LUIGI FICARRA, La tragedia dello stalinismo

 Non ricordo bene ora chi di voi me l’abbia chiesto.
La cosa non ha comunque importanza, mentre ce l’hanno indubbiamente i passi che più sotto vi trascrivo dalla lunga nota - (ben 40 pagine fitte di 35 righe ciascuna) – scritta da nostro zio, Giuseppe Granata nel 1958, sulla sua trentennale esperienza di insegnante di filosofia e storia nei licei. Nota che nel lontano  luglio 1994, dopo avergliene prima parlato di persona a Roma ed a Bolsena, inviai per posta allo storico Gastone Manacorda, che era stato collega di nostro zio nel Liceo di Perugia, nonché suo amico e compagno di partito.

Egli ne parlò nell’ultimo lavoro che fece come storico, pubblicato nella rivista “Studi Storici” n. 3/95, col titolo “Storia di un antifascista. Giuseppe Granata”. Nel quale riportò in appendice, a mio avviso sbagliando, solo la prima parte della sua nota. E compresi il perché di questa parziale e monca pubblicazione, riguardando la seconda parte, in prevalenza, la questione dell’intervento sovietico in Ungheria nel 1956 che nostro zio giustificò. Mentre Manacorda, pur esprimendo, come lui, una netta condanna dello stalinismo, lo criticò apertamente. Non fu, trovandosi in quel momento all’estero, fra i firmatari della lettera di aperto dissenso inviata nell’ottobre 1956 al Comitato centrale del PCI da oltre cento  intellettuali. Ma, ritornato in Italia, espresse nel novembre dello stesso anno la sua ferma opposizione in una riunione della commissione culturale del Partito, sostenendo che gli avvenimenti polacchi e ungheresi non potevano essere condannati semplicemente come un fenomeno "controrivoluzionario" e definì giustamente l'intervento armato sovietico e la dura repressione "il tragico punto di approdo di una politica sbagliata", non solo del partito comunista ungherese ma anche, in particolare, dell'Unione sovietica.
 Talvolta ho sentito dire che Giuseppe Granata sarebbe stato addirittura un ammiratore di Stalin. Nulla di più falso. D’altra parte basti pensare alla sua profonda amicizia politica non solo con Manacorda, ma anche con Aldo Natoli originario di Messina, più giovane di lui di circa dieci anni, deputato al Parlamento per cinque legislature ed uno dei più stimati dirigenti del PCI di Roma, specie negli anni ’52 – ’66, in cui fu capogruppo del partito nel Consiglio comunale della città. Il Natoli che, come noto, scrisse due libri importanti di ferma e seria critica della tragica storia dell’Urss e dell’Internazionale negli anni di Stalin: “Sulle origini dello stalinismo” – 1979, Ed. Vallecchi  e “L’età dello stalinismo” - 1991, Ed. Riuniti; e che come profondo studioso di Gramsci ha scritto un libro che tutti i compagni dovrebbero leggere: “Antigone e il prigioniero”.
- Ho, fra le tante cose, vivo ad esempio il ricordo del giudizio molto lusinghiero e compiaciuto che nostro zio diede del racconto di Sciascia “La morte di Stalin”, che penso ciascuno di voi abbia letto.
♦ Trascrivo ora di seguito alcuni passi tratti, come prima detto, dalla sua nota “Trenta anni di scuola”, perché abbiate una conoscenza piena della posizione che Egli ebbe nei confronti della tragedia che lo stalinismo rappresentò per tutto il movimento operaio.
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Da pag.28:

Raffrontate, per dirmi poi quale, secondo voi, è moralmente più degna, la condotta degli intellettuali ungheresi o quella di quei comunisti sovietici che, pur consapevoli degli errori e delle colpe di Stalin e pur augurandosi di ogni giorno che fosse quello della sua morte, chiudevano nel loro animo l’angoscia, sfiorando talvolta la disperazione, per non mettere in pericolo lo Stato socialista, la costruzione che era costata tanti sacrifici e che aveva davanti a sé, di questo li faceva certi l’incrollabile fede nella causa, un avvenire più sereno e umano”.

Da pag 31-33:

Tanto meno, a mio giudizio, è da condannare l’uso della violenza rivoluzionaria da parte del proletariato al quale la storia ha affidato il compito di  liberare con se stesso l’umanità tutta. Si può deprecare che anche questo decisivo passo nello svolgimento progressivo dell’umanità sia legato a quella sanguinosa maledetta necessità, ma non se ne faccia colpa al proletariato che ne ha pagato nei secoli e nei millenni lo scotto più alto. Un filo rosso scorre per tutta la storia: è il sangue proletario, degli umili, degli sfruttati che combattevano la guerra degli altri, che facevano le rivoluzioni e le controrivoluzioni per conto altrui: il sangue e il dolore dei proletari che lottavano per spezzare le catene o per difendere la conquistata libertà, gli spasimi degli schiavi crocefissi, dei partigiani sovietici impiccati dai tedeschi sulle forche natanti del Don, dei fellah torturati e massacrati oggi a due passi da noi in Algeria. Verrà meno un giorno la triste necessità ? Saranno liberati un giorno gli uomini dall’abominevole necessità di versare il sangue dei fratelli ? Io non solo lo spero con tutte le forze della mia anima, ma ne sono certo così come sono certo dell’avvento di una società senza classi.
Ogni violenza purché usata da politici e per fini politici è dunque lecita? Lecite anche le azioni di cui parlava la vostra compagna? Quei processi e quelle uccisioni ? No e poi no! Erano delitti ed eranoerrori: delitti perché contrati alle leggi scritte e non scritte del diritto e della morale, e anche errori perché danneggiavano la causa, la quale non poteva certo trarre vantaggio dal delittuoso, freddo massacro di innocenti. Ma come giudicare il comportamento di chi, sapendo, tacque davanti a quei delittuosi errori? La vostra compagna dice che fu complicità. Io vorrei pregarla di riflettere sul travaglio di quelle coscienze. Pensi che ci furono alcuni degli ingiustamente condannati che al processo scientemente e liberamente si dichiararono colpevoli perché temevano che la proclamazione della loro innocenza e lo smantellamento dell’accusa provocasse la sollevazione dell’opinione pubblica e turbamenti e moti che avrebbero danneggiato la causa più della ingiusta condanna.
Alla causa quegli spiriti nobilissimi fecero olocausto oltre che della vita anche dell’onoreAgli altri, vicini o lontani che sapevano o sospettavano, non fu dato di sacrificare nulla, fu dato solo di  dannare la propria animaLo stesso movente che spinse quegli innocenti a morire dichiarandosi colpevoli, spinse quanti altri a seppellire nel loro cuore certezze o sospetti, angoscia o disperazione. Lei – dissi all’alunna rivolgendomi ad essa per la prima volta direttamente – li ha condannati, ma io mi sarei aspettato da parte sua una più timida esitazione davanti al tormento che travagliò quelle coscienze, il più drammatico forse di questo tragico nostro tempo.
La ragazza stava coi gomiti sul banco e le tempie strette fra le mani. Nello sguardo che avevo sentito per tutta la lezione fisso su di me non lessi la persuasione, c’era solo un profondo turbamento.
Suonava intanto la fine delle due ore di storia e filosofia e io uscii dall’aula, le spalle più curve del solito, mentre gli alunni si alzavano in piedi  silenziosamente. Nessuno era venuto alla cattedra come spesso facevano per chiedermi un chiarimento o un’informazione bibliografica. Non c’era più nulla da chiarire e non c’era alcun testo a cui  rimandarli. Li avevo aiutati a sporgersi su uno degli abissi della coscienza contemporanea e ne erano rimasti sgomenti”.

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Penso voi sappiate che Giuseppe Granata ebbe anche un infarto nell’autunno del ’56, che compromise il suo stato di salute, già gravemente provato dalle sofferenze e privazioni subite nei lager nazisti ove era stato deportato come comunista.
Ricordando la sua nobile figura di filosofo e comunista, non riesco a comprendere chi oggi parla della tragedia dello stalinismo, esaltando con piacevole diletto Stalin, come se nulla fosse accaduto.

Un abbraccio
luigi

2 commenti:

  1. Anche ilProf.Giuseppe Granata si sbagliava sotto l'influenza nefasta di "Benito" Cruscev.
    A tutti coloro che nell'opera assidua ANTICOMUNISTA di denigrazione di STALIN citano soltanto opere ed autori degli anni 40/50 e con evidente MALAFEDE rifiutano l'approccio a stuti storici più recenti e documentati (specie dopo la desecretazione di molti archivi)
    UN INVITO
    a leggere: I VERBALI dei processi di Mosca tradotti in francese.
    e
    LUDO MARTENS S T A L I N
    Un altro punto di vista Zambon editore

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  2. Tutto questo gran sparlare di Stalin a 70 anni dalla sua morte serve solo a criminalizzare il comunismo e la sua opera realizzata che è stata la grande glorios Unione Sovietica che ci salvò dal nazismo a presso di 20 milioni di morti.
    Perchè si parla contro Stalin? Cui prodest?Certo per scoraggiare verso il Comunismo le nuove generazioni alle quali si offre la inutilee fedigrafa ipotesi socialdemocratica.

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