La ricorrenza del Due
Novembre, dai bambini detta la Festa dei morti, era ed è particolarmente cara
ai canicattinesi, anche se molte delle antiche tradizioni - ad esempio "li
pupi di zuccaru" - sono scomparse o in via di estinzione per via
dei costi, come la frutta di martorana.
Anche le forme di
devozione ed i riti sono profondamente cambiati. Nella mia adolescenza ho
conosciuto una simpatica vecchietta, piccola di statura ma di grande energia,
che aveva in cura le suppellettili della chiesa di San Nicolò, nella parte alta
del quartiere di San Domenico, in fondo alla via Francesco Paolo Perez. Uno o
due mesi prima della festa dei morti, "la za Pippina
La Vudda", per il Municipio Giuseppa Lo Vullo, cominciava a girare
per le case dei numerosi fedeli che le erano affezionati. Durante le
"sacre visite", le buone mamme sottoscrivevano dieci, venti, trenta o
più "requiem" da far recitare in chiesa - il due novembre - a San Domenico
o a San Nicolò, dal parroco Paolo Meli. La brava massaia, nel congedare la
"za Pippina" consegnava il costo totale delle preghiere,
calcolando il tutto sulla base di quanto speso l'anno precedente. Ma ogni anno,
con assoluta regolarità, "Pippina La Vudda", senza
alcun imbarazzo e con piglio ragionieristico, chiedeva una somma più
consistente: "Chi voli, agu’annu li
recula criscieru".
I requiem, nel corso
dell'anno, venivano recitati, sempre a pagamento, dalle orfanelle
dell'Orfanotrofio Femminile "Maria Corsello" e dagli orfanelli
dell'Orfanotrofio Maschile "Maria Bonsangue", durante i cortei
funebri. L'importanza del morto si notava a vista d'occhio se la carrozza era
tirata da otto cavalli e, davanti ad essa, erano schierati in processione tutti
i preti e i monaci del paese e tutti gli orfanelli e le orfanelle. In tal caso
era evidente che il defunto nella vita appena spenta era stato un pezzo
grosso.
Anche le campane di
tutte le chiese, man mano che il corteo avanzava lentamente, ne accompagnavano
con tocchi commoventi il passaggio. Dietro, tutti i parenti, più o meno tristi,
magari pensando alle liti da affrontare in serata per la divisione della roba
del caro estinto.
I morti più fortunati
erano quelli deceduti a Borgalino, nella parte alta del paese, o al Poggio di
Luce o all'Acquanuova: tutto il paese doveva vederli mentre erano condotti al
lontano cimitero. I morti più sfortunati abitavano alla Cuba o in via Nazionale
o al largo Marengo, a poche centinaia di metri dal cimitero. Ma si potevano
pagare tanti soldi per le carrozze, i preti, orfanelli e orfanelli per soli
duecento metri? Certamente no, ma a tutto c’è rimedio, in questi casi anche per
la morte. Per i morti sfortunati era previsto un giro d'onore: sotto i ruderi
del vecchio Castello dei Bonanno il corteo non svoltava a destra, in direzione
del cimitero di contrada Costa Piccola, ma a sinistra e, attraverso
"lu chianu di don Cola", "la vanedda di
li cutiddera", piazza San Diego e corso Umberto,
raggiungeva il punto di partenza, per dirigersi finalmente al camposanto.
Attraversando il corso
principale, mentre tutte le saracinesche venivano rigorosamente abbassate, il
morto riceveva l’omaggio di tutti i frequentatori dei vari circoli: il casino
dei negozianti "Umberto I" divenuto poi circolo dei negozianti e dei
professionisti, il casino dei civili più noto come circolo di compagnia, il
circolo degli agricoltori, il circolo operaio, quello dei cacciatori, il
circolo della Società di Mutuo Soccorso "Figli del lavoro", la
Società degli zolfatai, il circolo cattolico ubicato nell'ex chiesa di Santa
Rosalia, la sezione comunista, quella socialista, la sede dell'Associazione dei
combattenti e reduci, i clienti dei vari bar, in particolare quello di donna
Lina. Allora non esistevano i registratori portatili e quindi non rimaneva
traccia dei vari commenti. E’ da presumere tuttavia che in moltissimi casi il
morto, se meno morto, avrebbe preferito raggiungere per le vie brevi l’ultima
dimora.
Il 2 novembre, di buon
mattino, gli orfanelli venivano condotti dagli assistenti e dalle suore al
cimitero, ove venivano "noleggiati" per recitare davanti alle tombe
dei più fortunati i requiem, mentre "Micheli
lu babbu" affittava, tra una bestemmia e l'altra, la sua scala
per collocare i fiori nelle tombe di terza e quarta fila, se si faceva vivo
qualche parente. Dalla durata della sosta degli orfanelli davanti alla tomba la
Guardia di finanza avrebbe potuto dedurre la consistenza finanziaria del
defunto.
Chi si aggirava quel
giorno davanti ai viali alberati del vecchio cimitero era accompagnato da un
suono lamentoso di "cetté, cetteis, amen": con questa
espressione sincopata i bambini a modo loro traducevano il latino
"requiem aeternam dona eis Domine". Più
"recula materna" venivano recitati, più soldi impinguavano le casse
dei due istituti di beneficenza.
I poveri orfanelli e le
sventurate orfanelle avevano sostituito, loro malgrado, le lamentatrici
mercenarie che, in passato, partecipavano anche a Canicattì ai riti funebri –
piangendo e gridando le lodi del defunto - e la cui presenza era stata da tempo
eliminata grazie a provvidenziali decreti dei vescovi di Girgenti.
Dalle "Constituziones" del Sinodo Diocesano tenutosi nel
novembre del 1703 - sotto il vescovo Francesco Ramirez - apprendiamo che
queste donne erano sempre pronte ad offrire i loro servizi a quanti li
richiedessero Il vescovo minacciava la scomunica e, peggio, la fustigazione per
quelle che fossero risultate di dubbia moralità.
Altre modifiche
sarebbero intervenute in anni più recenti. Nei primi mesi del 1957 il sindaco
Vincenzo Marchese Ragona sostituiva il tradizionale trasporto funebre con
carrozze, utilizzando un moderno servizio con mezzi motorizzati.
Fino a quella data i
morti canicattinesi potevano godere di tre tipi di funerale: quello di prima
classe con una lussuosa carrozza trainata da quattro cavalli e preceduta da
tutti i preti, monaci, monache, orfanelli e orfanelle della città; quello di
seconda classe con carrozza trainata da due cavalli ed una partecipazione più
ridotta di preti, monaci, monache, orfanelli ed orfanelle; il funerale di terza
classe, detto dei poveri, prevedeva l'uso di una modesta carrozza trainata da
un cavallo e preceduta da un solo prete.
Nei primi anni Sessanta
una provvidenziale circolare della Prefettura vietò la partecipazione degli
orfanelli e delle orfanelle ai cortei funebri: un provvedimento sacrosanto che
contribuì, però, alla crisi dei tanti orfanotrofi che vedevano venir meno una
delle risorse fondamentali per il loro mantenimento.
Il 29 luglio 1979 la
Giunta Municipale presieduta dal sindaco Carmelo Sciascia Cannizzaro abolì i
tradizionali cortei funebri a piedi, con positivi vantaggi per il traffico
cittadino. Era un ulteriore passo avanti rispetto all'ordinanza del primo
dicembre 1972 con la quale il sindaco Vincenzo Bonsangue aveva fatto divieto ai
cortei funebri di seguire il tragitto più breve anche se non consentito dalla
segnaletica: pertanto i cortei non avrebbero più, ad esempio, attraversato il
corso Umberto nella direzione del cimitero, ma avrebbero seguito la normale
circolazione lungo la via Cesare Battisti.
GAETANO AUGELLO
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