RADICI TEORICHE DELLE TESI DELL''VIII CONGRESSO DEL PCI
La mancata fondazione delle specifiche caratteristiche di classe dello Stato e della democrazia borghese, portano Engels a compiere, nella prefazione del 1895 al libro di Marx “Le lotte di classe in Francia”, un recupero delle istituzioni rappresentative che - Egli dice - il proletariato deve utilizzare come giusto e valido campo di lotta per il socialismo. Tale recupero da parte di Engels rappresenta una negazione della tesi di Marx e sua - come precisata nella prefazione al Manifesto del partito comunista del 1872, dopo l’esperienza della ‘Comune’ -, che “la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i propri fini” ed occorre invece “spezzarla”, come scritto da Marx a Kugelman il 12.4.1871.
La mancata fondazione delle specifiche caratteristiche di classe dello Stato e della democrazia borghese, portano Engels a compiere, nella prefazione del 1895 al libro di Marx “Le lotte di classe in Francia”, un recupero delle istituzioni rappresentative che - Egli dice - il proletariato deve utilizzare come giusto e valido campo di lotta per il socialismo. Tale recupero da parte di Engels rappresenta una negazione della tesi di Marx e sua - come precisata nella prefazione al Manifesto del partito comunista del 1872, dopo l’esperienza della ‘Comune’ -, che “la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i propri fini” ed occorre invece “spezzarla”, come scritto da Marx a Kugelman il 12.4.1871.
Il suddetto recupero delle
istituzioni rappresentative borghesi compiuto da Engels ha comunque costituito
il presupposto delle ipotesi revisioniste vecchie (Kautsky e Bernstein) e nuove (VIII congresso
del PCI); ipotesi fondate sul presupposto che sulla base di una certa
assunzione da parte dello Stato di funzioni dirette ed indirette nella gestione
dell’economia - (come
avvenne, ad esempio, con la costituzione dell’IMI nel 1931 e dell’IRI nel 1933,
per iniziativa di Beneduce, per dare un impulso, dopo la crisi del ’29, alla
ripresa dell’accumulazione e quindi perseguendo l’interesse generale
capitalistico) -, sia giusto sostenere la strategia dell’evoluzione al socialismo nella
democrazia senza soluzione di continuità.
- In Italia ed in Europa la
traduzione del leninismo ha avuto come cardine il VII congresso dell’IC del
1935 e l’ipotesi con quest’ultimo posta della costruzione di un blocco di forze
antimonopolistiche capace di restaurare la democrazia e gli istituti
democratici, quale ‘premessa storica’ per la lotta per il socialismo.
Il PCF, pur seguendo la
suddetta indicazione, mantenne fermi “lo
scopo finale” ed il ‘salto
rivoluzionario’, nonché la previsione della ‘dittatura del proletariato’ e quindi una conseguente struttura del
partito.
Il PCI, invece, adottando la
linea per una ‘democrazia progressiva’,
detta anche ‘democrazia di tipo nuovo’,
delineò con l’VIII congresso del 1956 i presupposti della strategia di passaggio
per via democratico parlamentare al socialismo; presupposti che specificò nella
lotta per la c.d. ‘socializzazione
dello Stato’, da perseguire nel parlamento che funziona, nello sviluppo
delle autonomie locali e della ‘democrazia dal basso’, e nella lotta per la
c.d. ‘politicizzazione dell’economia’,
da realizzare con la programmazione democratica e quindi con interventi dello
Stato in economia e con lo sviluppo controllato dell’accumulazione
(capitalistica). E nell’VIII congresso il PCI, a differenza del PCF, dissolse
definitivamente la tesi marxiana e leniniana della rottura dello Stato
borghese, negando conseguentemente, in
nome del pluralismo e della democrazia parlamentare, ogni ipotesi di
dittatura del proletariato.
Venne in tal modo portata a compimento
la linea delineata con la ‘svolta di
Salerno’ e la creazione del ‘partito
di tipo nuovo’.
Togliatti, nella nota
intervista a ‘Nuovi Argomenti’ (n.
20/1958), disse chiaramente che «oggi è stata formulata in modo generale
la tesi della possibilità di una avanzata verso il socialismo nelle forme della
legalità democratica ed anche parlamentare».
La indubbia pressione dei
grandi gruppi economico-finanziari a restringere i margini della democrazia,
definita da essi, nella Trilaterale degli anni ’70, come un inciampo per
l’accumulazione realizzata nel loro ambito, non deve a mio avviso tradursi nell'errore di ritenere che tutto lo schieramento politico borghese
capitalistico sia prono a tale auspicio. Al contrario quest’ultimo, perseguendo
l’interesse generale capitalistico, e quindi il conseguimento dell’egemonia in
senso gramsciano, deve mediare e media, come ad esempio fecero con abilità De
Gasperi, Moro ed anche Andreotti, tutti gli interessi presenti nella società
civile, anche degli artigiani e dei contadini piccoli e medi - unità produttive,
queste, non certo creatrici di per sé di pv,
ma utili e necessarie nella totalità capitalistica -; e deve mediare pure nei
riguardi degli interessi dei lavoratori attraverso tutele parziali, avendo
detto fronte politico borghese interesse ad attutire i contrasti di classe e
politicamente assorbirli. - (Un esempio chiaro ed illuminante di ciò lo ha
offerto Theresa May nel primo discorso fatto al parlamento dopo la sua nomina a
primo ministro della Gran Bretagna, in cui affrontò, ponendoli al centro della
sua attenzione e con l’obiettivo di incorporarli all’interno della gestione
borghese, i problemi affliggenti il proletariato).
Adottando il PCI la suddetta
linea dell’Internazionale comunista, il ‘potenziale
aclassismo’ dell’involucro democratico offerto dalla Costituzione del ’48
venne da esso eletto a campo di scontro tra fronte antimonopolistico e forze
reazionarie, entro i limiti della stessa Costituzione, come detto all’VIII
congresso del 1956. E si disse che questa, per i suoi contenuti progressivi,
consentiva la marcia verso il socialismo nell’ambito della legalità
democratica.
Togliatti, già da prima
dell’VIII congresso, ebbe a chiarire bene detta concezione in un suo articolo
pubblicato sulla ‘Pravda’ il 7 marzo del ’56, dal titolo ‘Il Parlamento e la lotta per il socialismo’ (in
Togliatti, ‘Problemi del movimento
operaio’, 1962), in cui affermò: “La borghesia - (n. b. tutta la borghesia, non i soli
gruppi monopolistici, di cui parlava il VII congresso dell’I.C.) - esalta il parlamentarismo quando riesce a
mantenere al Parlamento il carattere di rappresentanza oligarchica. Lo
considera con diffidenza e sospetto, quando, sulla base del suffragio
universale e del principio di proporzionalità, si avanzano sulla scena
parlamentare imponenti forze di opposizione”. (N.
B. così non fu nel 1975-76) – E continua Togliatti nello stesso
articolo: “Possono queste forze sperare
di utilizzare il Parlamento per il passaggio al socialismo …? – Tutto dipende
dai rapporti di forza ….. – E’ necessario che …. il Parlamento sia eletto in
modo da essere un vero specchio del paese e quindi sia un vero Parlamento democratico”. (E’ qui da richiamare la
giusta e dura critica svolta da Marx nella ‘Critica
del programma di Gotha’ alla tesi sullo ’Stato libero’, ove dice che “in
quest’ultima forma statale della società borghese (la repubblica
democratica) si deve decidere con le armi
la lotta di classe”. - E Marx non era certo un estremista).
Nell’ambito della suddetta
concezione, teorizzata da Togliatti e fatta propria dal PCI nell’VIII
congresso, nasce finanche la tematica dell’equo
profitto, che avrebbe fatto inorridire Marx. E nel nome di Lenin, di cui
però si abbandona e censura il concetto di rottura rivoluzionaria e quanto ne
consegue, si sostiene, come già prima accennato, che il passaggio al socialismo
nella democrazia parlamentare avverrebbe attraverso il processo di
socializzazione della politica e di politicizzazione della società civile,
pervenendosi al un illusorio ‘Stato di
tutto il popolo’.
Nella concezione di
Togliatti e dell’VIII congresso del PCI è contenuta quindi la pretesa illusoria
di risolvere la contraddizione-separazione fra società politica (Stato) e
società civile, senza spezzare i rapporti di produzione capitalistici che, come
Marx ripete anche nella ‘Critica del programma di Gotha’, sono il reale
fondamento della suddetta separazione.
Ingrao tentò di dare
risposta a questo problema approdando ad una concezione ‘organicistica’. Egli
in uno scritto del 1963 su ‘Critica
Marxista’, dal titolo ‘La crisi degli
istituti rappresentativi’, ebbe infatti a dire che «la lotta per lo sviluppo ed il
rinnovamento delle assemblee elettive è … un momento peculiare della nostra
battaglia per l’espansione della democrazia, per svilupparla sino in fondo
secondo l’affermazione di Lenin, sino alla costruzione di una società
organica, non più scissa in sfruttatori e sfruttati».
Senza, peraltro, dire come verrebbero superati i rapporti di produzione
capitalistici. - (Va ricordata la puntuale e corrosiva critica di Marx alla hegeliana
teoria organicistica dello Stato, svolta nella Critica della filosofia del
diritto pubblico di Hegel).
Va qui detto non solo che
Ingrao si mosse sempre all’interno della linea dell’VIII congresso, ma che
anch’Egli ha fatto un uso strumentale di Lenin, negando la sua teoria che, sia
pur con alcune contraddizioni nascenti a nostro avviso dalle difficoltà incontrate,
si specificò nella tematica del dualismo di potere e della rottura
rivoluzionaria per la conquista dello stesso e quindi della dittatura del
proletariato, e che si materializzò nelle varie fasi della rivoluzione
bolscevica.
Luigi Ficarra – 26 marzo
2017
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