GIOVANNI TESE', "Riflessioni e considerazioni" (Prefazione a "Caleidoscopio canicattinese" di G. Augello)

Il crescente interesse per la storia locale ed il sempre più vivo e diffuso affetto per i luoghi nativi inducono gli appassionati di scrittura a porre in essere pubblicazioni interessanti e talvolta anche degne di notevoli apprezzamenti. Tuttavia per chi scrive la storia del proprio paese, e sono in tanti, il rischio maggiore è quello di rimanere intrappolati nelle maglie della retorica e del campanilismo poiché il più delle volte si mira ad esaltare prevalentemente, spesso anche giustamente, le glorie paesane a partire dagli uomini ritenuti più importanti e illustri per finire con la rappresentazione di fatti eccezionali e sensazionali. Ne consegue che così facendo, ovvero perdendo di vista l’orientamento e i parametri propri dell’indagine storica, il confine tra fantasia e realtà, tra verità e ricostruzioni arbitrarie diventa sempre più esile fino ad annullarsi del tutto. In tal caso ogni sforzo e ogni buona intenzione di rendere gli avvenimenti del passato, ovviamente se storicamente fondati, capaci di contribuire a comprendere meglio il presente e progettare in modo illuminato l’avvenire non solo viene compromesso ma addirittura vanificato. Caleidoscopio Canicattinese di Gaetano Augello, invece, non solo non è una delle tante storie o raccolta di racconti grondanti retorica a supporto di immaginarie glorie paesane frutto di mera generosità, seppur sempre encomiabili per la propria terra, ma rappresenta, partendo dalla storia locale, intesa anche e soprattutto come scienza sociale, un contributo serio, obiettivo, documentato con metodo storico, indispensabile oltre che alla historia globale e anche alle altre scienze sociali.

    Con una poderosa e considerevole silloge di saggi brevi, mémoires, biografie e racconti presentati organicamente sia dal punto di vista cronologico che contenutistico e con un’appendice di grande rilevanza sociale, politica, culturale sociologica e religiosa, l’Autore ci offre un prezioso studio dedicato alla storia della comunità canicattinese e del suo hinterland fornendo una tale quantità di notizie, dati e indicazioni storicamente documentate e che sicuramente andranno ad arricchire «lo scrigno della memoria e della storia locale» di un popolo attivo e laborioso e al tempo stesso contribuiranno ad ampliare il patrimonio storico generale passando così dal locale al globale in un continuo, costruttivo e proficuo rapporto dialettico.

    I moltissimi racconti brevi (la maggior parte dei quali inediti) recano una precisa collocazione nell’ambiente geografico, economico, sociale e demo-etnoantropologico di Canicattì; sono improntati a un lessico e a una sintassi chiari e agili, gradevolmente e volutamente asciutti ed essenziali; giocati talvolta tra il serio e il faceto, e per questo anche ironici e amari; più che ai facili moralismi mirano a suscitare nel lettore curiosità, interesse e riflessioni.

    L’Autore riesce a rievocare, ovviamente nelle linee essenziali, oltre quattro secoli di fatti e circostanze realmente accaduti a Canicattì e in alcuni centri vicini; dal Seicento ai nostri giorni. Al tempo stesso concorre a contestualizzare le altre storie locali, senza mai perdere di vista gli aspetti politico-culturali, scientifico-conoscitivi e didattici, nella storia generale e ciò con dovizia di fatti e particolari verificati. 

    Invero siamo di fronte a una complessa unità polifonica. Ed infatti, pur nella diversità di ogni singola “voce” che incarna di volta in volta posizioni ideali che sembra si escludano a vicenda ma in realtà si completano dando vita a un unico corpo: un caleidoscopio.

    Nell’opera di Augello, se per un verso appare chiaro ed evidente l’interesse per la storia del proprio luogo e del relativo patrimonio culturale e artistico, per un altro vediamo anche emergere quel naturale interesse umano a salvaguardare, almeno nella memoria, quelle realtà di rapporti sociali e di reti di solidarietà interpersonali che oggi più che mai rischiano di dissolversi nell’indifferenza e nell’oblio. Una preoccupazione, questa, che nasce dal fondato timore del rischio di vedere infrangere nel nulla tanta parte della nostra memoria e della nostra stessa identità collettiva. Anche per questo l’Autore ha affrontato lo studio della sua comunità, dei suoi abitanti e delle relative attività a tutto campo e svolto ogni possibile indagine a trecentosessanta gradi e sempre in modo globale. La narrazione di Gaetano Augello progredisce avvalendosi dell’entrelacement, ovvero intrecciando le storie di una moltitudine di esseri umani vissuti nel tempo nel territorio di Canicattì e dei paesi limitrofi. Sicuramente, da una più precisa analisi dell’opera affiora anche, direttamente o in filigrana, un’attenzione volta alla lettura dei fenomeni dai più semplici ai più significativi dell’umana esistenza: la vita, l’essere, il tempo, l’eternità, la morte, la fugacità, il nulla, e poi ancora la ricchezza, la povertà, la noia, la stanchezza, l’angoscia, lo scetticismo, lo stupore, lo smarrimento, il dramma, la gioia, la dignità, l’onore, l’odio, la gelosia, il rancore, l’indifferenza, la sincerità, l’innocenza, la libertà, la bellezza, l’amore, ossia il tutto in cui la persona umana resta sempre il punto di partenza e di arrivo nonché il centro d’interesse fondamentale. L’uomo e l’esistenza umana, dunque, ben possono rappresentare a pieno titolo il denominatore comune, il fil rouge dell’opera che l’Autore ci offre nel suo complesso. Un testo deliberatamente polifonico. 

    Una molteplicità, pertanto, di luci e di ombre, di volti, immagini, toni, colori, opere d’arte, avvenimenti della nostra vita che ogni lettore potrà vedere anche attraverso il proprio caleidoscopio. Sì, perché ogni cosa, ogni avvenimento potrà assumere una fisionomia diversa a seconda del caleidoscopio con cui si osserva e di come si gira. Invero questo straordinario e affascinante oggetto, consistente in un tubo al cui interno sono posti longitudinalmente due o più specchi riflettenti frammenti di vetro o piccoli oggetti colorati, consente, facendolo ruotare, di generare immagini o metaforicamente anche gli avvenimenti della nostra vita sempre diversi e ciò in dipendenza sia della raffinatezza e qualità dell’oggetto, degli specchi che contiene, dei frammenti di vetro e oggetti colorati in esso incorporati e sia dalla velocità di rotazione e dal punto di osservazione che di volta in volta si potrà scegliere. 

    Interessanti le diverse considerazioni al riguardo.  Secondo il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer: «Gli avvenimenti della nostra vita sono come le immagini del caleidoscopio nel quale a ogni giro vediamo una cosa diversa, mentre in fondo abbiamo davanti agli occhi sempre la stessa». Diverso il pensiero della docente universitaria di Economia e direttrice della Harvard University Advanced Leadership Initiative Rosabeth Moss Kanter, la prima a parlare di «pensiero caleidoscopico», la quale sostiene che le diverse immagini che si possono vedere dal caleidoscopio dipendono dalla nostra visione della realtà. «Non è la realtà che è fissa, ma la nostra visione della realtà» afferma Rosabeth Moss, aggiungendo che: «È importante imparare a vedere nuove possibilità». Si deduce, pertanto, che il “pensiero caleidoscopico” consente di stimolare la nostra immaginazione, ampliare la visione della realtà e generare idee e soluzioni nuove. 

    Anche alla luce di queste osservazioni, seppur diverse tra loro, ci sembra che il titolo dato dall’Autore alla sua opera risulta oltremodo appropriato ed eloquente.

    Tantissime sono le opere di alto valore storico, sociale e letterario che Gaetano Augello ha scritto e pubblicato per la sua terra e per la sua comunità. Mi limiterò a ricordarne in particolare due: Canicattì la storia e le tradizioni (Edizioni Cerrito, 2010) e Canicattì in 138 pillole (Edizioni Cerrito, 2018). Due volumi ricchi di storia, arte, religione, folklore, politica, economia, espressioni e termini dialettali e soprattutto ove al centro viene sempre posta la persona umana e la comunità con le sue peculiarità, la sua anima, il suo DNA, la sua identità. In particolare il secondo appena ricordato con i suoi micro saggi e racconti storici riportati dall’Autore ben può rappresentare l’antesignano, per genere e per contenuti, di Caleidoscopio Canicattinese. Moltissimi sono gli scrittori che hanno fatto ricorso al genere del racconto breve e che, riunendo i propri scritti all’interno di raccolte, hanno dato vita a opere di notevole importanza storica e letteraria. Giova ricordare a tal riguardo, solo per citarne alcune, penne del calibro di Giovanni Verga, Grazia Deledda, Italo Svevo, Primo Levi, Alberto Moravia, Dino Buzzati e Julio Cortázar divenuti autentici maestri di questo genere letterario. Gaetano Augello è riuscito magistralmente a riunire i suoi scritti in una importante opera destinata sicuramente a diventare imprescindibile riferimento sia per storici, sociologi, politici, economisti, studiosi, studenti e sia per semplici appassionati lettori della storia della propria comunità.

    I saggi e i racconti proposti, per brevità, significazione, intensità, tensione e registro linguistico adottato, destano immediatamente un forte interesse ed un inevitabile invito allo studio, alla ricerca, alla riflessione. È proprio il caso di dire che questi scritti e racconti storici sono il più delle volte come le ciliegie, una tira l’altra; in essi l’affascinante e seducente invito alla lettura si manifesta sin dalle prime pagine. “Narrasi di un matrimonio oretenus nella Canicattì di fine Settecento” è il titolo del primo racconto; «Ove fallirono i manzoniani Lucia e Renzo colpirono magnificamente i canicattinesi Rosa e Francesco» ne è il relativo incipit. Risulta agevole dedurre, ictu oculi, che sarebbe veramente difficile sottrarsi alla lettura di quanto l’Autore vi propone ai lettori: la lettura segue naturalmente e scorre piacevolmente, l’approccio è straordinario. Possiamo dire che il libro si apre facendo ricorso alla memoria. Una storia d’altri tempi accaduta il 29 ottobre 1795 a Canicattì, «un borgo situato nell’immaginario collettivo oltre le mitiche colonne d’Ercole superate unicamente dall’Ulisse dantesco», così scrive l’Autore, e s’impernia attorno alle figure di Rosa Noto e don Francesco Cupani che riportano immediatamente ed inevitabilmente alla memoria la celeberrima e analoga storia, ovviamente solo per alcuni aspetti, di Lucia Mondella e di Renzo Tramaglino protagonisti dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Quella proposta da Augello è arricchita da una straordinaria sequenza di notizie che, oltre a rendere interessante la vicenda, consentono al lettore di comprendere usi e consuetudini che il passare del tempo ha fortemente affievolito anche se ancora oggi se ne sentono, seppur lontani e tenui, gli echi e gli effetti. 

    Sempre Alessandro Manzoni, considerato uno dei padri della letteratura italiana e del romanzo storico in particolare, offre sicuramente al nostro Autore l’idea di iniziare sostanzialmente il suo percorso narrativo rappresentando il ritrovamento di un manoscritto anonimo del Seicento che sarà la fonte principale per gran parte dell’opera. E se per Manzoni tale ritrovamento costituì un espediente letterario con lo scopo di conferire veridicità e indurre a credere che le vicende narrate nei Promessi Sposi non siano state frutto di invenzione ma realmente accadute e pertanto supportate da un’autentica origine storica, per Augello, invece, il manoscritto anonimo non è un espediente letterario, bensì un fatto reale.

    A tal fine, con puntuale e particolareggiata ricostruzione dal titolo “Cronacadi un anonimo canicattinese”, l’Autore offre al lettore sia la genesi e i contenuti in generale del manoscritto anonimo da cui ha tratto ben sessant’anni di storie canicattinesi, e sia le relative chiavi di lettura. Ecco di seguito, limitandolo ovviamente all’essenziale, quanto Augello testualmente scrive:

“Preziose e dettagliate notizie sulla città di Canicattì ci sono giunte grazie a un diario – che possiamo definire Cronaca – redatto da un anonimo canicattinese. L’autore narra, con dovizia di particolari, i fatti, a suo giudizio più significativi, accaduti nella cittadina tra il 1792 e il 1852. Nella narrazione, tuttavia, prevale la quotidianità: il succedersi delle stagioni; il variare delle condizioni meteorologiche; l’alternarsi di eccessiva piovosità e di lunghi periodi di siccità; l’affanno dei contadini con conseguenti preghiere e affollate – di fedeli e di statue di santi – processioni; le nascite, le morti, i matrimoni con gli immancabili propedeutici “capitoli”; gli adulteri, le pubbliche esecuzioni capitali e quelle private. L’estensore del ponderoso diario potrebbe essere un uomo di chiesa, dal momento che inizia ogni pagina con il monogramma G.M.G. (Gesù Maria Giuseppe) sormontato da una croce”.

    A seguire e sempre nello stesso saggio vengono narrate le vicende successive del manoscritto e ciò fino ai nostri giorni. 

    La narrazione vera e propria dell’opera di genere prevalentemente saggistico e narrativo, ma che comunque va oltre i generi letterari dominanti, spesso modificati e mescolati, comincia con un cenno biografico dedicato a Giacomo I Bonanno Colonna, uomo di grande saggezza e dirittura morale, signore illuminato di Canicattì che, come ricorda l’Autore, l’8 giugno 1619 «ottenne l’investitura di barone di Canicattì e Ravanusa» e che diede «particolare lustro alla città nella vita economica, nell’assetto urbanistico e nella realizzazione di chiese e monumenti di particolare pregio artistico». Le pagine che seguono si presentano tutte decisamente interessanti, coinvolgenti, ampiamente documentate e conseguentemente capaci di catturare l’attenzione, consentendo al lettore di registrare al meglio le cose lette, di operare raffronti, di realizzare schemi e immagini, di comprendere le ragioni dei protagonisti, di mettere a fuoco le situazioni storico-ambientali e soprattutto di organizzare autonomamente percorsi di lettura e di studio personali e originali. 

    Moltissime sono le sfere sociali e culturali coinvolte nell’opera. Nessuna pretesa, pertanto, di esaurire le tantissime tematiche affrontate dall’Autore: ci limiteremo a evidenziare alcuni ambiti che ben potrebbero rappresentare nel contempo significativi e utili percorsi di lettura. Un ambito a cui viene rivolta particolare attenzione è il ruolo svolto in ogni tempo dalla pietà cristiana e religiosa. 

    Significativi e storicamente interessanti sono i riferimenti che l’Autore, con ricchezza di particolari, dedica agli acronimi che consuetudinariamente venivano inseriti, a mo’ di exergum, negli scritti sia pubblici e sia privati. Anche l’anonimo autore delle Cronache, fonte principale dell’opera di Gaetano Augello, ha voluto inserire nei suoi scritti, come innanzi evidenziato, l’acronimo G.M.G. ossia Gesù, Maria e Giuseppe. Così come notevole importanza storica e religiosa assume il richiamo fatto dal nostro Autore al celebre «voto sanguinario», famoso giuramento pubblico fatto alla Madonna con il quale venne assunto l’impegno di difendere la dottrina dell’immacolato Concepimento di Maria fino allo spargimento del proprio sangue, che sin dal 1624 veniva pronunciato a Palermo dal Senato palermitano. Anche a Canicattì, in cui il culto e la venerazione per l’Immacolata Concezione era fortemente sentito ab immemorabili,lo stesso giuramento con il medesimo voto, riferisce l’Autore attingendo da serie fonti documentarie che riportano anche le relative formule, veniva pronunciato dal Sindaco innanzi all’altare maggiore subito dopo la messa celebrata nella chiesa di San Francesco. È di palmare evidenza l’importanza storica e religiosa che tali riferimenti assumo per la memoria e l’identità della comunità canicattinese. Anche il recupero delle filastrocche popolari in dialetto canicattinese, prevalentemente frutto di antiche tradizioni religiose, rappresenta un notevole contributo alla cultura locale ed un ambito interessante da esplorare. Sempre in chiave religiosa e di fede popolare, tra grande spiritualità, religiosità popolare e genuine nonché umane debolezze, importantissime sul piano storico e culturale sono le notizie riportate negli scritti presenti nell’opera. 

    Interessanti saggi sono dedicati a vescovi, presbiteri e religiosi nati a Canicattì o che hanno avuto modo di rapportarsi in qualche modo con la comunità canicattinese. Dei tantissimi ricordati anche in questa sede ci par giusto indicarne qualcuno: il prete don Francesco Cuttitto, proveniente da Cammarata, che il 24 giugno 1797 battezzò Giovanni Gangitano di Giacinto e Francesca Gangitano Grillo; l’arcidiacono Vito La Lomia; suor Caterina La Coca; il missionario salesiano don Vincenzo Munna ucciso in Cina; monsignor Angelo Ficarra, dotto, colto e santo arciprete di Canicattì e vescovo di Patti; padre Angelo Brucculeri, prestigioso gesuita e autorevole scrittore e saggista di “Civiltà Cattolica”; l’arcivescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo; l’indimenticato e indimenticabile monsignor Vincenzo Restivo, coetaneo del salesiano don Fausto Curto D’Andrea.

    Preziose notizie storico-sociali possono ricavarsi dai saggi biografici di illustri rappresentanti della comunità canicattinese: dal barone Francesco Lombardo al barone Agostino La Lomia, dall’onorevole Domenico Cigna all’onorevole Giovanni Guarino Amella, da Peppipaci (Giuseppe Pace) a Carmelo Lo Dico, dall’onorevole Giuseppe Signorino al senatore Salvatore Gangitano, dal giudice Antonino Saetta al beato Rosario Angelo Livatino. L’Autore nei suoi saggi ricorda anche le tantissime famiglie che contribuirono a dare impulso alla vita economica, sociale, politica e culturale della comunità e tra queste le famiglie: Bonanno Colonna, Testasecca e La Lomia, Bordonaro, Gangitano e Lombardo.

    Di sicuro interesse sono anche i documentatissimi resoconti delle visite che donne e uomini illustri nel tempo hanno fatto a Canicattì. Tra le tante ricordiamo: la visita fatta nel febbraio del 1846 dal ministro plenipotenziario di Sua Maestà l’Imperatore di tutte le Russie barone Meghendoff Carogè; quella fatta dal vescovo di Girgenti reverendo padre Ignazio Montemagno di Caltagirone nel dicembre 1837; quella del vescovo di Girgenti Domenico Maria Lo Jacono del 17 ottobre 1844 che per l’occasione fu ospitato dal vicario Diego Pontillo; ed ancora la visita che nel 1838 il re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone fece in segno di solidarietà con il popolo canicattinese gravemente colpito nel 1837 da epidemia di colera; la visita dell’imperatrice di tutte le Russie la zarina Alexandra Feodorowna, moglie dello zar Nicola I e sorella di Federico Guglielmo V re di Prussia, nell’aprile del 1852; la visita di Alessandro Dumas padre fatta presumibilmente nel luglio del 1860, quando fu ospitato nel nobiliare palazzo Gangitano; la visita del Capo del Governo Benito Mussolini del 10 maggio 1924, rilevante non solo per Canicattì ma anche per i paesi vicini; e poi quella, nel 1955, del segretario nazionale del Partito Socialista Italiano Pietro Nenni ed ancora in tempi più recenti la visita che il 16 aprile 1972 fece nella città dell’uva Italia il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa al tempo colonnello comandante della Legione Carabinieri di Palermo.

    Specie nel nostro tempo tormentato finanche dall’ormai tristemente famosa pandemia da COVID-19, notevole importanza assumono i racconti riportati dall’Autore che descrivono le tantissime epidemie che in ogni tempo hanno afflitto con terribili conseguenze la comunità canicattinese in particolare e quella siciliana più in generale. L’Autore ricorda in maniera attenta l’infezione difterica manifestatasi nel febbraio 1672 e che mieté numerose vittime specie giovani, le epidemie di vaiolo del 1793 e del 1849 nonché le ricorrenti epidemie di colera ed in particolare quelle del 1813, 1837 e 1867 che tanti lutti portarono a Canicattì e nei centri vicini, in Sicilia e in tutta l’Italia meridionale.

    Anche le calamità atmosferiche e naturali sono state oggetto d’interesse ed attenzione da parte del nostro Autore. Oltre ai diversi terremoti ricordati nell’opera, Gaetano Augello con apposito saggio ripercorre la tragedia delle ricorrenti alluvioni che da sempre, in special modo nel mese di ottobre, hanno flagellato Canicattì con conseguenti lutti e distruzioni. E come sempre, sostiene l’Autore, non sono mancate polemiche e recriminazioni postume; per poi dimenticare tutto e non far nulla per porre in essere concrete e risolutive opere e attività di prevenzione e ciò fino al successivo evento calamitoso.

    E insieme alle tante calamità naturali l’Autore non manca di raccontare un fatto accaduto nell’agosto del 1796 allorquando il territorio di Canicattì fu dannosamente invaso da un’ingente quantità di cavallette. Il fatto ci viene presentato simpaticamente da Gaetano Augello che sdrammatizzando la gravità dell’evento e con sottile ironia ha intitolato il relativo racconto “Nemmeno la scomunica fermò le cavallette”.

    Sicuramente interessante, sul piano della tutela ambientale e della salvaguardia del creato, è quanto evidenzia il circostanziato e documentato saggio dedicato ai “provvedimenti ecologici per gli antichi e nuovi frantoi” e con il quale si può prendere atto che già nel 1806 a Canicattì vennero posti in essere provvedimenti per prevenire forme di inquinamento, attivare misure idonee a salvaguardare il territorio e tutelare la salute pubblica, prevedendo, peraltro, severe sanzioni per i trasgressori.

    Non mancano bellissime pagine dedicate alla celebre Accademia del Parnaso. Carichi di satira intelligente e gradevole ironia sono i cosiddetti racconti “parnassiani”: “Questo cane è un leone”, “l’Accademia del Parnaso di Canicattì prende in giro l’Accademia d’Italia… che non comprende”, “Toponomastica parnassiana”, “Un periodico per l’Accademia del Parnaso” e “Canicattì: unica città al mondo ad avere dedicato un monumento a lu Lemmu!”. Così come non mancano interessanti pagine dedicate a Naro e ai non sempre fraterni rapporti tra canicattinesi e naresi. Ne sono esempi innanzi tutto i saggi su San Calogero o le conseguenze che ebbe su Naro l’epidemia di colera del 1867 e poi i racconti sulla “Strage di strumentisti a Naro”, sul “Grave incidente nella cava sotto il Castello di Naro”, “Un crollo nella Porta Grande di Naro” e su “La Strage di Trebastoni del 3 marzo 1948”. 

    Importanti e significativi i tanti racconti più direttamente collegati alla storia generale e tra questi possiamo evidenziare: “Come fu vissuta a Canicattì la rivoluzione siciliana del 1848”, “Canicattì appoggia la legge Corleo sull’enfiteusi”, “La rivolta popolare del 1898”, “Un canicattinese tra le vittime della strage di Piazza Fontana a Milano”, “Salvatore Gangitano cede il posto di deputato al marchese Di Rudinì”, “Il bambino che per cinque minuti ‘fermò’ la Seconda guerra mondiale”, “La memorabile festa del Primo Maggio 1913” e tanti altri ancora che dimostrano come la comunità canicattinese sia stata sempre attenta e partecipe agli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia italiana e siciliana.

    Non ne mancano neanche brevi ed eloquenti dedicati anche all’industriosità e alla genialità artigianale ed imprenditoriale dimostrata nel tempo a Canicattì.

    Pagine davvero stuzzicanti sono quelle dedicate ai soprannomi, ngiùrie, nciùrie (“ingiurie”) nel dialetto siciliano, che fino a non molto tempo fa, in parte ancora oggi, erano assai diffusi non solo a Canicattì e nei paesi vicini ma anche in Sicilia e in tutte le regioni italiane. Invero l’atto di attribuire nomi e soprannomi è innato nell’uomo ed è quasi sempre influenzato dalla cultura popolare. Le fattezze e i tratti somatici, le abitudini e modi di fare, mestieri, arti e professioni, appartenenze politiche  e religiose, vizi privati e pubbliche virtù, provenienza di origine sono sempre stati alcuni dei riferimenti che hanno fatto sbizzarrire la fantasia sia per quanto attiene l’invenzione e sia per quanto riguarda l’attribuzione dei soprannomi che spesso partendo da quelli rivolti ai singoli si sono estesi e si estendono al loro nucleo familiare per poi generarne altri anche per facilitare la distinzione tra gruppi familiari che portano lo stesso cognome. Addirittura i soprannomi vengono il più delle volte ereditati e si considerano a tutti gli effetti facenti parte del patrimonio famigliare. Nella sua monografia Quando i soprannomi dicevano più dei nomi – autentico e straordinario contributo all’antroponimia, uno dei rami dell’onomastica che attiene allo studio dei soprannomi – Augello riporta un corposo, eccezionale e talvolta originale elenco di soprannomi che argutamente chiama «“perle”, della tradizione e del presente canicattinese». Per facilitarne l’individuazione e la ricerca, il metodo adottato è specifico: accanto ai cognomi reali è indicato il relativo soprannome. L’elencazione è preceduta da un’acuta quanto realistica osservazione:

    “Tutti conoscono i soprannomi di tutti. E ciascuno conosce il suo, salvo fingere sorpresa e indignazione quando con esso viene inopinatamente apostrofato. Alla fine, però, ci si abitua e in tanti chiedono alle autorità competenti di aggiungere il soprannome al proprio cognome di famiglia”.

    Oggi, nell’era social, sembra che la fantasia dei più si diriga nell’individuare nuove tipologie di soprannomi ormai i più noti nicknames ovvero i nomi utenti necessari per collegarsi con i servizi internet in generale e con i social in particolare.

    Immancabili le storie piccanti e capaci di suscitare tanta ilarità ma al tempo stesso di rivelare tanta verità. Oltre a storie di tradimenti e prostituzione, ne sono esempi: “Una canicattinese particolarmente generosa”, “Una morte di morbo venereo”, “Il ‘trattamento’ del priore con la moglie del carrettiere”, “Se il Casato vale più delle corna” e tante e tante altre storie. Ma anche omicidi, femminicidi, impiccagioni e suicidi che contribuiscono a rendere più completa possibile la ricostruzione degli accadimenti che nei secoli hanno caratterizzato la comunità canicattinese.

    Nell’ultima parte della raccolta l’Autore dedica in particolare un saggio al giudice Livatino, “senza retorica”, riportando puntigliosamente e testualmente le annotazioni che il giudice era solito affidare alle sue ormai famose agende. Mentre a chiusura della silloge troviamo un significativo ed eloquente scritto: “Canicattì vota per la Repubblica e per il Divorzio”. Con un brevissimo memoir, preciso e lapidario, Gaetano Augello ricorda che nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946 a Canicattì la Repubblica vinse a grandissima maggioranza, 8.462 voti per la repubblica contro 6.705 voti per la Monarchia; così come nel referendum popolare del 12 e 13 maggio 1974 i voti contro l’abrogazione della legge sul divorzio furono 8.260 e quelli favorevoli 7.197. Ciò anche per dirci che Canicattì è laica e repubblicana.

    Alla fine della raccolta e come appendice, Gaetano Augello offre all’attenzione e – perché no – anche allo studio dei lettori due sue importantissime relazioni. La prima è la Relatio in re historica, uno degli atti del processo di canonizzazione del Servo di Dio Rosario Livatino, scritta per incarico conferito con decreto del 27 giugno 2011 dall’arcivescovo di Agrigento cardinale Francesco Montenegro. Documento, questo, destinato a rimanere nella storia per l’importanza rivestita nel processo di beatificazione di Rosario Angelo Livatino che fu allievo del nostro Autore.

    La seconda riguarda “L’infelice spedizione dell’Aspromonte (20 luglio – 10 settembre 1862). La Sicilia vista dal capitano garibaldino milanese Francesco Zappert”. Trattasi in buona sostanza di una ricostruzione tratta da un’originalissima descrizione della Sicilia e dei siciliani curata e pubblicata da un protagonista attento e privilegiato osservatore.

    Una corposa bibliografia e l’enucleazione di tutti gli scritti dell’Autore completano l’opera che è stata arricchita da un’ampia e appropriata documentazione fotografica, frutto di una raffinata, pertinente ed intelligente scelta di immagini, tante delle quali inedite, che riescono a dare anima e vita ai fatti narrati. 

    La rassegna di saggi, racconti, relazioni e quant’altro, che costituisce la straordinaria opera di Gaetano Augello, da come sarà agevole dedurre, offrirà ad ogni lettore, e ci auguriamo possano essere in tanti, come in un caleidoscopio rotante, una serie di singolari visioni ed emozioni capaci di generare innumerevoli spunti di riflessione volti ad alimentare quella creatività necessaria a vincere indifferenza e rassegnazione che spesso condizionano il tempo presente delle nostre comunità.

    L’Autore è riuscito in anni di studi e ricerche condotti con amore, passione, generosità, meticolosità, cura, professionalità e soprattutto con la metodologia propria della ricerca storica a riportare in superficie segmenti delle vicende umane ed antropologiche e in particolare a recuperare le tantissime storie che hanno caratterizzato la vita di oltre quattro secoli di vita della comunità canicattinese.

    Racconti e saggi talvolta toccanti, significativi, frutto di esperienze, di vissuto quotidiano che riescono a dare una visionrealistica della vita, che fanno emergere, talvolta in filigrana, la necessità di lanciare messaggi, insegnamenti di vita e soprattutto assolvono al compito di recuperare la memoria e l’identità di una comunità. È vero, infatti, che spesso ciò che vediamo è anche frutto di ciò che non si vede. In una poesia del diplomatico e poeta argentino Francisco Luis Bernárdez si legge testualmente: «Todo lo que el àrbol tiene de florido vive de lo que tiene sepultado», ossia “tutto ciò che l’albero ha di fiorito – foglie, gemme fiori e frutti – viene da ciò che ha sepolto, da ciò che non si vede, dalle sue radici che restano nascoste, sepolte sotto terra”. Così com’è altrettanto vero che «Un pueblo sin memoria es un pueblo sin futuro», ossia “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”, celebre frase che si può leggere all’ingresso della Salida 8 dell’Estadio Nacional di Santiago del Cile, quella preferita dai detenuti politici, nel corso della dittatura militare di Augusto Pinochet, perché proprio da lì speravano di vedere e salutare i loro familiari che dall’esterno cercavano di accertarsi che fossero ancora in vita. «La storia non serve a sapere dove si va, ma a sapere da dove vieni tu» sosteneva Umberto Eco. La storia e la memoria del passato rappresentano senza ombra di dubbio le chiavi del futuro e le imprescindibili condizioni per comprendere il nostro presente.

    Oggi più che mai viviamo una stagione carica di rischi e incertezze e tra le tante criticità non possono essere sottovalutate forme sempre crescenti di indifferentismo, rassegnazione, disfattismo e relativismo etico. La crisi antropologica con un forte ed inevitabile impatto sulle persone e sulle cittàormai sempre più spersonalizzate ed omologate conduce irrimediabilmente allo smarrimento della propria storia, a città senza memoria, senza radici e senza identità. Eppure siamo consapevoli che l’identità delle persone è ancorata al loro passato, alle esperienze trascorse, che senza la memoria gli esseri umani non sarebbero in grado di riconoscersi, di sapere e di dire chi sono. Anche le collettività, per assicurare la propria identità nel tempo, hanno bisogno di memoria poiché si formano e acquistano consapevolezza di se stesse quando i propri membri riconoscono di avere tradizioni comuni e al tempo stesso sviluppano quel senso di appartenenza capace di andare al di là del momento presente ma di considerare anche le generazioni passate e future. Ecco anche perché è necessario prendere la linfa dalle radici. Un albero staccato dalle radici non cresce e non dà frutti. Sono le radici, le storie di un popolo, i ricordi e le testimonianze di una comunità che riescono a dare il senso dell’appartenenza dell’identità e soprattutto la forza per vivere e costruire il presente ideando e progettando consapevolmente il futuro. Ecco perché siamo d’accordo nel ritenere necessario un rinnovato e corale impegno mirante a rendere le nostre città più a misura delle persone umane che le abitano, con un’identità nella quale riconoscersi, capace di salvaguardare il creato e la pace e far sì che la gassosità e la fluidità che ormai spesso caratterizzano le nostre comunità si trasformino in una grande famiglia umana e fraterna attingendo proprio dalla memoria. Guardare al futuro della città, quindi, non soltanto dal punto di vista tecnico e tecnologico – smart city oggi si usa dire –, ma nell’ottica di recuperare e valorizzare bellezza, memoria, identità e soprattutto quel rapporto di solidarietà e fraternità tra gli abitanti. Divenire, tout court, comunità. 

    Anche alla luce di queste riflessioni e considerazioni il contributo di Gaetano Augello con il suo prezioso Caleidoscopio Canicattinesee tutta la sua produzione storica e letteraria pubblicata nel tempo è davvero grande e meritevole di immensa gratitudine e non soltanto da parte della comunità canicattinese. Gratitudine che viene rafforzata dalla consapevolezza che i testi a cui ci accostiamo ci conducono in un mondo senza tempo ma capaci di parlare ad ogni tempo così come siamo pienamente consapevoli che ogni storia, come soleva affermare lo storico greco Tucidide, rappresenta κτέμα ές αιέι (“possesso perenne”) a condizione, però, che ne venga serbata e trasmessa memoria. Nel lavoro di Gaetano Augello è evidente il desiderio non solo di serbare e trasmettere la memoria, ma anche e soprattutto di far sì che – specie i giovani ai quali l’opera ben può essere dedicata – ci si possa riappropriare delle radici e dell’identità di un’intera comunità che, siamo certi, senza il suo generoso apporto, rischierebbero di perdersi inesorabilmente. 

    Personalmente sono particolarmente lieto di avere accolto l’invito rivoltomi da Gaetano Augello di presentare questa sua opera. È un grande onore per me poter condividere con l’Autore il momento nel quale questo brillante volume sta per essere portato alla luce e al tempo stesso è un’occasione speciale per manifestare pubblicamente la mia amicizia e l’immensa stima a un vero Amico.

Giovanni Tesè


Giovanni Tesè con l'autore e gli organizzatori della presentazione di Caleidoscopio canicattinese

Giovanni Tesè con Gaetano Augello

La presentazione di Caleidoscopio canicattinese
nell'atrio del Centro Culturale "San Domenico"
Canicattì 30 settembre 2023

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