Il legame tra la terra di Canicattì e la casa Bonanno copre un arco temporale di tre secoli ed, analogamente con quanto avvenne in altri centri feudali dell’isola, si presenta forte allorquando il signore risiede nel suo feudo mentre si attenua sino scomparire quando se ne allontana. Per comprendere come questa famiglia si sia innestata nel percorso storico locale è necessario andare indietro nel tempo.
Le origini della terra di Canicattì sono incerte e mancano riscontri documentali.
Nel XII secolo il geografo arabo Edrisi menziona il fortilizio di Al Qatta che alcuni individuano come la futura Canicattì. E’ certo comunque che la terra di Canicattì ricadesse nella giurisdizione della città demaniale di Naro.
Qui esisteva uno dei tanti casali di cui allora era ricca tutta la zona. Pare che questa terra, eretta in feudo, fosse data in concessione alla nobile famiglia Palmeri, militi naritani, di antica stirpe inglese legata agli Altavilla.
In relazione alle notizie più antiche dei signori di Canicattì e’ opportuno precisare che tutti coloro i quali si sono soffermati in epoche diverse su tale argomento hanno attinto in maniera più o meno discreta al più famoso “Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte” relativo alle famiglie nobili siciliane di cui e’ autore Filadelfio Mugnos, instancabile ricercatore di questioni araldiche e genealogiche: questa opera e’ rimasta per alcuni secoli un riferimento obbligato per genealogisti e storici della Sicilia.
E’ un trattato pubblicato a Palermo nel 1647 con riferimenti documentali precisi che, pur con qualche inesattezza, rimane in massima parte attendibile ai fini di appurare i legami parentali tra le diverse famiglie del ceto aristocratico ed al fine di percorre la successione nei titoli e nei feudi del regno di Sicilia di quell’epoca.
In diversi punti il Mugnos tratta della terra di Canicattì; in primo luogo alla voce Palmerio del libro VI viene riportato l’atto del 1396 di redduzione della città di Naro alla giurisdizione di Re Martino che così recita:
”Item che il Castello di Canicattini lu quali, e di lu nobili Rodorico di Palmeri, e concesso ad altro, li sia restituito, e si alcuno pretende haviri lu preditto Castellu lu domandi per via di ragione”;
Rodrigo Palmeri viene indicato come uno dei primi baroni del suo tempo per la vastità dei suoi tenimenti.
La famiglia Palmeri viene pure indicata alla pagina 156 del libro VIII ove si narra del leggendario scontro tra Salvatore Palmeri ed il saraceno Mulè che fu all’origine della fortuna della famiglia, evento puntualmente riportato in ogni pubblicazione riguardante la terra di Canicattì.
In altro punto di questo passo si ricorda l’adesione del nobile Rodrigo Palmeri alla fazione anticatalana capeggiata da Manfredi ed Andrea Chiaramonte favorevole alla Casa d’Angiò.
L’autore narra che Gugliemo Moncada, Giustiziere del Regno, fissò al nobile Palmeri il termine ultimo di due mesi per “ritornare alla divozione regia, altrimenti s’intenda investuto della terra di Canigatti Salvatore Palmeri nipote di detto Rodorico, sicome sequit regante Federico tertio re di Sicilia, come avvenne per il tutto appare per privilegio spedito in Ragusa a quindici di febraro 1369”.
Alla pagina seguente si narra che da Salvatore la terra di Canicattì pervenne a Fulco di Palmeri e dopo la morte di detto Fulco ad Antonio Palmeri. Questi, non avendo figli, nel 1448 vendette per 250 onze d’oro il feudo al nipote Gio. Andrea de Crescenzio con l’obbligo tra gli altri di non rimuovere dal castello le armi dei Palmeri.
E’ presente un altro riferimento alla terra di Canicattì, ma con qualche incongruenza, nel libro 1° alla pagina 155 relativo alla famiglia Bonanni.
Ivi il Mugnos dice testualmente che:
“La terra di Canicattì fu anticamente di Luca Formosa cavalier agrigentino , il quale la perdé per aver aderito ai baroni ribelli e fu concessa dalla Regia Curia al predetto Fulco Palmeri, che gli successe suo figlio Antonino il quale la vendé al predetto Giov. Andrea Crescenzio” , (suo nipote acquisito poichè genero di Filippa Crispo e Palmeri sua sorella).
E’ costui che il 3 febbraio 1467 ottiene dal Vicerè, il marchese d’Urrea, la licenza populandi riguardante la nostra terra con gente sia regnicola che estera, e a ben ragione costui può considerarsi il fondatore della nostra comunità.
Ebbe due figliole maritate con due fratelli di casa Bonanno (il Mugnos riporta che ebbe una sola figlia): Raimonda che sposò Calogero e Bianca che sposò Girolamo. Morta Bianca senza eredi sua sorella ereditò il feudo di Canicattì e, maritali nomine, se ne investì il Bonanno: da allora, era il 1507, e sino al 1812 Canicattì sarà feudo della Casa Bonanno.
Ma chi erano i Bonanno?
Come riportano i vari testi di araldica, dal Mugnos, all’Inveges al Palazzolo Gravina ed altri, erano una ricca ed antica famiglia di origine pisana che venne portata in Sicilia da Giangiacomo e da Cesare, forse fratelli, che per i consueti dissapori tra diverse fazioni municipali, abbandonarono la loro città e si trasferirono i Sicilia. Per i servigi offerti a re Federico d’Aragona per i bisogni della guerra (dice il Mugnos accomodò a re Federico 2.000 fiorini durante la lunga controversia tra la casa d’Aragona e quella d’Angiò per la corona di Sicilia) , godettero dei favori della corona: in particolare Cesare si stabilì a Caltagirone che rimase a lungo sede della famiglia. Cominciò così il curriculum nobilitatis dei Bonanno che ricoprirono vari cariche dell’amministrazione regia; ma era necessario pure ampliare i rapporti sociali e la via più usuale per allargare la rete di relazioni da sempre è stata quella delle alleanze matrimoniali: i Bonanno si dimostrarono molto attenti all’uso di questo istituto utilizzato sia come mezzo di arricchimento e di consolidamento del potere raggiunto che di accesso ad altri titoli nobiliari.
Ritorniamo a Calogero Bonannno dalla cui unione con la De Crescenzio nacque Filippo; costui ancora bambino rimase orfano, la madre si risposò con il nobile Angelo Lucchesi da Naro che si comportò da autentico patrigno per i molteplici ostacoli che frappose al Bonanno nella successione feudale.
Il Mugnos afferma che nel 1554 Filippo ottenne l’investitura e fu Cavaliere assai spiritoso . Egli sposò Eleonora Platamone da Siracusa, di antica famiglia napoletana, da cui ebbe Giovanbattista che gli successe nel 1555; questi aveva sposato nello stesso anno Isabella Rocca di stirpe aragonese.
Nel 1597 troviamo signore di Canicattì Filippo II° sposo di Antonia Colonna, discendente del ramo di Sicilia della grande famiglia romana, principessa di Montalbano titolo che da allora restò in casa Bonanno. Fu costui nel 1613 edificò la chiesa ed il Convento di San Domenico.
Suo successore fu nel 1619 Giacomo che ottenne la baronia di Canicattì pro nuptias. Alla morte della madre venne creato dal re di Spagna duca di Montalbano.
Persona colta fu letterato di grande pregio, valente studioso, mecenate autentico; scrisse anche una storia della sua città natale Siracusa.
E’ a lui che si deve la nuova fondazione del nostro paese che adornò di edifici pubblici, fondo l’ospedale dei poveri che dotò di adeguata rendita, aprì una bella passeggiata sulla via per Naro, innalzò le tre monumentali fontane ricche di statue pregiate di cui non rimane più alcuna memoria per l’incuria perseverante dei nostri amministratori. Si tratta delle fontane dell’acquanova, della piazza grande e di Borgalino.
Sposò in prime nozze Antonia Balsamo, di famiglia di origine lombarda, figlia unica del principe di Roccafiorita e marchese di Limina, donna religiosissima che curò la costruzione del monastero di Santa Maria di Gesù; la loro unione fu resa feconda dalla nascita di almeno sette figli.
Vedovo si risposò con Innocenza Marchisano da cui non ebbe figli. Muore nel 1636 probabilmente a Canicattì (non esiste registro dell’epoca) dove nel dicembre aveva dettato le sue ultime volontà al notaio Gaspare Monteleone.
Nel suo testamento vengono indicati tutti i suoi figli:
Filippo il primogenito sposo di Anna Maria Crisafi, messinese discendente da Giorgio Maniace,
Pietro, primo principe di Roccafiorita e barone di Castellamare che non ebbe discendenza dalla sua unione con Violante Notarbartolo,
Maria, sposa di Nicola Giuseppe Montaperto,
seguono le sue figliole monache benedettine professe a Naro nel monastero del S. Salvatore: Giacoma Maria, in seculo vocata Lucrezia, Vittoria Maria, in seculo vocata Francesca, Antonia Maria, in seculo vocata Camilla.
Ritengo opportuno soffermarmi su tale documento oggi conservato presso l’archivio di Stato di Agrigento che ci permette di entrare in alcuni spazi privati del personaggio.
Lo stato di conservazione del documento è ottimale e consente una buona lettura anche in presenza di un gran numero di abbreviazioni.
Il testo segue il consueto formulario dell’epoca ove il notaio rogante attesta la volontà del testatore a letto infermo ma sano di mente e di ferma loquela.
Dopo aver raccomandato la sua anima al Sommo ed Immortale Dio, alla Vergine , ai santi Pietro e Paolo ed al suo san Giacomo inizia a dettare le sue disposizioni che riguardano primariamente il suo funerale.
Il duca ordina che nel giorno di sua morte dovrà essere sepolto nel venerabile convento dei minori osservanti di s.Francesco nella erigenda cappella maggiore, ordina inoltre che vi sia trasportato dalla chiesa del convento del Carmine il corpo di sua moglie Donna Antonia e, testualmente, farsi un tabuto e ponerci di dentro tutti li dui cadaveri: il proprio doveva essere denudato di ogni veste. Stabilisce un legato a favore del predetto convento di onze 100 a suffragio della sua anima per la remissione ed il perdono dei suo peccati. Lega al convento di San Domenico onze 300 e stabilisce che vi sia trasportato, da Siracusa ove era morto, il cadavere di suo padre D. Filippo e che venga deposto nella cappella maggiore della chiesa di detto convento lasciando un altro legato di 200 onze per l’erezione di un cappellone . Al venerabile convento di San Francesco lega la somma di onze 40 per l’erezione del campanile.
Quindi istituisce suo erede universale il nipote Giacomo Bonanno e Crisafi figlio del primogenito Filippo e in caso in cui tale successione non avvenga dovranno succedergli gli altri nipoti Agesilao e Giovan Battista e comunque i figli maschi nati da suo figlio Filippo.
Stabilisce che sia suo successore in tutti i suoi titoli e stati il figlio primogenito Filippo. Assegna a tutti i suoi figli la quota di legittima secondo precedenti donazioni; a suo moglie Innocenza lega 336 onze ed una rendita annua di 600 scudi alcuni immobili, terreni, due schiavi negri, due muli di carro a sua scelta, 45 piatti d’argento da poter usare durante la sua vita da vedova, un paviglione di damasco turchino con suo giraletto; nel testo dichiara di non aver voluto e ricevuto alcuna mobilia dalla sposa di cui la stessa ritornerà a disporre.
Lega all’università di Canicattì la somma, enorme per l’epoca, di 5.000 scudi pari a 2.000 onze per acquistare una rendita che assicuri un interesse del 5%,
come pure lega alla terra di Montalbano 300 scudi, per le necessità del popolo di quella terra.
Seguono poi una serie di legati o remissione di debiti a personaggi legati alla sua casa:
Vincenzo Xibilia da Siracusa, Francesco Marino alias Roccaro, Matteo Ferraro, Salvatore Gambino, agli eredi Giuseppe Gazzetta, Marco Russo da Naro. Cospicuo il lascito al suo creato Giovanni Lauria 40 onze, una casa, 3 pezzi d’oro della sua cintura ed un vestito. Sono pure suoi legatari Francesco Incardona da Ravanusa, Francesca Buscarello, Girolamo Carbone; al suo paggio Filippo Caracciolo lascia 10 onze, a Vittoria Gazzetta, tenuta a Battesimo da suo figlio Vittorio, 20 onze come pure a Mariano Buscarello. A sua nora Crisafi un paro di braccialetti di diamante, al figlio primogenito la sua armeria, alla figlia Montaperto una baversa di cristalli e coralli con indulgenza ed al genero una catena d’oro.
Ricorda pure il collegio di santa Maria di Ravanusa con 10 onze e quello di Montalbano con 30 onze.
Come indicato del nonno a capo della casa subentrò Giacomo II° . E’ lui che fonda intorno al 1662 il monastero dei santi Filippo e Giacomo stanziando la somma di 10.000 ducati per la costituzione di una rendita necessaria alla edificazione della fabbrica. Sposò Francesca Marini di famiglia di origine genovese.
Da questo matrimonio nacque Filippo III° che successe al padre nel 1665.
Egli sposò Rosalia Bosco figlia di Francesco e di Tommasa Gomez de Sandoval nipote del viceré di Sicilia Rodrigo. Questo matrimonio fu importantissimo perché consacrò l’ascesa della famiglia Bonanno che così raggiunse i più alti onori e le prime cariche del regno. Fu il primo principe della Cattolica 17° titolo del regno.
Le cure di stato e la necessità di soggiornare a Palermo gli impedirono di occuparsi dei suoi feudi lontani e quindi anche di Canicattì ed essendo sempre più assente rimase assolutamente ignaro delle necessità dei suoi vassalli.
Proseguendo nella successione dei signori di Canicattì incontriamo Francesco Bonanno signore dal 1711, sposo di Anna Maria Filangeri, di notevole famiglia di origine normanna. Fu cavaliere del Toson d’Oro e annoverato fra i Grandi di Spagna, ambasciatore presso Amedeo di Savoia e Pretore di Palermo; morì nel 1734.
A lui successe nel 1740 Giuseppe le cui nozze con Giustina Borromeo, nobile milanese, sono descritte nei diari del Villabianca che rimase impressionato dallo enorme sfarzo profuso; tale matrimonio era destinato a durare sole sei anni a causa della prematura morte della principessa. Giuseppe I° si risposò con Maria Teresa Caracciolo.
Alla sua morte avvenuta nel 1781 gli successe il figlio Francesco Antonio sposo di Caterina Branciforte figlia del principe di Butera di antichissima famiglia risalente ai tempi di Carlo Magno.
Nel 1798 fu investito nei titoli di casa Bonanno Giuseppe II° sposo di Teresa Moncada figlia del principe di Paternò, anch’essa di antico lignaggio, famiglia catalana discendente dai Duchi di Baviera.
Costui è l’ultimo barone di Canicattì.
Sua moglie nel 1818 concesse in enfiteusi perpetua lo stato di Canicattì a Gabriele Chiaramonte Bordonaro ma il titolo di barone di Canicattì rimase in Casa Bonanno e fu ereditato dagli ultimi membri di tale famiglia: da Francesco Bonanno e Moncada ed infine da Giuseppe Bonanno, capitano generale morto assassinato nella rivoluzione del 1820 a Palermo: con lui si estinsero i principi della Cattolica.
Da questa famiglia trasse origine la linea dei duchi di Castellana estinta nella metà del 700.
Esistono diversi rami di questa nobile famiglia tra cui quello dei principi di Linguaglossa, che trae origine dal primo Giovan Battista menzionato.
Le origini della terra di Canicattì sono incerte e mancano riscontri documentali.
Nel XII secolo il geografo arabo Edrisi menziona il fortilizio di Al Qatta che alcuni individuano come la futura Canicattì. E’ certo comunque che la terra di Canicattì ricadesse nella giurisdizione della città demaniale di Naro.
Qui esisteva uno dei tanti casali di cui allora era ricca tutta la zona. Pare che questa terra, eretta in feudo, fosse data in concessione alla nobile famiglia Palmeri, militi naritani, di antica stirpe inglese legata agli Altavilla.
In relazione alle notizie più antiche dei signori di Canicattì e’ opportuno precisare che tutti coloro i quali si sono soffermati in epoche diverse su tale argomento hanno attinto in maniera più o meno discreta al più famoso “Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte” relativo alle famiglie nobili siciliane di cui e’ autore Filadelfio Mugnos, instancabile ricercatore di questioni araldiche e genealogiche: questa opera e’ rimasta per alcuni secoli un riferimento obbligato per genealogisti e storici della Sicilia.
E’ un trattato pubblicato a Palermo nel 1647 con riferimenti documentali precisi che, pur con qualche inesattezza, rimane in massima parte attendibile ai fini di appurare i legami parentali tra le diverse famiglie del ceto aristocratico ed al fine di percorre la successione nei titoli e nei feudi del regno di Sicilia di quell’epoca.
In diversi punti il Mugnos tratta della terra di Canicattì; in primo luogo alla voce Palmerio del libro VI viene riportato l’atto del 1396 di redduzione della città di Naro alla giurisdizione di Re Martino che così recita:
”Item che il Castello di Canicattini lu quali, e di lu nobili Rodorico di Palmeri, e concesso ad altro, li sia restituito, e si alcuno pretende haviri lu preditto Castellu lu domandi per via di ragione”;
Rodrigo Palmeri viene indicato come uno dei primi baroni del suo tempo per la vastità dei suoi tenimenti.
La famiglia Palmeri viene pure indicata alla pagina 156 del libro VIII ove si narra del leggendario scontro tra Salvatore Palmeri ed il saraceno Mulè che fu all’origine della fortuna della famiglia, evento puntualmente riportato in ogni pubblicazione riguardante la terra di Canicattì.
In altro punto di questo passo si ricorda l’adesione del nobile Rodrigo Palmeri alla fazione anticatalana capeggiata da Manfredi ed Andrea Chiaramonte favorevole alla Casa d’Angiò.
L’autore narra che Gugliemo Moncada, Giustiziere del Regno, fissò al nobile Palmeri il termine ultimo di due mesi per “ritornare alla divozione regia, altrimenti s’intenda investuto della terra di Canigatti Salvatore Palmeri nipote di detto Rodorico, sicome sequit regante Federico tertio re di Sicilia, come avvenne per il tutto appare per privilegio spedito in Ragusa a quindici di febraro 1369”.
Alla pagina seguente si narra che da Salvatore la terra di Canicattì pervenne a Fulco di Palmeri e dopo la morte di detto Fulco ad Antonio Palmeri. Questi, non avendo figli, nel 1448 vendette per 250 onze d’oro il feudo al nipote Gio. Andrea de Crescenzio con l’obbligo tra gli altri di non rimuovere dal castello le armi dei Palmeri.
E’ presente un altro riferimento alla terra di Canicattì, ma con qualche incongruenza, nel libro 1° alla pagina 155 relativo alla famiglia Bonanni.
Ivi il Mugnos dice testualmente che:
“La terra di Canicattì fu anticamente di Luca Formosa cavalier agrigentino , il quale la perdé per aver aderito ai baroni ribelli e fu concessa dalla Regia Curia al predetto Fulco Palmeri, che gli successe suo figlio Antonino il quale la vendé al predetto Giov. Andrea Crescenzio” , (suo nipote acquisito poichè genero di Filippa Crispo e Palmeri sua sorella).
E’ costui che il 3 febbraio 1467 ottiene dal Vicerè, il marchese d’Urrea, la licenza populandi riguardante la nostra terra con gente sia regnicola che estera, e a ben ragione costui può considerarsi il fondatore della nostra comunità.
Ebbe due figliole maritate con due fratelli di casa Bonanno (il Mugnos riporta che ebbe una sola figlia): Raimonda che sposò Calogero e Bianca che sposò Girolamo. Morta Bianca senza eredi sua sorella ereditò il feudo di Canicattì e, maritali nomine, se ne investì il Bonanno: da allora, era il 1507, e sino al 1812 Canicattì sarà feudo della Casa Bonanno.
Ma chi erano i Bonanno?
Come riportano i vari testi di araldica, dal Mugnos, all’Inveges al Palazzolo Gravina ed altri, erano una ricca ed antica famiglia di origine pisana che venne portata in Sicilia da Giangiacomo e da Cesare, forse fratelli, che per i consueti dissapori tra diverse fazioni municipali, abbandonarono la loro città e si trasferirono i Sicilia. Per i servigi offerti a re Federico d’Aragona per i bisogni della guerra (dice il Mugnos accomodò a re Federico 2.000 fiorini durante la lunga controversia tra la casa d’Aragona e quella d’Angiò per la corona di Sicilia) , godettero dei favori della corona: in particolare Cesare si stabilì a Caltagirone che rimase a lungo sede della famiglia. Cominciò così il curriculum nobilitatis dei Bonanno che ricoprirono vari cariche dell’amministrazione regia; ma era necessario pure ampliare i rapporti sociali e la via più usuale per allargare la rete di relazioni da sempre è stata quella delle alleanze matrimoniali: i Bonanno si dimostrarono molto attenti all’uso di questo istituto utilizzato sia come mezzo di arricchimento e di consolidamento del potere raggiunto che di accesso ad altri titoli nobiliari.
Ritorniamo a Calogero Bonannno dalla cui unione con la De Crescenzio nacque Filippo; costui ancora bambino rimase orfano, la madre si risposò con il nobile Angelo Lucchesi da Naro che si comportò da autentico patrigno per i molteplici ostacoli che frappose al Bonanno nella successione feudale.
Il Mugnos afferma che nel 1554 Filippo ottenne l’investitura e fu Cavaliere assai spiritoso . Egli sposò Eleonora Platamone da Siracusa, di antica famiglia napoletana, da cui ebbe Giovanbattista che gli successe nel 1555; questi aveva sposato nello stesso anno Isabella Rocca di stirpe aragonese.
Nel 1597 troviamo signore di Canicattì Filippo II° sposo di Antonia Colonna, discendente del ramo di Sicilia della grande famiglia romana, principessa di Montalbano titolo che da allora restò in casa Bonanno. Fu costui nel 1613 edificò la chiesa ed il Convento di San Domenico.
Suo successore fu nel 1619 Giacomo che ottenne la baronia di Canicattì pro nuptias. Alla morte della madre venne creato dal re di Spagna duca di Montalbano.
Persona colta fu letterato di grande pregio, valente studioso, mecenate autentico; scrisse anche una storia della sua città natale Siracusa.
E’ a lui che si deve la nuova fondazione del nostro paese che adornò di edifici pubblici, fondo l’ospedale dei poveri che dotò di adeguata rendita, aprì una bella passeggiata sulla via per Naro, innalzò le tre monumentali fontane ricche di statue pregiate di cui non rimane più alcuna memoria per l’incuria perseverante dei nostri amministratori. Si tratta delle fontane dell’acquanova, della piazza grande e di Borgalino.
Sposò in prime nozze Antonia Balsamo, di famiglia di origine lombarda, figlia unica del principe di Roccafiorita e marchese di Limina, donna religiosissima che curò la costruzione del monastero di Santa Maria di Gesù; la loro unione fu resa feconda dalla nascita di almeno sette figli.
Vedovo si risposò con Innocenza Marchisano da cui non ebbe figli. Muore nel 1636 probabilmente a Canicattì (non esiste registro dell’epoca) dove nel dicembre aveva dettato le sue ultime volontà al notaio Gaspare Monteleone.
Nel suo testamento vengono indicati tutti i suoi figli:
Filippo il primogenito sposo di Anna Maria Crisafi, messinese discendente da Giorgio Maniace,
Pietro, primo principe di Roccafiorita e barone di Castellamare che non ebbe discendenza dalla sua unione con Violante Notarbartolo,
Maria, sposa di Nicola Giuseppe Montaperto,
seguono le sue figliole monache benedettine professe a Naro nel monastero del S. Salvatore: Giacoma Maria, in seculo vocata Lucrezia, Vittoria Maria, in seculo vocata Francesca, Antonia Maria, in seculo vocata Camilla.
Ritengo opportuno soffermarmi su tale documento oggi conservato presso l’archivio di Stato di Agrigento che ci permette di entrare in alcuni spazi privati del personaggio.
Lo stato di conservazione del documento è ottimale e consente una buona lettura anche in presenza di un gran numero di abbreviazioni.
Il testo segue il consueto formulario dell’epoca ove il notaio rogante attesta la volontà del testatore a letto infermo ma sano di mente e di ferma loquela.
Dopo aver raccomandato la sua anima al Sommo ed Immortale Dio, alla Vergine , ai santi Pietro e Paolo ed al suo san Giacomo inizia a dettare le sue disposizioni che riguardano primariamente il suo funerale.
Il duca ordina che nel giorno di sua morte dovrà essere sepolto nel venerabile convento dei minori osservanti di s.Francesco nella erigenda cappella maggiore, ordina inoltre che vi sia trasportato dalla chiesa del convento del Carmine il corpo di sua moglie Donna Antonia e, testualmente, farsi un tabuto e ponerci di dentro tutti li dui cadaveri: il proprio doveva essere denudato di ogni veste. Stabilisce un legato a favore del predetto convento di onze 100 a suffragio della sua anima per la remissione ed il perdono dei suo peccati. Lega al convento di San Domenico onze 300 e stabilisce che vi sia trasportato, da Siracusa ove era morto, il cadavere di suo padre D. Filippo e che venga deposto nella cappella maggiore della chiesa di detto convento lasciando un altro legato di 200 onze per l’erezione di un cappellone . Al venerabile convento di San Francesco lega la somma di onze 40 per l’erezione del campanile.
Quindi istituisce suo erede universale il nipote Giacomo Bonanno e Crisafi figlio del primogenito Filippo e in caso in cui tale successione non avvenga dovranno succedergli gli altri nipoti Agesilao e Giovan Battista e comunque i figli maschi nati da suo figlio Filippo.
Stabilisce che sia suo successore in tutti i suoi titoli e stati il figlio primogenito Filippo. Assegna a tutti i suoi figli la quota di legittima secondo precedenti donazioni; a suo moglie Innocenza lega 336 onze ed una rendita annua di 600 scudi alcuni immobili, terreni, due schiavi negri, due muli di carro a sua scelta, 45 piatti d’argento da poter usare durante la sua vita da vedova, un paviglione di damasco turchino con suo giraletto; nel testo dichiara di non aver voluto e ricevuto alcuna mobilia dalla sposa di cui la stessa ritornerà a disporre.
Lega all’università di Canicattì la somma, enorme per l’epoca, di 5.000 scudi pari a 2.000 onze per acquistare una rendita che assicuri un interesse del 5%,
come pure lega alla terra di Montalbano 300 scudi, per le necessità del popolo di quella terra.
Seguono poi una serie di legati o remissione di debiti a personaggi legati alla sua casa:
Vincenzo Xibilia da Siracusa, Francesco Marino alias Roccaro, Matteo Ferraro, Salvatore Gambino, agli eredi Giuseppe Gazzetta, Marco Russo da Naro. Cospicuo il lascito al suo creato Giovanni Lauria 40 onze, una casa, 3 pezzi d’oro della sua cintura ed un vestito. Sono pure suoi legatari Francesco Incardona da Ravanusa, Francesca Buscarello, Girolamo Carbone; al suo paggio Filippo Caracciolo lascia 10 onze, a Vittoria Gazzetta, tenuta a Battesimo da suo figlio Vittorio, 20 onze come pure a Mariano Buscarello. A sua nora Crisafi un paro di braccialetti di diamante, al figlio primogenito la sua armeria, alla figlia Montaperto una baversa di cristalli e coralli con indulgenza ed al genero una catena d’oro.
Ricorda pure il collegio di santa Maria di Ravanusa con 10 onze e quello di Montalbano con 30 onze.
Come indicato del nonno a capo della casa subentrò Giacomo II° . E’ lui che fonda intorno al 1662 il monastero dei santi Filippo e Giacomo stanziando la somma di 10.000 ducati per la costituzione di una rendita necessaria alla edificazione della fabbrica. Sposò Francesca Marini di famiglia di origine genovese.
Da questo matrimonio nacque Filippo III° che successe al padre nel 1665.
Egli sposò Rosalia Bosco figlia di Francesco e di Tommasa Gomez de Sandoval nipote del viceré di Sicilia Rodrigo. Questo matrimonio fu importantissimo perché consacrò l’ascesa della famiglia Bonanno che così raggiunse i più alti onori e le prime cariche del regno. Fu il primo principe della Cattolica 17° titolo del regno.
Le cure di stato e la necessità di soggiornare a Palermo gli impedirono di occuparsi dei suoi feudi lontani e quindi anche di Canicattì ed essendo sempre più assente rimase assolutamente ignaro delle necessità dei suoi vassalli.
Proseguendo nella successione dei signori di Canicattì incontriamo Francesco Bonanno signore dal 1711, sposo di Anna Maria Filangeri, di notevole famiglia di origine normanna. Fu cavaliere del Toson d’Oro e annoverato fra i Grandi di Spagna, ambasciatore presso Amedeo di Savoia e Pretore di Palermo; morì nel 1734.
A lui successe nel 1740 Giuseppe le cui nozze con Giustina Borromeo, nobile milanese, sono descritte nei diari del Villabianca che rimase impressionato dallo enorme sfarzo profuso; tale matrimonio era destinato a durare sole sei anni a causa della prematura morte della principessa. Giuseppe I° si risposò con Maria Teresa Caracciolo.
Alla sua morte avvenuta nel 1781 gli successe il figlio Francesco Antonio sposo di Caterina Branciforte figlia del principe di Butera di antichissima famiglia risalente ai tempi di Carlo Magno.
Nel 1798 fu investito nei titoli di casa Bonanno Giuseppe II° sposo di Teresa Moncada figlia del principe di Paternò, anch’essa di antico lignaggio, famiglia catalana discendente dai Duchi di Baviera.
Costui è l’ultimo barone di Canicattì.
Sua moglie nel 1818 concesse in enfiteusi perpetua lo stato di Canicattì a Gabriele Chiaramonte Bordonaro ma il titolo di barone di Canicattì rimase in Casa Bonanno e fu ereditato dagli ultimi membri di tale famiglia: da Francesco Bonanno e Moncada ed infine da Giuseppe Bonanno, capitano generale morto assassinato nella rivoluzione del 1820 a Palermo: con lui si estinsero i principi della Cattolica.
Da questa famiglia trasse origine la linea dei duchi di Castellana estinta nella metà del 700.
Esistono diversi rami di questa nobile famiglia tra cui quello dei principi di Linguaglossa, che trae origine dal primo Giovan Battista menzionato.
Piero Napoli
Intervento svolto dal dott. Piero Napoli al Circolo di Compagnia di Canicattì, il 17 ottobre 2009, in occasione della “Visita della Sezione Sicilia dell’Istituto Italiano dei Castelli ”.
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