Il barone Francesco
Lombardo è, a mio giudizio, la persona più importante nella storia della città
di Canicattì: nel campo economico, finanziario, culturale e nella
rivendicazione di importanti riforme come le modifiche delle circoscrizioni
territoriali e l'abolizione delle decime ecclesiastiche. Determinante altresì
il suo impegno in favore della modernizzazione del settore agricolo che sarebbe
diventato il volano dell’economia locale.
Nacque a Canicattì,
da Giuseppe e Francesca Gangitano, il 14 febbraio 1835. Ebbe un fratello,
Nicolò, che morì celibe nel 1898 e una sorella, Maria, che sposò Nicolò La
Lumia. Nel 1860 contrasse matrimonio con donna Cristina Caldara di Siculiana,
figlia di Antonio e di donna Orsola Agnello del fu barone Stefano.
A fine Ottocento la mappa dei beni della sua famiglia era,
nelle linee essenziali, la seguente: Palazzi: via senatore Gangitano, via
Palermo (oggi via don Minzoni), via Minghetti, via Trapani; Villa
Firriato-Casalotti; Terreni (i più estesi): in territorio di Canicattì Grasta
(437 ettari), Graziano di Buccheri e Graziano di Giovanni (483), Aquilata e
Grottaffumata (140), Gulfi (62), Giarra (13); in territorio di Mazzarino
Brigadieci (192); in territorio di Licata Pozzillo (124); in territorio di Naro
Gibesi Milazzo (664), Gibesi Tortorici (475), Virgilio (275), Grazia Adamo
(119), Andolina (9), Margiovitale (4), Giummello (9); in territorio di Piazza
Armerina Sartavilla (195) e Rabutano (50). In totale circa 5.000 ettari.
Per favorire il processo di sviluppo delle campagne ritenne
opportuna la presenza dei contadini accanto alle terre da coltivare e, a tale
scopo, fece costruire numerose case coloniche; inoltre realizzò nei suoi feudi ben
60 chilometri di strade carrozzabili interpoderali. Una sua importante attività
imprenditoriale fu l’allevamento dei cavalli.
Particolare cura
dedicò alla coltivazione del mandorlo di cui la Sicilia, insieme alla provincia
di Bari, era la più grande produttrice del mondo. I canicattinesi, grazie
all’intraprendenza del barone Lombardo, svilupparono tale coltura, che
soppiantò la vite, dopo un’epidemia di
fillossera, e adottarono nuove tecniche di coltivazione.
La coltivazione del mandorlo fu curata con profitto anche dall’avvocato Diego
Gangitano (1854-1922). Egli, dopo pazienti e minuziosi esperimenti, avendo
osservato che nella zona di levante e mezzogiorno si produceva abbondantemente
il mandorlo, mentre il raccolto era scarso in quelle di ponente e tramontana,
s’adoperò per ottenere un ibrido a fioritura tardiva, in una stagione cioè meno
soggetta al gelo. E ciò in quanto aveva intuito che l’insufficiente produzione
era dovuta al congelamento del fiore e del frutto dopo l’alligamento. Il frutto
da lui ottenuto fu in seguito indicato dal popolo col nome di mennula Gangitanu.
Canicattì, in tal modo, cominciava ad esportare mandorle
sgusciate a Parigi, Londra, Bruxelles, Berlino ed anche San Pietroburgo.
Restavano in paese, per le normali provviste alimentari, olive, carrube, mele
cotogne, gelsi e soprattutto fichidindia che venivano coltivati in grande
quantità, in particolare in contrada Rinazzi. Presenti nel territorio numerosi
canneti e pistacchieti, oltre ai tradizionali giardini e orti.
I terreni erano in prevalenza coltivati a seminativi
alberati e semplici, a vigneti alberati e semplici e ad alberi misti. Il barone
Lombardo trasformò profondamente la struttura del territorio agricolo di sua
proprietà, divenendo esempio per gli altri possidenti, e fu il pioniere del
ciclo rotativo delle colture. Introdusse, altresì, per la prima volta a
Canicattì la cosiddetta affittanza
agricola e cioè la cessione a cooperative di contadini di parte dei suoi
terreni.
La politica agricola portata avanti dal barone Lombardo nel
territorio canicattinese fu un’eccezione all’interno della società siciliana di
fine secolo, caratterizzata ancora, in gran parte, da condizioni di tipo
feudale e interessata ancora marginalmente da fenomeni che si andavano
sviluppando su scala nazionale, come la lievitazione dei salari conseguente
alla ridotta offerta di manodopera. Mancavano in Sicilia istituti di credito
sensibili ed aperti alle nuove esigenze e i contadini erano costretti ad
utilizzare il credito concesso da latifondisti e gabelloti a tassi usurari che
potevano arrivare a livelli altissimi. La politica governativa, favorendo il
drenaggio delle risorse dal sud al nord, impoveriva ulteriormente i contadini
ed i piccoli proprietari. Nei vasti latifondi prevaleva ancora la coltura
estensiva; non venivano utilizzate le risorse idriche presenti in quantità adeguata;
i contratti di affitto erano onerosi e non potevano certo incoraggiare le
necessarie migliorie nella conduzione delle aziende. A fine Ottocento un gruppo
di proprietari terrieri e imprenditori siciliani cercò di migliorare le
condizioni dell’agricoltura attraverso la costituzione del Consorzio Agricolo
Siciliano.
Nel novembre 1901 a Canicattì fu costituita la Lega
Cattolica fra Contadini che si aggiungeva ad una Cooperativa di consumo ed
assicurazione del bestiame che, unica in Sicilia, operava in città già da
qualche anno. Tra i lavoratori della terra, su iniziativa della Lega Cattolica,
furono stipulati i Patti agrari che davano delle indicazioni precise sulla
preparazione del maggese, sulla scelta delle sementi, sulla divisione della
produzione (due terzi al proprietario, un terzo al mezzadro), sulla semina a
solchi alterni e sulla semina della sulla, sulla coltivazione dei legumi nelle
terre scapole, dette strazzature, sul
pagamento dell’assicurazione (metà il proprietario, metà il mezzadro), sul pagamento
della guardiania (due tumoli a salma
di maggese, da pagarsi in parti eguali tra proprietario e mezzadro), sulla
quantità e sulla qualità della paglia che il proprietario doveva fornire al
mezzadro per il mantenimento degli animali.
Per le sue iniziative il barone Lombardo ebbe il plauso
della stampa locale e regionale e, soprattutto, della Commissione di inchiesta
parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella
Sicilia, che si concluse, nel 1910, con la pubblicazione della monumentale
opera di Giovanni Lorenzoni Inchiesta
parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella
Sicilia.
Francesco Lombardo fondò la “Lega Siciliana per la Riforma
delle Circoscrizioni Territoriali” con l’intento di adeguare l’estensione dei
singoli comuni al nuovo ruolo da essi assunto nella vita economica e sociale.
Esistevano situazioni davvero assurde: Canicattì, allora, con una popolazione di 25.000
abitanti possedeva un territorio di appena 5.563 ettari, mentre la vicina Naro,
con una popolazione di 10.000 abitanti, possedeva un territorio di 14.145
ettari. Ancora più forte lo squilibrio con Girgenti e Caltanissetta: i due
capoluoghi, con 24.000 e 30.000 abitanti, usufruivano, rispettivamente, di un
territorio di 37.000 e 42.000 ettari. I proprietari terrieri di Canicattì
pagavano la gran parte delle tasse ai comuni vicini che avevano grande
disponibilità di soldi per la realizzazione di opere pubbliche mentre il comune
di Canicattì aveva difficoltà a realizzare anche interventi di prima necessità.
Il barone Lombardo, collaborato dall’avvocato Giovanni
Guarino Amella, portò avanti una serie di iniziative: deliberazioni dei
consigli comunali interessati, interrogazioni parlamentari, articoli su varie
testate locali e regionali, distribuzione e compilazioni di questionari,
riunioni e pubblici comizi.
Il tutto culminò nell’incontro del 9 febbraio 1905 a Roma -
nella Sala degli Orazi e dei Curiazi del Campidoglio - cui parteciparono un
migliaio di rappresentanti dei vari comuni, circa cinquanta sindaci, numerosi
senatori e deputati. Canicattì era rappresentata da una delegazione guidata dal
barone Francesco Lombardo, che prese la parola e chiese ed ottenne
l’approvazione del seguente ordine del giorno: “I sindaci componenti la Lega
siciliana fanno voti che senza ulteriori indugi venga approvata dal Parlamento
la legge che assicuri la pronta costituzione delle circoscrizioni territoriali
in Sicilia; deliberano di recarsi in corpo dal Presidente del Consiglio e dai
membri del governo siciliani per esporre lo stato d’animo delle popolazioni e
l’impellente necessità di provvedere. Danno mandato al consiglio direttivo di
fare quanto è opportuno per il raggiungimento dello scopo”.
Per i contrasti tra i vari comuni, appoggiati di volta in
volta da deputati in lotta tra loro, le varie iniziative non ottennero i frutti
sperati. Un risultato consistente si sarebbe avuto soltanto alla fine degli
anni Venti. Col Decreto Legge n. 383 del 17 marzo 1927 al capo del governo
Benito Mussolini venivano conferiti pieni poteri per “provvedere ad una
revisione generale delle circoscrizioni comunali”, attraverso “ampliamenti,
riunioni o modificazioni”. La riforma nel decreto era indicata come “necessaria
ed urgente”. Il governo aveva a disposizione due anni per procedere a tutti gli
adempimenti necessari.
La riforma fu attuata nei due anni previsti e, col Regio
Decreto del 25 marzo 1929, il Comune di Canicattì vide riconosciute, seppure in
parte, le proprie ragioni, raggiungendo l’attuale superficie territoriale di
9.142 ettari.
Con un’altra iniziativa, la costituzione della “Lega di
Resistenza contro le Decime Regie Siciliane”, il barone Lombardo lottò, con
molti sindaci siciliani da lui guidati, per ottenere l’abolizione di un
anacronistico balzello rimasto in vigore, dopo l’unità d’Italia, solo in
Sicilia: i proprietari terrieri, anche i più piccoli, dovevano versare ogni
anno, in natura o mediante commutazione in denaro, la decima parte del raccolto
di frumento ed orzo alle varie curie vescovili e, soprattutto, a quella di
Girgenti, una delle più ricche dell’isola.
Anche in questo caso
furono assai numerose e partecipate le iniziative promosse dal barone. Domenica
10 febbraio 1901, nell’atrio dell’ex convento di San Domenico, a Canicattì, si svolse
un comizio contro le decime. Nonostante la propaganda contraria degli ambienti
clericali “che sottomano andavasi facendo” e “nonostante la rigidezza del tempo
e la minaccia della pioggia, migliaia di cittadini, preceduti dalla banda
cittadina, accorsero nel vasto cortile delle Scuole, cosicché gran parte
restarono fuori dell’atrio, già gremito” (Cronaca
in Bollettino della Lega contro le Decime
Regie Siciliane, Canicattì, 17 febbraio 1901). Dopo l’intervento del
Presidente del Comitato locale, l’ avvocato Vincenzo Falcone lesse un ordine
del giorno che fu approvato per acclamazione. La folla, quindi, accompagnata
dalla banda cittadina, si diresse al Municipio, riunendosi sotto il balcone da
cui si affacciò e pronunziò un breve discorso il sindaco Enrico Gangitano.
Una manifestazione davvero imponente si svolse al Politeama
Garibaldi di Palermo il 19 marzo 1901: vi furono rappresentati ben 216 comuni.
Nel 1902 andò a Roma una delegazione - guidata dal barone Lombardo, presidente
della Lega, e dal segretario della stessa, avv. Giovanni Guarino Amella - per incontrare alcuni componenti del governo.
Nel febbraio del 1905 Francesco Lombardo si recò ancora a Roma per sollecitare
l’approvazione del disegno di legge Ronchetti-Maiorana che avrebbe dovuto
abolire le Decime.
L’impegno del barone Francesco Lombardo contro le decime
ecclesiastiche ed in favore delle nuove circoscrizioni territoriali ebbe
ovviamente vasta eco all’interno del Consiglio Comunale di Canicattì che, nella
seduta del 9 febbraio 1905, decise di tributargli grandi accoglienze al suo
ritorno dalla capitale.
Al rientro in città il barone Lombardo fu salutato con
gratitudine e affetto dal Consiglio Comunale e dai suoi concittadini: fu per
l’occasione curata la pubblicazione di un Omaggio
della Cittadinanza Canicattinese al Barone Francesco Lombardo che recava
alla fine 190 firme “del Clero, dei Civili, dei Rappresentanti delle Scuole,
dei Rappresentanti della Società, del Cittadini”.
La lotta portata avanti dal barone Lombardo contro le decime
ecclesiastiche si sarebbe conclusa, dopo la sua morte, con l’approvazione della
Legge 27 giugno 1912, n. 639, che avrebbe accolto in parte la proposta di
abolizione del balzello.
Francesco Lombardo fu anche protagonista della vita
culturale ed artistica di Canicattì. Invitò il grande architetto palermitano
Ernesto Basile per la realizzazione di un progetto di trasformazione ed
ampliamento di un vecchio baglio agricolo in contrada Firriato-Casalotti..
Dopo Palermo, Roma, Messina e Marsala, Canicattì è la città
dove il Basile ha progettato e realizzato il maggior numero di interventi,
seguita da Catania, Caltagirone e Licata. Del 1895 è la realizzazione, per
conto dei Chiaramonte Bordonaro, del corpo di ingresso del Castello di
Falconara; intervento collegato alla presenza del Basile a Licata, anche se il
Castello si trova nel territorio del Comune di Butera. Gli interventi del
Basile a Licata riguardarono la trasformazione ed ampliamento, con annessa
torre dell’orologio, di un edificio già esistente da adibire a sede del
Municipio (1904) e la progettazione dell’ampliamento della Villa
Urso-Cannarella (1907); il Palazzo Municipale di Licata fu tuttavia completato
soltanto nel 1929.
La trasformazione e l’ampliamento
del vecchio baglio del Firriato fu realizzata da Ernesto Basile nel 1897-98.
Attorno al blocco centrale della
palazzina “Giarra” furono realizzati magazzini, stalle, alloggi, forno, la
guardiola e l’elegante torre-serbatoio con orologio. In particolare il progetto
relativo alla palazzina “Giarra” mirava alla trasformazione di una residenza
colonica già esistente in un edificio destinato a soddisfare esigenze varie.
“All’impiego utilitaristico rimaneva destinato il piano terrano
(originariamente previsto come magazzino e forse anche come luogo per lo
svolgimento di attività amministrativo-gestionali), mentre i quattro livelli
superiori dovevano essere adibiti a residenza occasionale della famiglia del
proprietario…uno dei protagonisti del movimento di orientamento riformista e
garantista (con precisi intenti anti latifondisti), volto alla rinascita
dell’agricoltura in un’ottica di modernizzazione produttiva e di rilancio delle
comunità agricole. La trasformazione e l’ampliamento del baglio, chiamato
“Villa Firriato”, ne costituiscono una sorta di manifesto programmatico (Ettore
Sessa, Ernesto Basile–Dall’eclettismo
classicista al modernismo, Palermo, 2002).
“In un territorio di agricoltura avanzata, già servito dalla
ferrovia e prossimo alla città portuale e industriale di Licata (per il
traffico delle raffinerie di zolfo), l’insediamento era una via di mezzo tra la
tradizione di matrice utilitaristica della tenuta modello e l’idea di stampo
utopistico della comunità agricola. Il duplice aspetto è riverberato nei
caratteri dominanti di questo complesso produttivo: da un lato la
razionalizzazione, in un recinto articolato, dell’ordinamento distributivo dei
vari corpi di fabbrica… e il tono industriale delle opere di finitura e degli
elementi costruttivi...; dall’altro lato l’omologazione compositiva dell’opera
muraria su un oggettivo abaco di elementi che, pur nel ricercato tono
spartano…, costituiscono una sorta di incunabolo dei codici figurali delle
successive architetture palermitane di Basile nel suo primo periodo modernista”
(Ettore Sessa, ibidem).
Il linguaggio
artistico adottato nella trasformazione di questo baglio rappresentò un momento
importante nell’accelerazione della fase di transizione dell’attività di
Ernesto Basile iniziata, nel biennio 1896-97, con le innovazioni distributive
adottate nel progetto del palazzo dei principi di Deliella in piazza
Castelnuovo a Palermo.
Il Basile, sempre a Canicattì, avrebbe in seguito progettato
anche il Teatro Sociale (1899), il prospetto della Chiesa Madre (1901), la
sepoltura del barone Francesco Lombardo Gangitano (1898), lo scalone del
Palazzo dei La Lomia-Sammarco di piazza IV Novembre (1899), l’ampliamento dell’Ospedale
e del Ricovero di Mendicità (1903) e la modifica del prospetto della chiesa di
San Giuseppe, progettata nel 1907 ed ultimata nel 1909.
Nel 1899 il Basile disegnò uno schizzo prospettico, datato 3
febbraio, per la casa di campagna dell’ingegnere agronomo Diego Villareale. Lo
stesso artista disegnò il progetto di completamento della Casa Gangitano di
contrada Giarra. Al Basile il barone Agostino La Lomia ha attribuito la
realizzazione della cappella gentilizia della sua famiglia all’interno del cimitero
di Canicattì.
Francesco Lombardo fu anche un grande filantropo. Nel 1908
donò all’Ospedale di Canicattì – che in seguito sarebbe stato a lui intitolato
- la somma, allora davvero cospicua, di 325.000 lire. Con atto del 19 giugno
1909 assegnò una rendita annua di 4.000 lire, un credito di 8.500 lire, due chiuse di terre contigue al fabbricato
dell’Ospedale e due fondi in territorio di Piazza Armerina dell’estensione
complessiva di 245 ettari.
Francesco Lombardo morì a Canicattì il 21 gennaio 1910, alle
ore 11,30, all’età di 75 anni. I solenni funerali si svolsero l’indomani con
una straordinaria partecipazione di popolo.
Anche la nuova struttura ospedaliera di contrada Giarre,
inaugurata nel maggio del 1991, alla presenza del presidente della Regione Rino
Nicolosi e del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Salvatore
Lauricella, è stata intitolata al barone Francesco Lombardo.
GAETANO AUGELLO
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