“Riesi 1919, la guerra non è ancora finita” è il primo numero della collana “Quaderni” della nostra Rivista [Studi Storici Siciliani]: un testo di approfondimento su un episodio e su un momento tragico della storia siciliana e più ancora di quella nazionale, già trattati sulle pagine della Rivista, ma privi di quei dettagli che suscitano ulteriori riflessioni. Sembrerebbe ad un primo acchito che si tratti di una storia locale, quella che la Rivista cura con maggiore attenzione, ma leggendola bene e contestualizzandola, come è giusto fare nella storia, risulta essere un fatto di storia nazionale emblematico di quel periodo definito “biennio rosso“.
Gero Difrancesco è un ricercatore storico proveniente dall’esperienza archivistica e per questa ragione usa (e fa parlare) molto spesso le fonti primarie e i documenti, intelaiandoli in una quadro di riferimento che esprime non solo articolazioni complesse ma anche valutazioni originali. Di fatto è uno storico attento e critico che non nasconde il suo punto di vista e lo pone in discussione tenendo aperto lo sguardo sul mondo e sui fenomeni globali. Possiamo affermare che non si chiude mai nell’ambito ristretto della dimensione localistica pur partendo da essa. In questo modo fa diventare il particolare una porta d’accesso alla conoscenza storica generale e su questa linea crea il nesso significativo tra le lenti d’ingrandimento, che a seconda dalla prospettiva di osservazione ingrandiscono ora il focus osservato, ora l’occhio dell’osservatore. Ecco perché, nella qualità di docente di storia che spiega agli alunni le modalità delle trasformazioni politiche e sociali, ritengo valido l’approccio dello storico ai contesti socio economici più da un punto di vista narrativo che statistico, creando i presupposti del coinvolgimento non solo cognitivo ma anche emozionale. Chi legge il libro si accorge immediatamente di trovarsi dentro la storia e di viverne i momenti cruciali, partecipando idealmente alle lotte, alle difficoltà e alle tragedie dei minatori e dei contadini che rivendicano soltanto condizioni di vita dignitose.
Al di là di tutto questo, l’opera risulta formalmente snella e sintetica, e la chiarezza, la comprensibilità, la precisione sono gli elementi che la rendono leggibile tutta d’un fiato.
I fattacci di cui parla il saggio storico si svolgono subito dopo la prima guerra mondiale in provincia di Caltanissetta tra Sommatino, Riesi e Gela luoghi di miseria ma anche di lotte e feroci contrapposizioni tra contadini e latifondisti, tra operai delle miniere, i loro proprietari e gli esercenti. Il governo della nazione è affidato a Francesco Saverio Nitti che tenta di riannodare le fila tra una economia di guerra ed una di pace attraverso riforme timide ed inconsistenti che non soddisfano le classi subalterne e la forza lavoro proveniente dall’esperienza bellica. Gli interessi tra le classi sociali sono antagonistici e conflittuali, e molto spesso le articolazioni periferiche dello stato, più che svolgere un ruolo di intermediazione, parteggiano per i più forti: per gli agrari e per gli industriali che rappresentano l’inalterabilità dei rapporti di classe. Le forze dell’ordine nelle circostanze narrate (tra prefetti, questori e commissari spregiudicati) si macchiano le mani con la repressione violenta delle lotte e con le stragi, dando l’immagine di uno stato non incline al dialogo e alla comprensione sociale. Tra Riesi e Gela in due diversi momenti, l’uno successivo all’altro di poco tempo, vengono assassinati 15 lavoratori. La guerra davvero non poteva considerarsi finita, sebbene il governo avesse tentato di sconfiggere gli abusi delle forze dell’ordine attraverso la sua opera di inchiesta e di giustizia amministrativa.
Lo stato sfuggiva a se stesso si potrebbe dire oggi e la doppia verità “da ragion di stato” e da controinformazione ispettiva lasciava l’amaro in bocca a chi ne subiva le tragiche conseguenze. E’ così che emergono in questa storia i profili contraddittori di poliziotti per bene (come l’ispettore generale Vincenzo Trani) e di quelli per male (come il vice commissario Ettore Messana) in una rappresentazione anticipata di quanto è accaduto nei nostri giorni con gli apparati deviati dello stato.
Le stragi restarono impunite, come le tante (troppe) della storia italiana, lasciando dietro di sé l’amarezza ed il disgusto per una lunga scia di segreti e di connivenze mai sottoposte a verità giudiziarie. Il titolo del libro di Gero Difrancesco mi ha ricordato molto “La rabbia dei vinti, la guerra dopo la guerra 1917-1923” di Robert Gerwarth professore di storia contemporanea all’University College Dublin che mi ha aiutato a conoscere gli eventi che la storia ufficiale aveva celato sulle conseguenze della prima guerra mondiale. L’accostamento è più nel titolo che nel contenuto, ma ci fa comprendere come nella storia ci sia stato sempre chi abbia avuto torto e chi ragione e come da un torto, riconosciuto tale, non abbia potuto mai derivare una ragionevole conseguenza.
Sonia Zaccaria
docente di Storia e Filosofia presso il Liceo scientifico "A. Volta" di Caltanissetta
docente di Storia e Filosofia presso il Liceo scientifico "A. Volta" di Caltanissetta
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