Da un punto di vista di filosofia della storia non appartiene certo alle caratteristiche del rigore una lettura teleologica, destinale degli eventi storici.
Piuttosto è da considerare come importantissima acquisizione la lettura fenomenologico – culturale. Infatti non credo che la storia abbia dei fini da conseguire e non è riconoscibile nessuna rigida struttura lineare. Ogni evento si sviluppa in una sua sfera realizzativa in cui sembra esaurirsi ma invece, in qualche modo, si espande in una sfera più ampia e si salda sempre ad altri eventi, in una successione infinita di concatenazioni che costituisce la memoria dell’intera umanità.
Per anni abbiamo considerato la storia solo come prodotto dei processi economici e prima ancora la si valutava solo in relazione al ruolo di determinati soggetti individuali e collettivi. Ma una lettura più efficace comprende metodi più completi e riferimenti interdisciplinari ben più complessi rispetto a quelle semplificazioni che le facili letture ideologico – confessionali comportano. Il suo senso profondo si fonda sulla considerazione di un divenire che contempla anche dei “ritorni” i cui riscontri sono innegabili e in cui si intrecciano mutazioni e somiglianze, ma giammai identità.
Per esemplificare, possiamo auspicare che queste premesse possano trovare autorevoli applicazioni anche al Risorgimento italiano, proprio quest’anno in cui ricorre il 150° anniversario dell’impresa garibaldina in Sicilia per non parlare del prossimo anno in cui ricorre quello dell'unità d'Italia.
Per troppo tempo il Risorgimento italiano è stato affrontato con mere celebrazioni che, il più delle volte, si sono retoricamente e stancamente sovrapposte alla sua grande portata storica. Occorre collocarsi al di sopra di qualunque tipo di speculazione politico – ideologica poiché la platea degli storici non può essere costituita da tifoserie contrapposte (anche se lo storico ha il diritto di coltivare una propria visione della politica ma non quello di rappresentare la sua opzione politica al posto della Storia) ma da soggetti a cui sta a cuore la conoscenza degli eventi, delle fonti, dei contesti valutati da tutti i punti di vista culturalmente rilevanti (economia, politica, arte, scienze, ecc.). Ciò è davvero importante in un momento in cui nel nostro paese, pur essendosi realizzata una buona condivisione, tra parti politiche tradizionalmente diverse, circa l’importanza che il processo di unificazione ha avuto, ci si trova tuttavia, soprattutto nel Nord, di fronte ad una fortissima ostilità intorno ai valori dell'unità e dell'uguaglianza tra i cittadini e ciò anche aldilà di possibili e più o meno plausibili ipotesi confederali. Detta ostilità è emersa anche al Sud ma con documentazioni di orrori che la storia ufficiale ha preferito tacere per motivi non storici ma politici.
L’Unità era, tuttavia, il percorso che la storia imponeva. I movimenti di riscatto nazionale dilagavano in molti paesi e a lontanissime latitudini. Il punto non era e non è quello di giudicare buoni o cattivi i perdenti. Soggetti politici come i Borboni, il Papa, il Granduca di Toscana, l’Imperatore asburgico, persero perché si muovevano al di fuori, o pesantemente, contro le forti correnti che caratterizzavano quella cultura che era già diventata dominante all’interno della crescente borghesia e degli intellettuali di ogni ceto. Si erano messe in moto energie di riscatto o di fondazione delle identità nazionali che influirono in modo determinante nell’inconscio collettivo, come diremmo oggi. Significativo esempio ne è Giuseppe Garibaldi, il cosiddetto eroe dei due mondi, che proprio in entrambi gli emisferi del globo e in realtà culturali e contestuali anche molto diverse tra loro, lottò per quegli ideali, assurgendo (anche aldilà dei suoi effettivi meriti) ad archetipo planetario degli eroi ottocenteschi.
Se si considerasse di più il ruolo dell'inconscio collettivo nelle vicende storiche dell'umanità, non solo ci si renderebbe conto delle ragioni o delle mozioni del fluttuare delle civiltà umane, ma si renderebbe un servizio di consapevolezza anche all'antropologia oltre che alla storia. Ecco perchè l'utopia è solo molla ingenua ma non consapevole. Io posso sognare il mondo che mi pare ma, in politica, non posso pretendere di piegare ai miei comodi, ai miei capricci, alla mia umoralità, alla mia incongrua visione del mondo e dei rapporti umani e civili, una intera nazione cercando di estendere il mio delirio e i miei appetiti all'intero pianeta.
Oggi la globalizzazione è un fatto ineluttabilmente consolidato, esattamente come furono un fatto altrettanto cogente le riscosse nazionali del 19° secolo e poi quelle sociali del 20°.
Comprendere quanto e come l'irrazionale possa fare irruzione nei destini dell'uomo e della sua storia, dovrebbe essere il compito di studiosi sempre meno specialisti e in forte recupero di conoscenze integrate, di sinergie interdisciplinari.
Piuttosto è da considerare come importantissima acquisizione la lettura fenomenologico – culturale. Infatti non credo che la storia abbia dei fini da conseguire e non è riconoscibile nessuna rigida struttura lineare. Ogni evento si sviluppa in una sua sfera realizzativa in cui sembra esaurirsi ma invece, in qualche modo, si espande in una sfera più ampia e si salda sempre ad altri eventi, in una successione infinita di concatenazioni che costituisce la memoria dell’intera umanità.
Per anni abbiamo considerato la storia solo come prodotto dei processi economici e prima ancora la si valutava solo in relazione al ruolo di determinati soggetti individuali e collettivi. Ma una lettura più efficace comprende metodi più completi e riferimenti interdisciplinari ben più complessi rispetto a quelle semplificazioni che le facili letture ideologico – confessionali comportano. Il suo senso profondo si fonda sulla considerazione di un divenire che contempla anche dei “ritorni” i cui riscontri sono innegabili e in cui si intrecciano mutazioni e somiglianze, ma giammai identità.
Per esemplificare, possiamo auspicare che queste premesse possano trovare autorevoli applicazioni anche al Risorgimento italiano, proprio quest’anno in cui ricorre il 150° anniversario dell’impresa garibaldina in Sicilia per non parlare del prossimo anno in cui ricorre quello dell'unità d'Italia.
Per troppo tempo il Risorgimento italiano è stato affrontato con mere celebrazioni che, il più delle volte, si sono retoricamente e stancamente sovrapposte alla sua grande portata storica. Occorre collocarsi al di sopra di qualunque tipo di speculazione politico – ideologica poiché la platea degli storici non può essere costituita da tifoserie contrapposte (anche se lo storico ha il diritto di coltivare una propria visione della politica ma non quello di rappresentare la sua opzione politica al posto della Storia) ma da soggetti a cui sta a cuore la conoscenza degli eventi, delle fonti, dei contesti valutati da tutti i punti di vista culturalmente rilevanti (economia, politica, arte, scienze, ecc.). Ciò è davvero importante in un momento in cui nel nostro paese, pur essendosi realizzata una buona condivisione, tra parti politiche tradizionalmente diverse, circa l’importanza che il processo di unificazione ha avuto, ci si trova tuttavia, soprattutto nel Nord, di fronte ad una fortissima ostilità intorno ai valori dell'unità e dell'uguaglianza tra i cittadini e ciò anche aldilà di possibili e più o meno plausibili ipotesi confederali. Detta ostilità è emersa anche al Sud ma con documentazioni di orrori che la storia ufficiale ha preferito tacere per motivi non storici ma politici.
L’Unità era, tuttavia, il percorso che la storia imponeva. I movimenti di riscatto nazionale dilagavano in molti paesi e a lontanissime latitudini. Il punto non era e non è quello di giudicare buoni o cattivi i perdenti. Soggetti politici come i Borboni, il Papa, il Granduca di Toscana, l’Imperatore asburgico, persero perché si muovevano al di fuori, o pesantemente, contro le forti correnti che caratterizzavano quella cultura che era già diventata dominante all’interno della crescente borghesia e degli intellettuali di ogni ceto. Si erano messe in moto energie di riscatto o di fondazione delle identità nazionali che influirono in modo determinante nell’inconscio collettivo, come diremmo oggi. Significativo esempio ne è Giuseppe Garibaldi, il cosiddetto eroe dei due mondi, che proprio in entrambi gli emisferi del globo e in realtà culturali e contestuali anche molto diverse tra loro, lottò per quegli ideali, assurgendo (anche aldilà dei suoi effettivi meriti) ad archetipo planetario degli eroi ottocenteschi.
Se si considerasse di più il ruolo dell'inconscio collettivo nelle vicende storiche dell'umanità, non solo ci si renderebbe conto delle ragioni o delle mozioni del fluttuare delle civiltà umane, ma si renderebbe un servizio di consapevolezza anche all'antropologia oltre che alla storia. Ecco perchè l'utopia è solo molla ingenua ma non consapevole. Io posso sognare il mondo che mi pare ma, in politica, non posso pretendere di piegare ai miei comodi, ai miei capricci, alla mia umoralità, alla mia incongrua visione del mondo e dei rapporti umani e civili, una intera nazione cercando di estendere il mio delirio e i miei appetiti all'intero pianeta.
Oggi la globalizzazione è un fatto ineluttabilmente consolidato, esattamente come furono un fatto altrettanto cogente le riscosse nazionali del 19° secolo e poi quelle sociali del 20°.
Comprendere quanto e come l'irrazionale possa fare irruzione nei destini dell'uomo e della sua storia, dovrebbe essere il compito di studiosi sempre meno specialisti e in forte recupero di conoscenze integrate, di sinergie interdisciplinari.
Vincenzo Guzzo
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