Contro la mafia una battaglia politica e culturale
L’interessante ed intelligente articolo di Umberto Santino dal significativo titolo : «La memoria secondo Lombardo e seguaci. La storia della Sicilia non ha bisogno di “sicilianismi”», pubblicato su Liberazione del 6 agosto 2008, è meritevole di particolare attenzione e riflessione. Ho avuto modo di occuparmi con impegno della problematica oggetto dell’articolo di Santino, per avere svolto a Padova, quale dirigente dei Giuristi Democratici, dei dibattiti su “mafia e politica” con Caselli ed anche con il sindaco di Gela, Crocetta.
Un segno grave della sconfitta del movimento operaio, non solo elettorale ma soprattutto storica e culturale, e quindi della deriva cui siamo pervenuti, è dato dall’incontro, sugli stessi temi, fra «leghismo» e «sicilianismo» e dall’egemonia da entrambi esercitata su larghe masse di popolo: ceto medio, sottoproletariato ed in parte non marginale anche proletariato. Entrambi, per i motivi evidenziati da Santino, conducono l’attacco contro «Roma ladrona» e contro Garibaldi : i leghisti per conservare alla borghesia capitalistica del nord, col federalismo fiscale, tutto il pil realizzato in loco e i sicilianisti e seguaci ora di Lombardo e ieri di Cuffaro per contrattare ed ottenere maggiori finanziamenti e contributi, specie dalla comunità europea, per la borghesia mafiosa. Categoria, questa, molto usata e credo anche elaborata per primo da Mario Mineo nei suoi interessanti scritti sulla Sicilia, raccolti in un libro edito da Flaccovio – Palermo – nel 1995. Come cento anni fa, la stragrande maggioranza, anzi la quasi totalità del ceto medio siciliano, dominato e subalterno alla cultura della borghesia mafiosa, sottoscrisse una petizione a favore dell’on. Palizzolo, uomo del Crispi e mandante del delitto Notarbartolo - (furono raccolte circa 250.000 firme) -, così oggi quasi tutto il ceto medio siciliano, subalterno alla cultura ed all’ideologia della mafia, ha dimostrato con il voto di essere per Cuffaro e Lombardo, espressione politica, entrambi, degli interessi della borghesia mafiosa. E non è certo casuale l’oblio che è stato operato nella memoria del popolo siciliano in relazione al grande movimento di lotta dei «Fasci dei lavoratori siciliani»: il più importante e vasto movimento di massa anticapitalistico dell’Europa dell’800, come lo definì il segretario del Partito socialdemocratico tedesco dell’epoca, Liebchnet, il quale provvide subito a far tradurre in lingua tedesca il famoso libro di Adolfo Rossi sui Fasci Siciliani. Il che fa comprendere a tutti che la battaglia contro la mafia e la sua ideologia, ancora oggi egemone, non può essere condotta solo a livello giudiziario e di polizia, ma soprattutto a livello politico di massa e culturale. Così come avevano compreso Falcone e Borsellino e sempre sostenuto tutti gli intellettuali più avanzati della Sicilia, da Sciascia a Consolo a Cammilleri. Il sicilianismo, così come il maschilismo, l’omofobia, il razzismo, l'ideologia della mafia e quella patriarcale, esprimono una «cultura» e vanno quindi combattuti, sì a livello politico, ma anche ed in particolare a livello culturale, operando nel popolo una rivoluzione intellettuale e morale, di tipo radicale. La deriva cui siamo pervenuti è tale che oggi, come leggo in internet, un ex dirigente politico siciliano di area socialista, anche con pregresse responsabilità primarie di direzione sindacale, invece di porsi il difficile problema politico e culturale di come riunificare le masse sfruttate del nord con quelle ancor più sfruttate del sud in una comune lotta anticapitalistica, si adagia in una posizione subalterna di critica antiunitaria, alla Lombardo.
Padova, 13 agosto 2008
L’interessante ed intelligente articolo di Umberto Santino dal significativo titolo : «La memoria secondo Lombardo e seguaci. La storia della Sicilia non ha bisogno di “sicilianismi”», pubblicato su Liberazione del 6 agosto 2008, è meritevole di particolare attenzione e riflessione. Ho avuto modo di occuparmi con impegno della problematica oggetto dell’articolo di Santino, per avere svolto a Padova, quale dirigente dei Giuristi Democratici, dei dibattiti su “mafia e politica” con Caselli ed anche con il sindaco di Gela, Crocetta.
Un segno grave della sconfitta del movimento operaio, non solo elettorale ma soprattutto storica e culturale, e quindi della deriva cui siamo pervenuti, è dato dall’incontro, sugli stessi temi, fra «leghismo» e «sicilianismo» e dall’egemonia da entrambi esercitata su larghe masse di popolo: ceto medio, sottoproletariato ed in parte non marginale anche proletariato. Entrambi, per i motivi evidenziati da Santino, conducono l’attacco contro «Roma ladrona» e contro Garibaldi : i leghisti per conservare alla borghesia capitalistica del nord, col federalismo fiscale, tutto il pil realizzato in loco e i sicilianisti e seguaci ora di Lombardo e ieri di Cuffaro per contrattare ed ottenere maggiori finanziamenti e contributi, specie dalla comunità europea, per la borghesia mafiosa. Categoria, questa, molto usata e credo anche elaborata per primo da Mario Mineo nei suoi interessanti scritti sulla Sicilia, raccolti in un libro edito da Flaccovio – Palermo – nel 1995. Come cento anni fa, la stragrande maggioranza, anzi la quasi totalità del ceto medio siciliano, dominato e subalterno alla cultura della borghesia mafiosa, sottoscrisse una petizione a favore dell’on. Palizzolo, uomo del Crispi e mandante del delitto Notarbartolo - (furono raccolte circa 250.000 firme) -, così oggi quasi tutto il ceto medio siciliano, subalterno alla cultura ed all’ideologia della mafia, ha dimostrato con il voto di essere per Cuffaro e Lombardo, espressione politica, entrambi, degli interessi della borghesia mafiosa. E non è certo casuale l’oblio che è stato operato nella memoria del popolo siciliano in relazione al grande movimento di lotta dei «Fasci dei lavoratori siciliani»: il più importante e vasto movimento di massa anticapitalistico dell’Europa dell’800, come lo definì il segretario del Partito socialdemocratico tedesco dell’epoca, Liebchnet, il quale provvide subito a far tradurre in lingua tedesca il famoso libro di Adolfo Rossi sui Fasci Siciliani. Il che fa comprendere a tutti che la battaglia contro la mafia e la sua ideologia, ancora oggi egemone, non può essere condotta solo a livello giudiziario e di polizia, ma soprattutto a livello politico di massa e culturale. Così come avevano compreso Falcone e Borsellino e sempre sostenuto tutti gli intellettuali più avanzati della Sicilia, da Sciascia a Consolo a Cammilleri. Il sicilianismo, così come il maschilismo, l’omofobia, il razzismo, l'ideologia della mafia e quella patriarcale, esprimono una «cultura» e vanno quindi combattuti, sì a livello politico, ma anche ed in particolare a livello culturale, operando nel popolo una rivoluzione intellettuale e morale, di tipo radicale. La deriva cui siamo pervenuti è tale che oggi, come leggo in internet, un ex dirigente politico siciliano di area socialista, anche con pregresse responsabilità primarie di direzione sindacale, invece di porsi il difficile problema politico e culturale di come riunificare le masse sfruttate del nord con quelle ancor più sfruttate del sud in una comune lotta anticapitalistica, si adagia in una posizione subalterna di critica antiunitaria, alla Lombardo.
Padova, 13 agosto 2008
Nessun commento:
Posta un commento