisica, noto partigiano e comunista, ex Presidente del Fronte nazionale della resistenza in Francia.. Renda, nella sua “Storia della Sicilia” (vol. III, pag. 303), nel ricordare l’adesione del vescovo di Patti, mons. Ficarra, sottolinea che il fatto “fece sensazione, stante la scomunica della chiesa contro i partiti marxisti”. Evidentemente il Ficarra era d’accordo con quanto scriveva Carlo Arturo Jemolo su “Il Ponte” , 1949, nell’articolo “Muoia Sansone con tutti i filistei” : “si è formato un fronte opaco, nel quale sono uomini che abbiamo sempre disprezzato, ed uomini che abbiamo amato …, il fronte che si chiama dell’anticomunismo”. Dal quale egli, Jemolo, da cristiano laico, progressista ed antifascista, prendeva apertamente le distanze.
L’inquisitore dal trascorso fascista, repubblichino e filonazista, cardinale Adeodato Piazza, ben conosceva tutto ciò, essendo peraltro fatti noti a tutti, ed è contro le posizioni culturali di mons. Ficarra che, coperta da un velo ipocrita, è in realtà diretta la sua accusa, e ciò quando la misura per lui ed il potere vaticano, che rappresentava, era veramente colma: “dappertutto si lavora per Dio, a Patti, sede vescovile, … ha vinto il comunismo, … si è lavorato per Satana”. Questa, cioè le posizioni culturali del Ficarra, era la vera “situazione gravissima da risolvere”, non quella cui, oscurando la verità, accenna con foga il Restivo nella sua prefazione al libro di Augello. Ed occorre dire che “il modo (che) può offendere” è solo ed unicamente questo oscurare da parte sua, complice in ciò egli del Piazza, il vero movente della bassa operazione di restaurazione compiuta dal Vaticano.
Angelo Ficarra era un uomo che sapeva scegliere liberamente, facendosi sempre guidare dalla ragione, secondo l’insegnamento di Socrate, di Pascal e di Montaigne, ed aveva alto il senso della dignità umana, come comprovano, da soli, i suoi coraggiosi e decisi articoli del ’23 e del ’25 contro il governo fascista. Per questo motivo, quando mons. Peruzzo, - “vero” vescovo e vero “amico”, come dice sarcasticamente Sciascia - gli consiglia di rinunciare a battersi per il trionfo della giustizia e di chinare il capo al cardinale Piazza, da cui culturalmente era distante anni luce, e di patteggiare per “ottenere … qualcosa in più, ... un posto a Roma,… almeno … 45.000 mensili”, in sostanza di monetizzare la sua dignità di uomo, non ha alcun dubbio che suo dovere è continuare la lotta per il diritto. Ed è così che ha vinto la sua vera battaglia ideale, di uomo libero.
Colpisce infine l’esaltazione che Restivo fa del successore : “Pullano – dice - ha ben operato”, … “ha sanato la situazione”. Da quanto dettomi era un <> nel senso che a questa parola dava Salvemini ed anche Sciascia. Altro non so; non l’ho personalmente conosciuto e non posso dire nulla né contro né a favore. Ho letto però il libro di Sirna su di lui e rilevo che a pag. 109 vi si dice che la sua “consacrazione” a vescovo fu proposta dal Piazza, il quale avrebbe avuto <>. E doveva essergli così riconoscente, di tale ospitalità, da presiedere personalmente, come avvenne, alla sua ordinazione. Sarebbe interessante sapere se questo nipote sia stato in ipotesi delle stesse idee nazifasciste professate e praticate dallo zio, il cardinale Piazza, e per quale “oscuro” motivo sia andato a cercare “rifugio” in Calabria provenendo dal lontano Veneto. Più avanti, nello stesso libro, il Sirna riferisce di <> fra il cardinale Piazza ed il vescovo Pullano e non sarebbe sbagliato pensare ad un comune sentire politico, avendo egli rilevato più avanti l’assenza di interessi culturali nel secondo.
Padova 19 febbraio 2008
1. Egli avanza per ben due volte l’insinuazione che non tutte le carte conservate nell’archivio del Ficarra e dai suoi familiari rinvenute siano state consegnate a Sciascia, e soprattutto che non tutte siano state da questi pubblicate; e lo fa al fine di poter affermare che in tal modo – data cioè la parzialità della pubblicazione da lui adombrata - non è possibile “riscontrare la correttezza della (sua) interpretazione conclusiva”; che egli, Restivo, dice di non condividere.
Posso in merito dire, per mettere un punto al riguardo, che tutte le “carte” relative al caso Ficarra, sono state consegnate a Sciascia, e sono state da lui tutte fedelmente ed integralmente riportate.
2. Aderendo poi in pieno alla tesi dell’inquisitore Piazza e dell’altro accusatore Ruffini, Restivo sostiene che “il Ficarra … per gli anni e per taluni disturbi fisici non bene avvertiti e tempestivamente curati, dava segni di stanchezza e di disattenzione alle insorgenze socio-politiche …... - non sembrava tenersi alla pari con tanti confratelli dell'episcopato siciliano mobilitato in difesa dei valori cristiani e della democrazia”.
Nulla di più falso! – Sul punto relativo alla sua salute ed in particolare all’uso sano e corretto degli organi dell’udito e della vista posso dire, senza tema di smentita, che egli vedeva e sentiva benissimo. Lo possono confermare tutti coloro che, anche a Canicattì, lo venivano a trovare sia in campagna, a Rinazzi, dove trascorreva tutti gli anni un mese circa assieme a noi, sia nella modestissima casa di via Magenta, dove viveva assieme al fratello Calogero. Leggeva due giornali al giorno ed anche dei libri, conversava con noi e nel pomeriggio con quelli che venivano a fargli visita. Non ricordo mai qualcuno che ebbe a fare osservazioni sulla sua vista o sul suo udito, e fra questi anche Mons. Restivo. Aggiungo anche che ogni anno si faceva togliere da suo fratello Alfonso il cerume dagli orecchi, così come fanno tanti altri, che non per questo vengono classificati di udito debole.
Le osservazioni che in merito a tale menzogna fa Sciascia sono molto puntuali e colpiscono, anche con fine ironia, svuotandola, la tesi sostenuta dal potere clericale. Ma il Restivo, ritenendola un’accusa ancor più grave, dice di più : che il Ficarra era “disattento” alle esigenze del potere politico, a differenza dei suoi confratelli del tempo, tutti schierati “in difesa … della democrazia” … cristiana! E non si rende conto, così scrivendo, di dar pienamente ragione alla tesi sostenuta da Sciascia. Ma soprattutto, a parte le parole che spende sul <
3. Sostiene ancora Restivo che “iI card. Piazza … ascolta le due campane …, legge, riflette, si consulta e prega. ….”. – Indi, aggiunge : “è' brutto quel che scrivo ma è vero ….. la salus rei pubblicae prevale …”. “Roma non può, non deve tacere ….”. E, richiamando Caifa, Restivo, senza forse riflettere in merito all’affermazione che fa, dice ancora : “è meglio che muoia quest'uomo per il popolo, piuttosto che perisca tutta la nazione ……”; che riferito al caso di specie significa : <
Può pensare ad un cardinale Piazza sofferente, che si strugge nel dubbio e si consola nella preghiera solo chi prescinde, come Restivo, dalla sua fredda, ostinata, preconcetta determinazione di burocrate e di uomo dedito solo al potere, - (e, va ricordato, di salda e ferma cultura fascista e razzista ed addirittura con simpatie naziste) -, che ricorre al falso, come Ruffini, e si rifiuta di aprire anche un solo spiraglio alla ricerca della verità sul caso Ficarra. Non a caso, dice giustamente Sciascia, <
Se come sostiene Corsello in un suo noto libello - la cui tesi di fondo Restivo sposa in pieno -, nella diocesi di Patti la condotta morale del clero lasciava a desiderare dal punto di vista “cattolico” ed era addirittura – egli dice - una “condotta inveterata”, cioè di antica tradizione ed origine, occorre chiedersi perché Restivo, il quale da uomo della gerarchia dice che “la salus rei pubblicae prevale …. Roma non può, non deve tacere ….”, non si domanda come mai alcuna inchiesta venne condotta in precedenza su tale fenomeno, ritenuto addirittura, come scrive Corsello, notorio nell’ambiente ecclesiastico, e, quindi, non rifletta, come, invece fa Sciascia, sul basso ed ipocrita uso strumentale che se ne fece, per evidenti motivi politico-culturali che nulla avevano a che fare con la condotta morale del clero.
In Restivo, come in Corsello, manca soprattutto la riflessione su cosa sia la Chiesa come istituzione politico-religiosa dopo Costantino e specie dopo Teodosio; per cui, ad esempio, è vuota l’affermazione fatta dal secondo nel suo libello, in polemica con Sciascia, che “le preoccupazioni della gerarchia vaticana (cioè del potere politico della Chiesa) erano e sono prevalentemente di carattere pastorale, religioso”. Corsello lo scrive nel punto in cui, precisato nel suo articolo che “Ficarra .. integerrimo, .. dovette subire le conseguenze di colpe non sue”, accenna allo “scandalo della Pontificia Opera Assistenza diocesana provocato – egli dice – da un prete di sua fiducia. “. Ed aggiunge: “il vescovo ne soffrì moltissimo”. – Ebbene, se Corsello e le pie anime che, come Restivo ed altri lo seguono, avesse fatto la riflessione di fondo cui ho accennato, fermandosi pure a pensare alla tesi svolta da Hegel sulla trasformazione della Chiesa in istituzione, avrebbe capito che non poteva essere quello cui egli accenna, (e che - ripeto – Restivo condivide), il motivo reale dell’attacco subito da Angelo Ficarra. Per la semplice considerazione che, come noto, in Sicilia ed altrove, c’erano e vi sono diocesi e dicasteri ecclesiastici dove la condotta morale del clero era ed è ancora, sempre dal punto di vista cattolico, più scadente di quella di Patti di quel tempo: e va da sé che, parlando di “condotta morale” non intendo minimamente riferirmi ai rapporti di amore fra un sacerdote ed un altro soggetto, uomo o donna che sia, come è nella natura gioiosa della vita, ma a ben altro, di veramente grave: al rapporto, ad esempio, fra chiesa e mafia, fra chiesa e finanza corrotta: se, come dice Corsello, “le preoccupazioni della gerarchia vaticana erano e sono prevalentemente di carattere pastorale, religioso”, ed il fine perseguito è – dice ancora egli – “il bene delle anime”, avrebbe dovuto cadere, per fare un solo significativo esempio, una vera e propria mannaia addosso al cardinale Ruffini, il quale, per occultarla e servendosene, arrivò fino a dire che la mafia non esiste. Marcinkus avrebbe dovuto essere cacciato subito via a pedate, come i mercanti dal Tempio, e con lui quegli ecclesiastici, di altissimo grado e rango, che l’avevano aiutato, protetto ed anche guidato nelle operazioni dello IOR e nei rapporti con Calvi, Sindona e con tutta la finanza collegata alle organizzazioni politico-mafiose; ed essere cacciati via per colpe loro. Per non dire, ovviamente, delle gravissime colpe morali dei vescovi, cardinali e pontefici che esaltarono il potere dittatoriale di Mussolini, osannato come “l’uomo della Provvidenza” (vedi Peruzzo), che sostennero le leggi razziali del ’38, la Repubblica di Salò e l’alleanza col nazismo (vedi Piazza), dei prelati, ancora, che esaltarono Franco, Pinochet e gli ultimi dittatori di Cuba, Santo Domingo, Venezuela, Brasile e Argentina...
- Come accennavo sopra, c’è un vuoto di fondo che spiega a mio avviso l’errata tesi di Restivo: il silenzio totale sulle posizioni culturali di Angelo Ficarra. In un mio scritto “Passi scelti da “Le devozioni materiali di Angelo Ficarra”, dicevo che il “discorso” da egli svolto nel suo libro sul materialismo religioso, per il quale, come noto, gli fu rifiutato l’imprimatur, è il seguente: il cristianesimo è essenzialmente spiritualità, è una scelta morale che involge alla radice ogni aspetto della vita del soggetto. Donde la sua critica dura, radicale, ed a tratti anche violenta, di tutte le forme di paganesimo e di feticismo presenti nella pratica religiosa cattolica. Una posizione, questa, che, ripeto, lo accomuna allo “spirito” ed alle idee del modernismo. E non è invero casuale che egli si sia rivolto ad Ernesto Buonaiuti, esponente di primo piano del modernismo italiano e per questo motivo scomunicato dalla Chiesa cattolica, per avere dei pareri e dei consigli in merito alla sua opera su S. Girolamo, come testimoniato dalla lunga corrispondenza fra i due intercorsa.
La sua critica radicale di ogni forma di irrazionalismo, nonché del “materialismo”, largamente presenti nel culto cattolico, ne fanno, per certi aspetti, un anticipatore di posizioni che si manifesteranno, anche all’interno della chiesa Cattolica, dopo gli inizi degli anni ’60. Questo suo aspirare ad una religione che non sia in contrasto con le istanze della ragione, spiega perché egli persegua l’obiettivo, espressamente dichiarato nel suo succitato libro, di realizzare “un equilibrio tra la cultura laica e la cultura religiosa”. E spiega anche come egli abbia trovato del tutto naturale compiere degli studi e delle ricerche assieme ad un filosofo, suo amico, ateo e socialista, A. Sacheli, fino a quando non ne ricevette espresso divieto dalla gerarchia ecclesiastica. Così come, è espressione della sua cultura “laica”, libera e progressista l’adesione data nell’estate del 1950 all’appello per la Pace di Stoccolma, promosso, come noto, dal movimento dei “Partigiani della Pace” col sostegno aperto del movimento comunista internazionale. - Siamo in pieno clima anticomunista, di caccia alle streghe. Ruffini, non soddisfatto della sola scomunica religiosa, chiese per il comunismo, l’indomani del 18 aprile 1948, in una lettera a Scelba, la sua messa fuori legge. Il vescovo Peruzzo invitò clero e fedeli a rompere ogni rapporto coi comunisti. Il Santo Uffizio aveva proibito, sotto pena di scomunica, anche di “dare (semplice) appoggio ai partiti comunisti”, di “appoggiare associazioni organizzate direttamente dal comunismo, anche se camuffate sotto altri nomi” - (come I Partigiani della Pace).
In Sicilia le adesioni all’appello per la pace furono tantissime, ottocentoquattordicimila, e, quindi, con grande partecipazione di popolo. Presidente del movimento dei Partigiani della Pace era Federico Joliot Curie, premio Nobel per la Fisica, noto partigiano e comunista, ex Presidente del Fronte nazionale della resistenza in Francia.. Renda, nella sua “Storia della Sicilia” (vol. III, pag. 303), nel ricordare l’adesione del vescovo di Patti, mons. Ficarra, sottolinea che il fatto “fece sensazione, stante la scomunica della chiesa contro i partiti marxisti”. Evidentemente il Ficarra era d’accordo con quanto scriveva Carlo Arturo Jemolo su “Il Ponte” , 1949, nell’articolo “Muoia Sansone con tutti i filistei” : “si è formato un fronte opaco, nel quale sono uomini che abbiamo sempre disprezzato, ed uomini che abbiamo amato …, il fronte che si chiama dell’anticomunismo”. Dal quale egli, Jemolo, da cristiano laico, progressista ed antifascista, prendeva apertamente le distanze.
L’inquisitore dal trascorso fascista, repubblichino e filonazista, cardinale Adeodato Piazza, ben conosceva tutto ciò, essendo peraltro fatti noti a tutti, ed è contro le posizioni culturali di mons. Ficarra che, coperta da un velo ipocrita, è in realtà diretta la sua accusa, e ciò quando la misura per lui ed il potere vaticano, che rappresentava, era veramente colma: “dappertutto si lavora per Dio, a Patti, sede vescovile, … ha vinto il comunismo, … si è lavorato per Satana”. Questa, cioè le posizioni culturali del Ficarra, era la vera “situazione gravissima da risolvere”, non quella cui, oscurando la verità, accenna con foga il Restivo nella sua prefazione al libro di Augello. Ed occorre dire che “il modo (che) può offendere” è solo ed unicamente questo oscurare da parte sua, complice in ciò egli del Piazza, il vero movente della bassa operazione di restaurazione compiuta dal Vaticano.
Angelo Ficarra era un uomo che sapeva scegliere liberamente, facendosi sempre guidare dalla ragione, secondo l’insegnamento di Socrate, di Pascal e di Montaigne, ed aveva alto il senso della dignità umana, come comprovano, da soli, i suoi coraggiosi e decisi articoli del ’23 e del ’25 contro il governo fascista. Per questo motivo, quando mons. Peruzzo, - “vero” vescovo e vero “amico”, come dice sarcasticamente Sciascia - gli consiglia di rinunciare a battersi per il trionfo della giustizia e di chinare il capo al cardinale Piazza, da cui culturalmente era distante anni luce, e di patteggiare per “ottenere … qualcosa in più, ... un posto a Roma,… almeno … 45.000 mensili”, in sostanza di monetizzare la sua dignità di uomo, non ha alcun dubbio che suo dovere è continuare la lotta per il diritto. Ed è così che ha vinto la sua vera battaglia ideale, di uomo libero.
Colpisce infine l’esaltazione che Restivo fa del successore : “Pullano – dice - ha ben operato”, … “ha sanato la situazione”. Da quanto dettomi era un <
Padova 19 febbraio 2008
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