VINCENZO GUZZO, Nesso tra politica, religione, società e mafia

Desidero prendere lo spunto dalle riflessioni del prof. Marino (riportate nelle immagini allegate) per esporre ciò che, secondo i miei punti di vista, può essere il nesso tra politica, religione, società e mafia. L'argomento, in realtà, è sterminato ma mi muoverò solo per considerazioni generali e per concetti quasi schematici.

Premesso che questi quattro assunti (politica, religione, società e mafia) hanno un denominatore comune che si chiama "potere", è da esso che deve partire le nostra riflessione.
Il potere antropologicamente deriva da processi che, evolutivamente (e per me Darwin è una risorsa e non un becero materialista) si vanno trasferendo dal campo etologico a quello umano, mantenendo sin dall'inizio caratteristiche molto simili tra i mammiferi in ordine alla conservazione della specie e dei singoli individui.
Delimitazione dei territori / spazi di propria pertinenza, imposizione della forza per contese su cibo, acqua, difesa della prole, ecc. assoggettamento al più forte, migrazioni in cerca di occasioni idonee di sostentamento e riproduzione, ecc.
Si noti come ciò che in campo etologico continua ad essere immutato da milioni di anni, sul piano umano, nel tempo, ha assunto connotati legati alla crescita culturale in ordine soprattutto alla ritualità dei comportamenti, al configurarsi del sacro e poi delle leggi, prima connesse alle religioni e poi alla dimensione statuale e, contestualmente, al confronto continuo con le diversità culturali ed evolutive delle altre comunità. Ma si noti anche che, malgrado lo svilupparsi di leggi, di strategie e di diplomazie, i comportamenti umani rispetto al potere, ab initio, sono sostanzialmente rimasti legati all'istinto di aggressività, all'astuzia ingannevole, alla ferocia e così via. Intendo dire che antropologicamente, l'uomo, che tanto è cresciuto sul piano della scienza e delle tecnologie ma anche sul piano spirituale (religiosità anche laica, letteratura, poesia, filosofia ecc.), di fronte al "potere" (sia materiale che ,cosiddetto, "spirituale") manifesta ancora istinti del tutto primitivi e il mutare delle prospettive delle religioni (laddove si sia verificato), della scienza e delle filosofie, non è servito a molto anzi crescita e regressione si alternano col mutare delle varie condizioni strutturali di tipo culturale, sociale, antropologico, geopolitico ed economico. Fondamentale il ruolo dell’inconscio collettivo e dell’irruzione frequente dell’irrazionale nella società e nella vita politica. Anche per questo ritengo ingenua qualunque visione lineare della storia. Vedo processi maggiormente riconducibili a forme circolari o spiraliformi.
Si perdono nella notte dei tempi le prime forme di strutturazione del potere all'interno delle più antiche comunità umane. Ciò di cui abbiamo notizia sono solo quelle realtà che conosciamo attraverso la scrittura ma, per il periodo precedente, possiamo solo congetturare in base al racconto delle pietre, dei manufatti e poi, molto poi, del mito. Certo è però che potere politico e spirituale coincidevano poiché non sussisteva questa distinzione al tempo del Tutto sacralizzato. Sciamani e re sacerdoti detennero un potere non assoluto (in senso moderno) ma assolutamente condiviso ( la "participation mistique" di cui parla Levy Bruhle), su tribù, e poi villaggi e città ed aree sempre più vaste e sempre più evolute, sia nel vicino Oriente che in Egitto, aree tutte politeiste. Il potere si strutturava contestualmente al porsi e dispiegarsi della visione sacra e dei riti che esprimeva. Bisognò aspettare che si sviluppassero, nel "sociale" le facoltà razionali dell'emisfero cerebrale sinistro per poter derivare, da un politeismo sempre più antropomorfizzato e psicomorfizzato, una concezione politica che ne fosse il riflesso. Ciò accadde nell'antica Grecia e questo fu il periodo in cui nacque la "polis", la città stato che inaugurò la prima forma di democrazia. Infatti caratteristica di tutto il bacino del Mediterraneo e dell'Asia Minore fu un continuo scambio, non solo di merci, di conoscenze varie e di tecnè, ma anche di Miti e di Dei. Inoltre, la maturazione profonda del rapporto tra vari tipi di crescita: spirituale, culturale, economica ecc. determinò, tra la maggior parte delle città dell'Ellade, una trasformazione politico sociale che diede vita a quel fenomeno di crescita civile e psicologica che chiamiamo ancor oggi Democrazia!
Anche l'idea di aristocrazia nasce in quel contesto, ma non come investitura parassitaria, si pensi alla Repubblica di Platone, bensì come governo dei "migliori", concetto che si corruppe molto rapidamente a favore esclusivo del censo. Una cosa è certa: la democrazia nasce in un contesto politeista maturo e in procinto di "laicizzarsi". L'originaria concezione religiosa della pluralità archetipica, contaminata positivamente dalle prime forme di pensiero filosofico e dalla forma economica e organizzativa stessa della polis, determinarono questa affermazione. Il fatto stesso di doversi rivolgere ad una pluralità di Dei in funzione delle tipologie di bisogno, originò una sorta di filiazione socio politica della concezione religiosa e così trovò legittimazione sempre più piena e sempre più condivisa la forma democratica di governo delle città stato.
Anche la Roma repubblicana assorbì con convinzione ampi meccanismi democratici e moltissimi organismi politici e cariche magistratuali furono elettivi sino alla nascita dell'impero e, ma sempre meno significativamente, anche oltre.
Il grande Norberto Bobbio, rifacendosi ad un precedente lavoro di Finley, sostiene in un suo scritto del 1987 ( La democrazia dei moderni paragonata a quella degli antichi ...) che “per democrazia gli antichi intendevano la democrazia diretta, i moderni la rappresentativa” e poi:
“parlando di democrazia essi pensavano a una piazza oppure ad un’assemblea in cui i cittadini erano chiamati a prendere essi stessi le decisioni che li riguardavano” . Insomma si era distanti migliaia di anni luce dalla nostra attuale, indecente legge elettorale che ha pure perso l'alibi della rappresentatività. E Bobbio continua a spiegarci che: “Nelle due forme di democrazia il rapporto di partecipazione ed elezione è invertito. Mentre oggi l’elezione è la regola e la partecipazione diretta l’eccezione, un tempo la regola era la partecipazione, l’elezione l’eccezione. Si potrebbe anche dire così: la democrazia di oggi è una democrazia rappresentativa talora integrata da forme di partecipazione popolare diretta; quella degli antichi era una democrazia diretta talora corretta dall’elezione di alcune magistrature” . E poi aggiunge: “Proprio perché la democrazia è sempre stata concepita unicamente come governo diretto del popolo e non mediante rappresentanti del popolo, il prevalente giudizio su questa forma di governo è stato, a cominciare dall’antichità, negativo. I due caratteri che distinguono la democrazia degli antichi e dei moderni, quello analitico e quello assiologico, sono fra di loro strettamente connessi. Il modo di valutarla, negativo o positivo, dipende dal modo di intenderla” . Inoltre: “L’idea del demos come corpo collettivo deriva dall’immagine della piazza o dell’assemblea quando le si guardino dall’alto. Ma se ci avviciniamo, ci si accorge che la piazza o l’assemblea sono composti da tanti individui che, quando esercitano il loro diritto, approvano o disapprovano le proposte degli oratori, contano singolarmente uno per uno. Dunque anche la democrazia, non diversamente dalla monarchia e dall’aristocrazia, è composta da individui. Di fatto il demos in quanto tale non decide nulla, perché i decisori sono singolarmente presi tra gli individui che lo compongono. La differenza fra aristocrazia e democrazia non sta nella differenza fra i pochi (individui) e la massa (un ente collettivo), ma fra i pochi (individui) e i molti (individui). Che in una democrazia siano in molti a decidere non trasforma questi molti in una massa che possa essere considerata globalmente, perché la massa, in quanto tale, non decide nulla” .
Ma adesso dobbiamo allontanarci dal punto di vista di Bobbio perchè è necessario introdurre e valutare ciò che determinò un cambiamento netto di prospettiva. Il riconoscimento del Cristianesimo come religione dell'impero, ad opera di Costantino, assunse un dato culturale che si era ampiamente diffuso e cioè quello connesso ad una mutata visione del rapporto uomo - Dio e uomo - Stato. Nel monoteismo cristiano, infatti il nomos nasce dal Dio-Logos e dalla chiesa che se ne fa interprete. Altro che democrazia diretta! Per non parlare dell'Islam in cui tutto il nomos è già nel Corano e la teocrazia l'unico modello plausibile, con le dovute, sofferte e fragilissime eccezioni.
Si dovette attendere l'Illuminismo e la maturazione delle idee di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, per riuscire a recuperare l'idea di Democrazia. Ma gli assolutismi che da subito minarono il diffondersi di questi valori, fecero di tutto per riportare indietro le lancette della storia. Ormai però la crescita culturale e civile era partita e fu così che tornò la Democrazia nel mondo anche se nella forma prevalentemente rappresentativa.
I totalitarismi del Novecento sono stati sconfitti da quei valori dopo due guerre mondiali e stermini e massacri immani. E adesso è la Democrazia a soffrire ancora per quella "ribellione delle masse", di cui fu profeta Ortega y Gasset.
Ma in tutto questo come si colloca il fenomeno mafioso?. Certo è evidente che sociologicamente e subculturalmente non esiste fenomeno meno democratico delle mafie, dove ciò che conta è il volere di un capo (si procede infatti ad "elezioni" farsa che sono vere e proprie investiture di un potere che ha già dimostrato di doversi porre al vertice).
No, io non credo che sia possibile un nesso tra politeismo e mafia. Invece il modello è quello autoritario dei monoteismi. Inoltre non è un caso che la visione illuminista e quella mafiosa siano sideralmente distanti. Con l'illuminismo torna il rispetto della pluralità degli individui e non il culto delle personalità dei vertici. Il culto di Berlusconi si inquadra in questa decadenza dei valori illuministici e nell'avvento di una restaurazione autoritaria d'impianto del tutto monoteista. Ecco l'importanza di una lettura archetipica dei fenomeni politico-sociali. Si noti, a margine, l'impedimento fisico operato dalla polizia per evitare che apparissero scritte che potessero turbare la "perfetta" coreografia della visita del papa a Palermo ( la scritta in questione diceva: i love Milingo). Altro che rispetto per una manifestazione, pur civilissima , del dissenso. Ma se a bestemmiare è colui che rappresenta, in Italia, il simbolo vivente di questo autoritarismo che problemi volete che ci siano...? Tutto ciò è in sintonia con quella che chiamiamo visione autoritaria del mondo a cui tutte le mafie della terra si ispirano.
Bisogna tuttavia dire, a merito del Cristianesimo, che la stessa società illuminista nasce dalla maturazione della coscienza cristiana in senso laico ma questo è un aspetto che non ha mai sfiorato i rozzi modelli psico - strutturali della mafia siciliana e delle altre consorelle.
E concludiamo con Bobbio che riconduce l’ideale cristiano della Fratellanza all’ideale laico della Fraternità, uno dei tre princìpi cardine della Rivoluzione francese. Per Bobbio gli stessi ideali democratici sono indissolubilmente intrecciati con i diritti inalienabili e inviolabili dell’uomo. Ma il maestro ci ha lasciato prima che la degenerazione dei nostri tempi raggiungesse i livelli attuali di abiezione.
Per ora la smetto qui, riservandomi di intervenire nel dibattito che seguirà.
p.s. Ti prego caro prof. Marino di scusare la mia prolissità eppure avrei voluto dire molto di più. Non ho condiviso il nesso che fai tra politeismo e mafia ma ciò che importa è che contro la mafia, le mafie e la mafiosità ci ritroviamo assolutamente solidali.
Vincenzo Guzzo

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