Giuseppe Carlo Marino, QUEL CHE STIAMO VIVENDO: E’ REGRESSIONE O RIVOLUZIONE? PENSIERI DA SINISTRA

Che il disorientamento in proposito sia un fenomeno universale sembra confermato, e reso ancor più inquietante, dalla vacuità di contenuti e di senno critico di una sempre più vistosa proliferazione di saggi, libri, libretti e libercoli sulla globalizzazione e sugli altri contestuali processi in fieri nel nostro tempo (tra gli altri, soprattutto le fortune dei populismi autoritari, il neonazionalismo detto “sovranismo”, il revival mascherato di inedite forme politiche e culturali di fascismo, l’irreversibile crisi della liberal democrazia, ecc.).
Nell’interpretazione diffusa e prevalente il tutto è di solito consegnato ad una generica nozione di “crisi” di cui soprattutto i sopravviventi di generazioni in estinzione (ed anche molti giovani) avvertono angosciosamente l’intollerabilità e la presa soffocante. Ma, per quanto non sia facile avvedersene, il contenitore di tale interpretazione diffusa e prevalente è lo stesso “pensiero unico” (Gramsci direbbe l’egemonia) della globalizzazione capitalistico-finanziaria. Per quanto siano colte e raffinate le analisi, non se ne esce; vi si rimane dentro in confusione; la cosiddetta ”crisi” messa sotto osservazione viene letta e interpretata con le categorie stesse della… crisi, sicché l’impegno dispiegato per tentare di comprenderla (se non addirittura di fornire i mezzi critici per il suo superamento) si riduce a qualcosa di simile ad un pestare acqua torbida in un mortaio, senza che emerga la benché minima ipotesi di conoscenza circa il PERCHE’ quell’acqua affannosamente pestata sia stata messa lì nel mortaio e sia tanto torbida e maleodorante. La conseguenza inevitabile è un quasi patetico piangersi addosso, che fa da pendant alle tumultuose e impotenti reazioni alla cosiddetta “crisi” di quanti, subendone gli effetti, non hanno altro di meglio che protestare, imprecare ed insultare (in specie contro politici e banchieri).
Tra i più titolati e ed insistenti fomentatori e protagonisti del piagnisteo sono ben evidenziabili soprattutto quegli intellettuali assai critici e dolenti che, spesso per vergogna del loro stesso passato, non oserebbero più pronunziare persino il nome di Marx senza un impaurito “vade retro!”. Ma ci sono anche tutti quelli del “popolo” e delle folle che tanto più detestano la globalizzazione quanto più non riescono a farne a meno (soprattutto in termini di desideri e di consumi). Essi mentre da una parte accettano in toto il diktat del “pensiero unico” della globalizzazione che vieta le ideologie e tendono a rappresentarsi come delle soggettività neutre, per quanto combattive e giudicanti, “al di là di ogni destra e di ogni sinistra” (per esempio come i nostri “grillini”); dall’altra , piangono sugli effetti di un processo di cambiamento epocale che sta annientando le loro sicurezze e li condanna ad una drastica deprivazione di opportunità, di giustizia sociale e di diritti. E’ fin troppo comprensibile che essi non riescano a capire che è proprio il fatto di non riuscire più a distinguere in che cosa la “sinistra” differisce dalla “destra” quel che li inchioda al processo di arretramento di cui si lagnano, diventandone così, pur protestando, tanto vittime quanto inconsapevoli complici. Meno comprensibile è che un’analoga incapacità riguardi gli intellettuali, a maggior ragione se dotati di indiscutibile prestigio internazionale come i quindici autori (tra essi anche un inedito Bauman) raccolti, “da tutto il mondo”, con un buon lavoro del curatore Heinrich Geiselberger, in un recente libro edito da Feltrinelli, intitolato “LA GRANDE REGRESSIONE”, che dovrebbe “spiegare la crisi del nostro tempo”. Invero, se si insiste nel leggerlo con attenzione, si finisce per scoprire che il libro (nel caso, senza eccessivo pudore, con una certa moderata profumazione di “sinistra”) invero, mentre abbonda nell’analisi (per restare alla nostra metafora, pestando l’acqua nel mortaio), in realtà non riesce a spiegare proprio niente! Si potrebbe anche dire che si tratta di un libro paradossalmente reazionario fin dal titolo. Perché, vivaddio, come si fa a pensare che sia una “grande regressione” quel che sta avvenendo da alcuni decenni, che è uno dei più radicali e rivoluzionari processi di cambiamento epocale fin qui registratisi nella storia dell’umanità ovvero il passaggio dall’età della “rivoluzione industriale” a quella del tutto inedita (così l’ho per primo chiamata fin dall’anno 2000) della “rivoluzione elettronico-informatica”? A volere un po’ esagerare si potrebbe dire che ciascuno oggi può portarsi questa rivoluzione in tasca: basta possedere uno smartphone di modesta qualità.

Certo, per quanto fosse più armonico e rassicurante, provvido e benefico per molta gente, l’antico mondo su basi agricole non sarebbe mai stato migliore e più desiderabile di quello poi formatosi con la “rivoluzione industriale”. Lo stesso può dirsi oggi per l’ormai superato mondo della “rivoluzione industriale” rispetto a quello nuovo della “rivoluzione elettronico-informatica” che stiamo vivendo. Il problema, per quanti in esso oggi riescano ad avere sufficiente consapevolezza del valore rivoluzionario (e pertanto oggettivamente progressista) di quanto sta accadendo, non è tanto quello di temere una qualsiasi “regressione”, ma di riuscire a conseguire una gestione sociale e socializzante dei vantaggi e, se si vuole, anche dei rischi, della nuova rivoluzione. Un’impresa ardua di cui sono ancora deboli ed indecisi i primi tentativi che, per un lungo tempo, consisteranno in un faticoso provare e riprovare. Ed è questa l’impresa dell’avanzare verso il futuro nella quale la Sinistra è chiamata a traferire operosamente, innovandone l’incidenza civile e morale, la memoria della sua specifica tradizione per eliminare o almeno ridurre la portata dello sfruttamento capitalistico e per difendere e potenziare ad ogni livello le libertà civili e i diritti umani. Finché – verrebbe da sperarlo subito con una visione dialettica della storia, anche se pochi oggi, persino a sinistra, osano pensarlo - lo stesso capitalismo non sarà superato.
Giuseppe Carlo Marino

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