VINCENZO GUZZO, Unità perduta?

La retorica risorgimentalista ha fatto di tutto per porre nell'oblio Bronte e la cosiddetta lotta al brigantaggio che fu anche pretesto per eliminare militarmente quegli oppositori che si erano dati alla macchia. Ma la storia ci ha sempre messi di fronte a fatti del genere e, ovviamente, ciò riguarda tutti gli sconfitti di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Fin quando ci fu il "miracolo economico" il Nord, ostentando sempre puzze sotto il naso, sfruttò alla grande la nostra manodopera. Da più di una quindicina di anni ha cambiato atteggiamento (non gradisce più nè le nostre braccia nè le nostre menti, lo stesso vale quelle straniere). L'attuale crisi risale proprio a quel periodo e solo oggi assume connotati drammatici. Oggi la ricchezza prodotta è al lumicino e le regioni ricche la vogliono per sè. Ma se ogni nazione ragionasse in questo modo, nell'attuale processo di globalizzazione, scomparirebbe dal contesto internazionale e la sedicente Padania sarebbe poco più che una presunzione geografica in uno scenario di crisi economica assolutamente inedito. Il Sud starebbe anche peggio ma cui prodest? Se ne avvantaggerebbero i detentori di grandi capitali che investirebbero altrove senza curarsi troppo del vuoto lasciato dal crollo dalla piccola e media impresa. No! L'unità d'Italia, in ultima analisi, serve a tutti. Il provincialismo viscerale è tanto ottuso quanto dannoso anche nei confronti di chi lo va sbandierando. L'Italia pretendeva qualche anno fa di essere tra le prime dieci potenze mondiali. Il separatismo farebbe precipitare le nuove realtà ex italiche in una assoluta crisi di identità nel contesto europeo e mondiale. Il delirio antinazionale lo si è attribuito, per decenni, alla sinistra. Ora ci viene anche da destra. Proprio adesso che la globalizzazione (che non è internazionalismo) dischiude opportunità e problemi del tutto nuovi che possono essere affrontati egregiamente da uomini come Obama e non da mediocri nanerottoli impazziti.

Vincenzo Guzzo

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