Quando i cultori e seguaci del sicilianismo parlano della Sicilia rapinata dal “nord”, che ha diritto ad essere “risarcita”, pongono in modo sbagliato un problema in gran parte reale. In primo luogo perché parlano di un “nord” indistinto, generico, senza specificare che unico avversario è la borghesia capitalistica del nord, e poi nell’avanzare la richiesta di “risarcimento” allo Stato assumono questo come neutrale, senza caratterizzazioni di classe, e, quindi, collocano le classi lavoratrici in posizione subalterna rispetto ad esso. In secondo luogo perché, annullando le distinzioni di classe, propongono un fronte unico ed indistinto fra padroni da un lato ed operai, contadini, impiegati dall’altro; che è la strada da sempre indicata e seguita dalla borghesia mafiosa. Basti pensare ai fronti unici agrari-braccianti-contadini poveri costituiti più volte in passato per la difesa dell’agricoltura, al fine di ottenere finanziamenti, poi gestiti sempre dalla borghesia mafiosa. (Consigliamo di leggere sulla «borghesia mafiosa» gli scritti sulla Sicilia di Mario Mineo – edizione Flaccovio1995).
Come aveva chiaramente capito e spiegato Gramsci – (che sul punto attaccò duramente la dirigenza del PSI del tempo, quella stessa che aveva isolato come sappiamo il grande movimento dei fasci dei lavoratori siciliani) - l’antimeridionalismo era un’ideologia alimentata dalla borghesia capitalistica del Nord, perché divideva, creando contrapposizioni “culturali”, gli operai del nord dai braccianti-contadini-impiegati sfruttati del sud, elevando steccati contro l’unità delle masse proletarie delle due parti del paese; così come oggi l’ideologia razzista ha la funzione molto importante per il padronato capitalista di contrapporre gli operai italiani occupati e disoccupati agli stranieri, presentando questi ultimi come i loro unici veri avversari - concorrenti, quando, come è noto, sono i capitalisti a sfruttare a piene mani la forza lavoro straniera a basso prezzo, specie quella clandestina e quindi in nero, che è un prodotto diretto della legge Bossi-Fini ancor più di quella Napolitano, riuscendo in tal modo a tenere pure a freno le stesse rivendicazioni economiche dei sindacati italiani. E’ così che il padronato annulla in gran parte la contrapposizione verticale operai-capitale, deviandola in quella orizzontale operai italiani, occupati e disoccupati, contro forza lavoro straniera. Questa lettura spiega anche il grande successo politico elettorale della lega fra il proletariato del nord. Questi fenomeni si collocano all’interno di una dinamica, chiarita a fondo da Marx, in base alla quale il capitalismo, per tenere bassi i salari e frenare le rivendicazioni anche politiche della classe operaia, si serve dell’esercito di riserva dei disoccupati, che mai aveva raggiunto in passato proporzioni così enormi ed estese come quelle attuali.
Giustamente Kant diceva che l’esperienza senza i concetti è cieca, come è cieco, possiamo dire, il parlare non ancorato ad una conoscenza completa e precisa delle cose, specie di quelle complesse. Per cui, se qualcuno, facendo riferimento a Gramsci, dovesse in ipotesi parlare, tout court, di pregiudizio delle masse del nord, come tali, contro i meridionali, dimostrerebbe di non aver compreso nulla della sua rivoluzionaria elaborazione, di cui abbiamo fatto sopra cenno.
Come il leghismo, che ha tratti apertamente fascisti e razzisti, è oggi, come detto prima, il collante ideologico, della borghesia capitalistica del nord, ed ha un’origine materiale precisa: l’interesse di quest’ultima di trattenere, col federalismo fiscale, introdotto con la riforma della costituzione varata dal centrosinistra nel 2001, tutto il PIL da essa prodotto; - così il sicilianismo, che è il collante ideologico della borghesia mafiosa, risponde all’interesse materiale di quest’ultima di avere, in un fronte unico, il sostegno anche delle masse popolari nella rivendicazione di finanziamenti nei confronti della CE e dello Stato.
Va altresì detto sul punto che il sicilianismo diventa anche agente culturale, non importa se consapevole o meno, della strumentalizzazione delle masse, di una loro attivizzazione subalterna, fenomeno che meglio si comprende utilizzando il concetto di rivoluzione passiva elaborato da Gramsci per spiegare come le classi dominanti riescono a governare il mutamento proprio grazie all’assenza di un’antitesi autonoma e vigorosa delle forze popolari. Il sicilianismo, infatti, trasmette e coltiva in queste la cultura dell’attesa dell’intervento risolutore dello Stato e quindi a non fare affidamento sulle proprie forze mediante sue autonome organizzazioni rivoluzionarie, politiche e sindacali, che pongano al primo punto l’unità di esse con quelle proletarie del nord Italia ed Europa in una comune lotta anticapitalistica; lotta che individui nel processo di accumulazione capitalistico la spiegazione del sottosviluppo del sud. E’ un grave errore politico, che va combattuto sino in fondo, quello di chiudersi in una visione insulare e provinciale, e coltivarla e diffonderla nelle masse proletarie, invece di elevare e spingere queste ad una visione internazionalista della lotta rivoluzionaria.
Va da sé che come non tutti i leghisti sono razzisti così non tutti i sicilianisti sono mafiosi, ma non c’è dubbio – e va denunciato e detto con forza e decisione – che questi ultimi, anche in perfetta buona fede, sono subalterni alla cultura del fronte unico ed indistinto – in difesa dell’onore offeso e dei diritti calpestati della Sicilia, senza, ripetiamo, distinzioni di classe -, fronte unico proposto per i suoi materiali interessi dalla borghesia mafiosa.
Una grande scrittrice siciliana, Giuliana Saladino, in “Terra di rapina” ed in “Romanzo civile”, il suo capolavoro, critica duramente la cultura del lamento, di chi attribuisce la colpa di tutto sempre ed in ogni caso allo Stato, coltivando l’attesa passiva del suo intervento invece di puntare sulle proprie forze, e critica sul punto anche aspetti non secondari della politica passata del Pci e della Cgil siciliani. Non c’è dubbio, come sa ogni storico serio, che la Sicilia ed il resto del sud Italia sono stati penalizzati dalla politica svolta dalla grande borghesia capitalistica, egemone anche grazie all’alleanza con il grande padronato agrario di tutto il meridione ed in particolare con la borghesia mafiosa siciliana. La quale ha sempre abilmente giocato, almeno in apparenza, anche sul fronte di lotta contro lo Stato rapinatore ed assente, per tenere sotto il suo controllo, grazie al collante del sicilianismo, le masse proletarie, impiegatizie e dei piccoli e medi contadini. Ma queste, torniamo a ripetere ancora una volta, debbono denunciare ed attaccare la politica statuale della grande borghesia in un fronte di lotta anticapitalistico in unità col proletariato del nord, pena la perdita della loro autonomia di classe. Analogo discorso andrebbe sviluppato nei riguardi della politica della borghesia mafiosa calabrese e pugliese e di quella camorristica della Campania.
Concludiamo con un’immagine, che pensiamo aiuti a capire meglio il fenomeno: il sicilianista fa pensare a colui, che, vittima di una nevrosi edipica irrisolta, attribuisce tutti i suoi mali al fantasma del padre, che non ha simbolicamente ucciso e che, quindi, continua a dominarlo dall’interno. Nel caso concreto c’è un padre reale, lo stato borghese, il cui dominio viene perpetuato ed enfatizzato dalla richiesta subalterna di aiuti economici, invece di essere combattuto in un fronte rivoluzionario di lotta anticapitalistica.
Come aveva chiaramente capito e spiegato Gramsci – (che sul punto attaccò duramente la dirigenza del PSI del tempo, quella stessa che aveva isolato come sappiamo il grande movimento dei fasci dei lavoratori siciliani) - l’antimeridionalismo era un’ideologia alimentata dalla borghesia capitalistica del Nord, perché divideva, creando contrapposizioni “culturali”, gli operai del nord dai braccianti-contadini-impiegati sfruttati del sud, elevando steccati contro l’unità delle masse proletarie delle due parti del paese; così come oggi l’ideologia razzista ha la funzione molto importante per il padronato capitalista di contrapporre gli operai italiani occupati e disoccupati agli stranieri, presentando questi ultimi come i loro unici veri avversari - concorrenti, quando, come è noto, sono i capitalisti a sfruttare a piene mani la forza lavoro straniera a basso prezzo, specie quella clandestina e quindi in nero, che è un prodotto diretto della legge Bossi-Fini ancor più di quella Napolitano, riuscendo in tal modo a tenere pure a freno le stesse rivendicazioni economiche dei sindacati italiani. E’ così che il padronato annulla in gran parte la contrapposizione verticale operai-capitale, deviandola in quella orizzontale operai italiani, occupati e disoccupati, contro forza lavoro straniera. Questa lettura spiega anche il grande successo politico elettorale della lega fra il proletariato del nord. Questi fenomeni si collocano all’interno di una dinamica, chiarita a fondo da Marx, in base alla quale il capitalismo, per tenere bassi i salari e frenare le rivendicazioni anche politiche della classe operaia, si serve dell’esercito di riserva dei disoccupati, che mai aveva raggiunto in passato proporzioni così enormi ed estese come quelle attuali.
Giustamente Kant diceva che l’esperienza senza i concetti è cieca, come è cieco, possiamo dire, il parlare non ancorato ad una conoscenza completa e precisa delle cose, specie di quelle complesse. Per cui, se qualcuno, facendo riferimento a Gramsci, dovesse in ipotesi parlare, tout court, di pregiudizio delle masse del nord, come tali, contro i meridionali, dimostrerebbe di non aver compreso nulla della sua rivoluzionaria elaborazione, di cui abbiamo fatto sopra cenno.
Come il leghismo, che ha tratti apertamente fascisti e razzisti, è oggi, come detto prima, il collante ideologico, della borghesia capitalistica del nord, ed ha un’origine materiale precisa: l’interesse di quest’ultima di trattenere, col federalismo fiscale, introdotto con la riforma della costituzione varata dal centrosinistra nel 2001, tutto il PIL da essa prodotto; - così il sicilianismo, che è il collante ideologico della borghesia mafiosa, risponde all’interesse materiale di quest’ultima di avere, in un fronte unico, il sostegno anche delle masse popolari nella rivendicazione di finanziamenti nei confronti della CE e dello Stato.
Va altresì detto sul punto che il sicilianismo diventa anche agente culturale, non importa se consapevole o meno, della strumentalizzazione delle masse, di una loro attivizzazione subalterna, fenomeno che meglio si comprende utilizzando il concetto di rivoluzione passiva elaborato da Gramsci per spiegare come le classi dominanti riescono a governare il mutamento proprio grazie all’assenza di un’antitesi autonoma e vigorosa delle forze popolari. Il sicilianismo, infatti, trasmette e coltiva in queste la cultura dell’attesa dell’intervento risolutore dello Stato e quindi a non fare affidamento sulle proprie forze mediante sue autonome organizzazioni rivoluzionarie, politiche e sindacali, che pongano al primo punto l’unità di esse con quelle proletarie del nord Italia ed Europa in una comune lotta anticapitalistica; lotta che individui nel processo di accumulazione capitalistico la spiegazione del sottosviluppo del sud. E’ un grave errore politico, che va combattuto sino in fondo, quello di chiudersi in una visione insulare e provinciale, e coltivarla e diffonderla nelle masse proletarie, invece di elevare e spingere queste ad una visione internazionalista della lotta rivoluzionaria.
Va da sé che come non tutti i leghisti sono razzisti così non tutti i sicilianisti sono mafiosi, ma non c’è dubbio – e va denunciato e detto con forza e decisione – che questi ultimi, anche in perfetta buona fede, sono subalterni alla cultura del fronte unico ed indistinto – in difesa dell’onore offeso e dei diritti calpestati della Sicilia, senza, ripetiamo, distinzioni di classe -, fronte unico proposto per i suoi materiali interessi dalla borghesia mafiosa.
Una grande scrittrice siciliana, Giuliana Saladino, in “Terra di rapina” ed in “Romanzo civile”, il suo capolavoro, critica duramente la cultura del lamento, di chi attribuisce la colpa di tutto sempre ed in ogni caso allo Stato, coltivando l’attesa passiva del suo intervento invece di puntare sulle proprie forze, e critica sul punto anche aspetti non secondari della politica passata del Pci e della Cgil siciliani. Non c’è dubbio, come sa ogni storico serio, che la Sicilia ed il resto del sud Italia sono stati penalizzati dalla politica svolta dalla grande borghesia capitalistica, egemone anche grazie all’alleanza con il grande padronato agrario di tutto il meridione ed in particolare con la borghesia mafiosa siciliana. La quale ha sempre abilmente giocato, almeno in apparenza, anche sul fronte di lotta contro lo Stato rapinatore ed assente, per tenere sotto il suo controllo, grazie al collante del sicilianismo, le masse proletarie, impiegatizie e dei piccoli e medi contadini. Ma queste, torniamo a ripetere ancora una volta, debbono denunciare ed attaccare la politica statuale della grande borghesia in un fronte di lotta anticapitalistico in unità col proletariato del nord, pena la perdita della loro autonomia di classe. Analogo discorso andrebbe sviluppato nei riguardi della politica della borghesia mafiosa calabrese e pugliese e di quella camorristica della Campania.
Concludiamo con un’immagine, che pensiamo aiuti a capire meglio il fenomeno: il sicilianista fa pensare a colui, che, vittima di una nevrosi edipica irrisolta, attribuisce tutti i suoi mali al fantasma del padre, che non ha simbolicamente ucciso e che, quindi, continua a dominarlo dall’interno. Nel caso concreto c’è un padre reale, lo stato borghese, il cui dominio viene perpetuato ed enfatizzato dalla richiesta subalterna di aiuti economici, invece di essere combattuto in un fronte rivoluzionario di lotta anticapitalistica.
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