A
seguito delle elezioni amministrative del 19 settembre 1920, i socialisti, con
l’avvocato Rosario Livatino, tornarono, per l’ultima volta fino alla
Liberazione, alla guida del Comune.
I
socialisti canicattinesi, nel primo dopoguerra, si erano riorganizzati attorno
a tre correnti di pensiero: i socialisti “estremisti” guidati da Nino Alessi,
Pietro Guadagnino, Antonio Di Rosa, Carlo Rumbolo; i riformisti “di
destra” guidati da Diego Cigna, Giuseppe Catanese, Gaetano Rinallo e
Rosario Livatino; i riformisti “di sinistra” guidati da Diego Vinci, Martino
Marchese, Stefano Saetta, Nino Pellitteri e Pasquale Gazzara.
Un
riconoscimento all’importante presenza socialista a Canicattì fu la decisione,
da parte degli organi regionali, di far tenere in città, il 21 e 22 febbraio
1920, il terzo congresso regionale della federazione giovanile: vi
parteciparono i rappresentanti di 25 sezioni ed un gruppo di studenti
agrigentini.
Tra
i socialisti si distinse, a livello provinciale, l’avvocato canicattinese
Domenico Cigna, che propagandò gli ideali del partito tra i contadini e gli
zolfatari che cercò di sottrarre all’allora predominante influenza dei
socialriformisti di Enrico La Loggia.
Peraltro,
tutti gli schieramenti socialisti e radicali, guidati a livello provinciale,
oltre che da Domenico Cigna, anche da Giovanni Guarino Amella e
Antonino Pancamo, da un lato e dall’altro i liberal-riformisti di Enrico
La Loggia, Giuseppe e Vitale Cognata, erano accomunati da un forte
atteggiamento anticlericale e di forte contrapposizione al nuovo partito dei
cattolici democratici di don Luigi Sturzo guidato, in provincia di Girgenti, da
don Michele Sclafani.
Enrico
La Loggia era appoggiato dal Grande Oriente d’Italia di cui era membro assai
autorevole. Fiorirono in quel periodo molte logge massoniche tra cui - nel
territorio di Canicattì - "Triangolo" di Castrofilippo,
"L’Aurora" di Campobello di Licata, "Giuseppe Garibaldi" di
Ravanusa e "Rinnovamento" di Canicattì. Attorno a questa loggia e a
due circoli progressisti, Circolo Radicale e Libero Pensiero, presero forma a
Canicattì iniziative provocatorie come la solenne commemorazione del massone
Mario Rapisardi, cui fu intitolato l’edificio scolastico di via Rosolino Pilo,
e la dedica della piazza della stazione al patriota e massone Vincenzo
Macaluso. E proprio Mario Rapisardi aveva dettato la lapide "A Garibaldi
Liberatore" posta nel 1907 sul prospetto del Palazzo di Città.
Grazie
in particolare a Domenico Cigna, Cesare Sessa di Raffadali e Giuseppe
Lauricella di Ravanusa, il partito socialista aprì nuove sezioni ed organizzò
una Camera del Lavoro, forte di ben 4.000 iscritti.
"Falce
e Martello", il loro organo di stampa tra il 1920 ed il 1924, si
contrapponeva all’organo della locale sezione del Partito Popolare, "Il
Risveglio", il cui primo numero era uscito nell’ottobre del 1919.
Il
19 settembre del 1920, nelle elezioni amministrative, i socialisti
conquistarono ben 24 consiglieri su trenta; il “blocco” degli avversari
conquistò gli altri sei seggi. I consiglieri socialisti eletti col maggior
numero di voti furono Pietro Guadagnino (3168), Rosario Livatino (3168),
Antonio La Vecchia (3155), Edoardo Antinoro (3153),
Pasquale Gazzara (3153) e Diego Cigna (3151). I sei consiglieri della
minoranza furono Salvatore Nalbone (956), Baldassare Saetta (943),
Salvatore Fazio Tirrozzo (939), Antonio Meli (938), Giacinto Ferro
(938) e, infine, l’avvocato Francesco Macaluso con 935 voti.
Nelle
elezioni per il Consiglio Provinciale, che si svolsero nella stessa giornata, i
socialisti elessero Rosario Livatino, Pietro Guadagnino e Antonio La Vecchia.
La
prima domenica di ottobre il nuovo Consiglio Comunale si insediò a Palazzo di
Città ed elesse alla carica di sindaco l’avvocato Rosario Livatino. Assessori
titolari furono eletti i consiglieri Calogero Avenia, Edoardo Antinoro,
Diego Cigna, Giuseppe Catanese e Pasquale Gazzara. Assessori supplenti i
consiglieri Vincenzo Diana e Vincenzo Spina.
"Falce
e Martello" il 3 ottobre 1920 pubblicò la notizia con molta enfasi e
soddisfazione in un articolo dal titolo La conquista del Comune.
La
nuova amministrazione adottò, tra i primi provvedimenti, l’abolizione della
cinta daziaria: Canicattì diventava “comune aperto”. L’evento fu annunziato con
un pubblico manifesto.
"Falce
e Martello", nel riportare il testo del manifesto, commentava: “I
contadini si affrettarono a ritornare dalla campagna prima del consueto e
quando la Musica cittadina intonò Bandiera Rossa, sotto il Palazzo Comunale si
ammassò una moltitudine delirante. Dal Palazzo Comunale la dimostrazione,
sempre più ingrossandosi, passò alla Camera del Lavoro dove si compose in
corteo con le bandiere alla testa. Ed il corteo sfilò compostamente, girando
per tutti i quartieri bassi in mezzo al delirio delle masse lavoratrici. Il
Corso Umberto illuminato rendeva più gaia la festa, mentre dalla Torre
dell’orologio il Campanone Municipale suonava a stormo!”. A conclusione del
corteo, dal balcone del Palazzo Municipale, che “sfarzosamente illuminato aveva
un aspetto fantastico”, parlarono ”applauditissimi il sindaco, brevemente, e
l’assessore Cigna”. Quindi un giro festoso della fanfara e, a mezzanotte,
ancora il suono del campanone della Torre civica.
I
generi sottoposti a dazio da 300 passavano a 7 e cioè a quei pochi su cui
vigeva un’imposta governativa e cioè zucchero, alcool, caffè, carni, formaggi,
olio e saponi. Fu un provvedimento storico per la città di Canicattì. Della
generale soddisfazione per l’abolizione del “balzello più scellerato che grava
sulla povera gente” si fece interprete il farmacista Cigna, sul suo giornale
"Falce e Martello", il 9 gennaio 1921.: “Il carrozzino, la carrozza,
l’automobile riceve l’inchino della guardia daziaria e non rallenta neppure la
corsa, innanzi ai posti di cinta; il contadino è frugato di… dentro e di fuori,
insultato dal personale daziario, e costretto al pagamento nella maniera più
angarica”
Tra
i primi provvedimenti dell’amministrazione socialista l’erogazione di un
finanziamento alla Camera del Lavoro ed alla Cooperativa di consumo e i
festeggiamenti solenni del Primo Maggio.
La
festa dei lavoratori era allora a Canicattì una vera festa di popolo: nella
mattinata i circoli, il Comune, la Camera del Lavoro, le sedi delle Leghe
adornavano i propri locali ed i balconi con fiori e bandiere rosse, mentre la
banda cittadina eseguiva per le vie principali l’inno dei lavoratori. Durante
l’intera giornata si susseguivano corse ciclistiche, giochi popolari, tiri al
poligono ai galletti e al capretto, lanci di palloni colorati. Nel pomeriggio
il campanone della Torre dell’orologio suonava l’adunata davanti alla Camera
del Lavoro; si svolgeva quindi un lungo corteo per le vie principali e per i
quartieri popolari; infine il ritorno alla Camera del Lavoro, per ascoltare il
discorso del segretario Diego Cigna e di altri dirigenti. A sera musica
all’aperto davanti la sede del sindacato illuminata a festa.
Altri
provvedimenti furono la lotta al carovita e la regolarizzazione degli atti
amministrativi. Su "Falce e Martello" nel luglio 1921 comparve questo
annuncio: “Sono aperte le iscrizioni alla Scuola di Arti e Mestieri che sarà
inaugurata il 1° Ottobre prossimo nei locali occupati dalla Regia Scuola
Tecnica. Per schiarimenti rivolgersi al Sig. Gaspare Celestri presso
gli Uffici del Comune. Il Sindaco R. Livatino”.
Fu
un’iniziativa assai importante: l’apertura della nuova scuola avvenne il 1°
ottobre, così come annunciato, ma la sede non fu nell’ex convento di San
Domenico, ove rimase la Scuola Tecnica, ma nei locali dell’ex molino
comunale di largo Aosta. La Scuola di Arti e Mestieri, che ben presto raggiunse
il numero di 160 alunni, aveva numerose sezioni: Meccanici, Muratori,
Falegnami, Sarti, Calzolai, Decoratori adornisti. A fine anno scolastico
1921-1922 vennero esposti gli elaborati degli alunni:
“…alquante squadrelle di precisione in ferro; poligoni in lamiera; un
campanello elettrico; due calamite; un arabesco in ferro battuto; una squadra
di precisione da falegname; parecchie formelle in gesso in alto e
basso-rilievo; alquanti cartoni da decorazione; moltissimi disegni d’ornato e
geometrico in nero ed a colori d’acquerello; la pianta, gli spaccati e la
facciata dell’edificio adibito per la Scuola”. ("Falce e Martello",
Canicattì 9 luglio 1922)
Il
Consiglio Comunale, il 26 giugno 1921, indisse un concorso straordinario di
idee per la realizzazione dell’uniforme dei componenti della banda musicale.
Il
Consiglio Comunale, durante l’amministrazione Livatino, deliberò importanti
opere pubbliche: adattamento dell’ex monastero della Badia a caserma militare
(5 aprile 1921); collaudo padiglione isolamento e disinfezione (26 giugno
1921); costruzione della rotabile Verdi (5 agosto 1922); pavimentazione delle
vie Cavour, Risorgimento, Torino, XX Settembre, Duomo, Salvatore Gangitano
(sino all’incrocio con via Paternò), Nazionale, Nuova (tra piazza Umberto I e
il ponte di S. Diego) e delle piazze Carlo Poerio (oggi piazza XXIV Maggio) e
Roma (5 agosto 1922); risanamento dei rioni Santa Barbara e Santa Lucia e delle
vie Lepanto e Ferrucci (5 agosto 1922).
Nel
1921 il Consiglio approvò la realizzazione di un
ambulatorio antitracomatoso: la struttura fu ricavata all’interno di
cinque stanze dell’ex convento del Carmine (angolo piazza Umberto-via Marsala),
restringendo gli spazi già utilizzati come ambulatorio medico-chirurgico.
L’amministrazione
Livatino si pose anche il problema dell’illuminazione elettrica delle
principali vie della città, superando il vecchio sistema di illuminazione con i
fanali.
Ma,
a seguito dell’insorgere di difficoltà di varia natura, l’iniziativa passò ai
privati e nel 1922 fu costituita la società elettrica “Martorana”.
La
giunta Livatino introdusse una riforma tributaria che consentì al Comune un
raddoppio delle proprie entrate: il 27 novembre 1920 fu deliberata una
sovrimposta sui terreni e sui fabbricati.
L’amministrazione,
però, ben presto dovette affrontare le prime difficoltà: sul fronte esterno la
reazione dei ceti dominanti, impauriti dall’eccessiva enfatizzazione di alcuni
provvedimenti da parte degli amministratori; sul fronte interno criticità varie
dovute in gran parte alle lotte intestine tra socialisti. Diego Cigna,
all’interno della sezione socialista, dovette subire un vero e proprio processo
che si concluse con la richiesta delle dimissioni. Come scrisse egli stesso, la
giunta Livatino era continuamente messa alla prova da dimissioni minacciate, di
volta in volta, da diversi assessori.
Ai
contrasti interni si aggiunse un subdolo ma costante ostruzionismo da parte di
molti burocrati comunali e soprattutto da parte della Giunta Provinciale
Amministrativa chiamata per legge a verificare la legittimità degli atti
prodotti dalla civica amministrazione. "Falce e Martello", il 27
febbraio 1921, sferrò contro l’organo di controllo un duro attacco.
Lo
stesso atteggiamento ostruzionistico si manifestava, peraltro, nei riguardi
delle altre amministrazioni socialiste dell’isola, al punto che fu costituita
una “Lega fra i comuni socialisti” cui partecipò anche Canicattì. Le lamentele
furono presentate a Roma anche ai deputati socialisti Matteotti e Zanardi.
Un
altro duro attacco all’amministrazione socialista giunse da parte del Presidio
Militare di Girgenti che, su informativa della Tenenza dei Carabinieri di
Canicattì (era stata istituita nel 1892, nell’ambito della Compagnia di
Girgenti), fece pervenire a Diego Cigna una lettera, datata 12 febbraio 1921 e
firmata dal colonnello Fortunato, in cui gli si contestava, in qualità di
ufficiale di complemento in congedo, l’esplicazione di “attiva propaganda
sovversiva nelle masse”, attività posta in essere per il fatto stesso di essere
iscritto alla locale Camera del Lavoro.
La
goccia che fece traboccare il vaso fu la decisione del sindaco Livatino di non
esporre, il 20 settembre 1921, al balcone di Palazzo di Città il tricolore in
occasione dell’anniversario della breccia di Porta Pia, e soprattutto il 24
ottobre successivo, nella ricorrenza del venticinquesimo delle nozze dei Reali.
Nella
seconda circostanza, a seguito del rifiuto opposto dall’amministrazione
socialista, al balcone del Municipio la bandiera tricolore fu esposta a cura
del vice commissario di P.S. Toscano e delle sue guardie. L’amministrazione
reagì chiudendo il Municipio e con l’affissione di un manifesto di protesta che
le guardie cercarono di strappare.
Lo
stesso 24 ottobre a Rosario Livatino fu notificato da parte del prefetto di
Girgenti Garzaroli il decreto di sospensione dalla carica di sindaco.
Il 27 ottobre 1921 il deputato Domenico Cigna presentò una interrogazione al
ministro degli Interni, sostenendo il parere degli amministratori comunali.
Rosario
Livatino il 30 ottobre 1921 presentò le dimissioni da sindaco della città. Ma
la vicenda diede origine ad un duro contenzioso che vide Guarino Amella
appoggiare le ragioni della Giunta Provinciale Amministrativa; nel dicembre del
1922, l’amministrazione comunale fu sciolta definitivamente. Nel 1923 si
insediava al Comune, come commissario prefettizio, il cavaliere
Michele Gaglio.
La
rimozione del sindaco Livatino fu duramente criticata anche dal suo avversario,
seppur socialista anche lui, Francesco Macaluso: “Il partito socialista
ufficiale ha conquistato il Comune di Canicattì, e dal Palazzo Municipale non
può che sventolare la bandiera rossa. Il tricolore rappresenterebbe una
ipocrisia. Vero è che il Sindaco è un funzionario dello Stato, ma è anche vero
che egli è principalmente il rappresentante degli elettori che hanno votato per
lui e del partito del quale è il gregario… Un sindaco come Livatino è difficile
che si abbia in avvenire nella nostra Città… noi siamo lieti di rendergli il dovuto
merito; noi che gli siamo stati avversari nelle ultime lotte, ma che abbiamo
con lui comune l’ideale; noi che potremo non condividere il metodo che ce lo
allontana, ma che oggi, nel giorno in cui si opprime la volontà del popolo con
la sua persona, non sappiamo non attestargli tutta la nostra stima, offrirgli
la nostra solidarietà, circondata del nostro affetto” ( "Il Sindaco
sospeso", in "Il dovere nuovo", Canicattì, 30 ottobre 1921).
Nell’articolo
era attaccato con forza anche il segretario comunale definito “il lanzichenecco
del prefetto”. Anche il quotidiano "L’Ora" di Palermo si schierò a
favore del sindaco di Canicattì e degli altri duecento sindaci italiani che
erano venuti a trovarsi nella stessa situazione.
Sulla
caduta di Livatino, che avrebbe avuto come regista occulto Diego Cigna,
ironizzava invece pesantemente Guarino Amella. Mentre il sindaco Livatino, dopo
aver firmato la lettera di dimissioni, cercava di far sottoscrivere dai
consiglieri amici una richiesta di convocazione del Consiglio per respingerle,
“Diego Cigna, il carissimo compagno, vigilava: stese le dita, lunghe come pali
telegrafici; li strinse attorno al collo di Sariddu, sindaco da tre anni e
avvocato da tre lustri… Sariddo non è più Sindaco, non è più
consigliere provinciale, non è più il Lenin di Canicattì, non è più niente…
Addio bel passato, bei sogni ridenti; addio vittorie; addio 500 lire al mese;
della gloria di Sariddo è questo il fin, è questo il fin… Gli operai,
i contadini che credettero alle vostre ciurmerie, oggi imprecano a voi; la
cittadinanza intera vi ride dietro”.
L’autore
dell’articolo si chiedeva ancora se Livatino fosse furbo o troppo ingenuo: “Non
sappiamo veramente a quale delle due categorie iscrivere il personaggio, che da
buon socialista, ha elevato inni e ditirambi in laude dei salesiani nel
banchetto a don Rinaldi, mentre un anno fa, invocò i suoi principii socialisti
per dimettersi dal comitato delle feste francescane-dantesche”. (Il 3°
infiammato (pseudonimo di G. Guarino Amella), "L'avv. Livatino non è più
sindaco", in "La 1° Fiamma", Canicattì 11 marzo 1923).
Dell’incapacità
di amministrare della giunta Livatino, soprattutto nella gestione delle risorse
idriche, così scriveva "L’Idea Fascista" nel 1923: “Risaltava agli
occhi di tutti lo spettacolo che dava la passata amministrazione. Vi era un
sindaco con lo stipendio e poi il cugino caporale delle guardie, il cognato
candidato esattore comunale!! Una filastrocca di parenti, un vero polipaio a
carico del Comune!! Altro che socialismo!!” ("Cronaca Cittadina-Per quelli
che sanno e per quelli che non sanno", in "L’Idea Fascista",
Canicattì 29 luglio 1923). Il cognato aspirante esattore era Lattuga.
Ancora
più pesante il giudizio del giornale di Guarino Amella "La 2°
Fiamma": “Noi non deploriamo che al 1920 sia andato, in Canicattì, al
potere il partito socialista… quello che deploriamo è che il partito socialista
consentì che esponenti di quella situazione fossero due uomini cui mancava
l’onestà e la buona volontà… Tramutarono il Municipio in agenzia di affari e di
collocamento, in strumento di vendette e di favori, in fonte di lucro e in
ritrovo di oscenità da lupanare”.
Pesante
l’attacco di Giovanni Guarino Amella a Diego Cigna e Rosario Livatino, “il
perticone facinoroso e il nano deficiente”, sempre “in rottura tra loro perché
nessuna fede comune univa costoro, uomini senza fede e senza coscienza… Tali
voi siete, o Cigna, o Livatino, fili leggeri di paglia infangata, sollevati in
alto mentre la bufera aveva per un momento accecati tutti. Ora la bufera va
svanendo e voi andate calando: fra breve essa svanirà del tutto, e voi
tornerete a giacere per terra, in mezzo al fango, calpestati da tutti coloro
che hanno già riaperto gli occhi”. ("Per i socialisti", in "La
2° Fiamma si accende in Canicattì, oggi domenica delle Palme", Canicattì
25 marzo 1923).
Se
Cigna e Livatino erano così pesantemente attaccati, c’era un terzo personaggio
che meritava soltanto il disprezzo del silenzio: “Dovremmo anche rispondere al
terzo: a quel tale che non vale la pena di nominare”. Dai riferimenti ad una
tipografia e agli stampati forniti al Comune si comprende facilmente che il
terzo bersaglio era l’avvocato Francesco Macaluso, proprietario della
“Tipografia Cooperativa”. ("Postscriptum", "ibidem")
Lo
stesso giornale riferiva in merito a procedimenti in corso di istruzione presso
la Pretura contro il Cigna “per appropriazione di medicinali dell’ambulatorio”
e per “aver riscosso delle somme da un ammalato che chiedeva di entrare in
Ospedale” e contro il Livatino e il segretario comunale Decaro “per
falsità nella deliberazione con cui fu nominato caporale delle guardie un
cugino del Sindaco”. ("Note di cronaca… allegra", "ibidem").
Della
posizione assunta dal sindaco Livatino in occasione delle feste
francescane-dantesche del 6-9 ottobre 1921 aveva parlato anche l’avvocato
Francesco Macaluso su "Il dovere nuovo". La ricorrenza vide la
presenza a Canicattì del celebre oratore padre Giovanni Semeria che
parlò a un folto pubblico sia in Matrice sia al Teatro Sociale. Livatino, dopo
aver dato la sua adesione alle “feste”, si ritirò adducendo delle spiegazioni
in una lettera aperta: “Solo i miopi avrebbero potuto immaginare che io sarei
andato in processione dietro i labari ed a cantare il tedeum”. Macaluso
commentava: “Per noi S. Francesco è il santo della umanità e solo l’ignoranza
ha potuto trar argomento di opposizione all’Avv. Livatino”.
Al
Teatro Sociale era stato interrotto il discorso del generale Gangitano “il
quale fra l’altro lamentava che i preti avessero sfruttato un po’ troppo Dante,
facendolo comparire principalmente come un terziario e poi come Poeta e come
divinatore del movimento per l’italianità”.
Macaluso
deplorava la contestazione ma non concordava con l’augurio espresso dal
Gangitano “che le due grandi autorità, che stanno a Roma e che corrono
parallelamente, possano un giorno convergersi e riunirsi. Questo è sogno che il
Generale Gangitano non deve sognare! La chiesa sia libera nello stato libero e
la linea corra sempre parallelamente… La chiesa ha da essere libera ed è nel
suo interesse di non osteggiare l’Italia, che deve essere libera da ogni
pastoia religiosa. La chiesa deve piuttosto rinunziare a certe idee ed a
ritenersi nemica dell’Italia, poiché l’Italia non è nemica della chiesa”.
(Francesco Macaluso, "Feste Francescane-Dantesche", in "Il
dovere nuovo", Canicattì 30 ottobre 1921)
Rosario
Livatino, nonno dell’omonimo giudice che sarebbe stato assassinato dalla mafia
il 21 settembre 1990, divenne in seguito, sotto il fascismo, esattore comunale
delle tasse. E proprio dell’esattoria comunale si era dovuta occupare la sua
amministrazione in uno dei suoi ultimi atti. Il Consiglio Comunale di Canicattì
nella seduta del 16 settembre 1922 fu chiamato a discutere, a seguito della
convocazione decretata dalla Prefettura di Girgenti, sulla domanda di conferma
nella gestione della esattoria presentata dal signor Giuseppe Adamo per il
decennio 1923-1932.. Fu una seduta assai vivace: la cittadinanza era scontenta
per la gestione del servizio da parte di Adamo, non solo dal punto di vista
amministrativo, ma anche per le “maniere screanzate” con cui era solito
trattare “le povere madri e le povere spose dei combattenti”. ("Consiglio
Comunale-Il discorso di Cigna", in "Falce e Martello", Canicattì
24 settembre 1922)
Sulla
conferma di Giuseppe Adamo nella gestione dell’esattoria aveva pesantemente
ironizzato, il 17 settembre, Falce e Martello: “E chi oserebbe a Canicattì dire
un No tondo al Sig. Esattore? Il garbo gentile con cui ha trattato e tratta la
povera gente…; le garenzie offerte dagli impiegati che si succedono
con le fasi lunari; la tenuta dei libri e la regolare ed inappuntabile gestione
contabile per cui non ha reso i conti al Comune: sono ragioni queste per le
quali la riconferma non gli potrà essere negata, nonostante le agitazioni sorte
in paese e le proteste!” ("Per l’Esattoria", in "Falce e
Martello", Canicattì 17 settembre 1922).
Assai
efficace, da parte del periodico socialista, la descrizione della seduta
consiliare: “… presenti 16 consiglieri; il numero non solo è sufficiente per la
legale apertura della seduta, ma è anche notevole perché debbono considerarsi
giustificate le assenze dei compagni Catanese, ammalato; Martino Marchese,
residente a Ripi; e di qualche altro impedito da urgenti lavori del raccolto.
E’ stato simpatico l’intervento di Sgammeglia Giuseppe con gli
strumenti di lavoro; di Gazzara che ha percorso, parte in carretto,
parte a cavallo, gl’interminabili chilometri che lo separavano da Canicattì; di
Guadagnino con gli abiti autentici di lavoro e la barba non rasa; del Sindaco
stesso che ha interrotto la villeggiatura e di qualche altro per la premura
sposata pari all’importanza dell’oggetto in discussione” ("Consiglio
Comunale- L’intervento dei Consiglieri", in "Falce e Martello", Canicattì 24 settembre 1922).
La seduta dovette svolgersi in parte a porte chiuse, tra le proteste del folto
pubblico. Dopo la relazione dell’assessore Diego Cigna, il Consiglio negò la
conferma all’esattore Adamo per la gestione 1923-1932.
La
gestione dell’esattoria fu quindi affidata, per il quinquennio 1923-1927, al
Banco di Credito Canicattinese in unione alla Banca Agricola. Il 31 dicembre
1927 il contratto scadeva. Il podestà Curcio, il 6 luglio 1927, comunicava con
pubblico avviso che, su richiesta del Prefetto, il Comune aveva espresso parere
favorevole al conferimento dell’esattoria, per il quinquennio 1928-1932, alle
stesse banche, con l’aggio del 5,00%; pertanto altre ditte avrebbero potuto
presentare al Prefetto, cui spettava per legge decidere, eventuali offerte più
vantaggiose per il Comune. L’aggio del 5,00% fu ritenuto esoso in alcuni
ambienti politici e di queste lamentele si rese portavoce l’insegnante Giuseppe
Alaimo, con un trafiletto pubblicato sul n. 10 del "Notiziario
Canicattinese". Il direttore del Banco di Credito, Pietro Di Prima, con
lettera allo stesso Alaimo, che la pubblicò sul n. 11 del suo giornale,
comunicò di aver ritirato la domanda di riconferma. ("Per l’Appalto della
Esattoria", in "Notiziario Canicattinese", Canicattì 24 luglio
1927)
Con
Decreto n. 17298 Div. 1° del 29 agosto 1927 il Prefetto di Agrigento
concesse l’appalto della esattoria comunale di Canicattì, per il quinquennio
1928-1932, all’avvocato Rosario Livatino, con l’aggio del 4,00%. L’appalto
venne rinnovato più volte; nel 1943 il servizio fu prorogato per il decennio
1943-1952; con autorizzazione podestarile del 2 gennaio 1943, n. 9, a Rosario
Livatino fu affidato anche l’incarico di tesoriere comunale.
Nel
dopoguerra Rosario Livatino aderì a Democrazia del Lavoro e collaborò col
sindaco Giovanni Guarino Amella che, il 31 dicembre 1943, lo nominò componente
del Consiglio di Amministrazione del Consorzio “Tre Sorgenti” e, in seguito,
anche componente del Comitato Amministrativo dell’ECA (Ente Comunale di
Assistenza). L’incarico di esattore comunale a Rosario Livatino fu poi
confermato il 23 agosto 1952 dall’amministrazione Signorino per il periodo
1954-1963.
Prima
della scadenza del contratto, Rosario Livatino rivolse istanza al sindaco
Pasquale Gazzara per essere autorizzato a cedere il servizio di
esattoria comunale al geometra Paolo Arena di Campobello di Licata; la Giunta
Municipale, presieduta dal vice sindaco geometra Pietro La Rocca, nel 1962
diede il nulla osta e così Paolo Arena, già concessionario delle esattorie di
Campobello e Licata, poté subentrare a Rosario Livatino il 31 dicembre 1963,
data della scadenza del contratto. La giunta Narbone nel 1965 avrebbe
confermato la gestione dell’esattoria da parte di Paolo Arena per il decennio
1964-1973. Nel 1974 la giunta Guarneri avrebbe prorogato l’appalto per il
decennio 1974-1983; la proroga fu ratificata in Consiglio Comunale il 12
ottobre del 1976, durante l’amministrazione Vitali.
GAETANO AUGELLO
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