E’
interessante l’articolo di Galli della Loggia sulle “oligarchie che dominano
nella periferia italiana e che attraverso i loro esponenti troviamo ogni volta
alla testa degli istituti in bancarotta”.
E’
una radiografia ben fatta, utile a leggersi.
Con
un limite di classe di fondo però: ritenere che non vi sia un nesso delle
oligarchie locali con la politica nazionale e cioè col potere statale centrale.
E
con altri due errori, dovuti pur essi all’ideologia borghese propria
dell’autore, che lo portano a dire che lo “Stato italiano nella sua storia
unitaria” “ha sempre combattuto” contro le oligarchie che dominano
nella periferia per “far valere regole di legalità e fini collettivi più
ampi e più civili”; e ad affermare altresì che il dominio delle
oligarchie nella periferia, da Egli, ripeto, visto sconnesso dal potere statale
centrale, ha impedito di perseguire “l’interesse generale” capitalistico.
♦ La verità è che le oligarchie
della periferia intanto vivono e prosperano in quanto sono strettamente
connesse con il potere centrale statale. Cosi come avveniva ed avviene per la
mafia. L’avevano ben capito, parlando di questa, Franchetti e Sonnino nella
loro famosa inchiesta del 1876.
Sul
punto riporto quanto scritto in una mia passata relazione sulla mafia.
Scarpinato in
un interessante saggio, scritto assieme ad Ingroia, dal titolo <<Un
programma per la lotta alla mafia>>, pubblicato nella rivista
“Micromega”, n. 1/2003, così scrive: <<Paradossalmente il punto in cui
la riflessione per l’elaborazione del programma dovrebbe prendere il suo avvio
– il rapporto mafia e politica – è anche quello in cui, a muoversi sul piano di
una rigorosa aderenza alla realtà, la riflessione dovrebbe concludersi a causa
di un’intima contraddizione sistemica che ha reso sinora il problema
irrisolvibile. Tale contraddizione potrebbe formularsi nei seguenti termini :
se il fenomeno mafioso è espressione sistemica della “polis”, come può la
“polis” estirpare tale fenomeno senza contraddire se stessa ?>>. E
per chiarire quanto detto, Scarpinato e Ingroia riportano in nota al loro
articolo un passo della famosa relazione di Franchetti e Sonnino del 1876 :
“Questa facilità alla violenza nella classe che è fondamento di tutte le
relazioni sociali in Sicilia, fa sì che non solo essa non possa usare la forza,
che sola avrebbe, di distruggere l’autorità materiale e morale della classe
facinorosa (cioè della mafia), e d’impedire in generale l’uso della
violenza, ma ancora ch’essa sia cagione diretta per cui la pubblica sicurezza
persista nelle sue condizioni attuali”. --- “La forza – continuano
Franchetti e Sonnino – che deve dar la prima spinta al mutamento di queste
condizioni deve dunque essere assolutamente estranea alla società siciliana, e
deve venir da fuori: deve essere il governo”. – (Qui emerge a
mio avviso un errore proprio alla posizione di classe di Franchetti e Sonnino,
che impediva loro di vedere l’esistenza dell’autonomia delle classi popolari in
Sicilia, che si manifesterà in tutta la sua forza dirompente col movimento dei
Fasci dei lavoratori dal ’892 al gennaio ‘894, che fu represso con lo stato
d’assedio proclamato da Crispi e processi farsa che inflissero decine di anni
di galera ai suoi dirigenti). – “Ma – rilevano ancora Franchetti e
Sonnino – il governo appoggiandosi, …. come avremo luogo di dimostrarlo,
principalmente su quella classe dominante stessa, si trova in posizione
singolare. Da un lato il suo fine più immediato ed importante è di sopprimere
la violenza; dall’altro, per i principi che lo informano, si regge sulla classe
dominante (in Sicilia); e l’adopera come consigliera e in gran parte
come strumento nella legislazione e nella pratica di governo. Di modo che ha
in mano dei mezzi che sono in contraddizione col suo fine, e conviene che
rinunzi o al suo fine, o all’aiuto, e all’appoggio della classe dominante. Non
avendo rinunciato a questo, ha, per necessità, sacrificato quello”. “Dunque –
concludono Franchetti e Sonnino – nelle presenti condizioni di fatto e
coll’attuale sistema di governo che si appoggia sulla classe dominante (in
Sicilia), la cagione prima e il fondamento, non dell’esistenza, ma della
persistenza delle condizioni della pubblica sicurezza in Palermo e dintorni, è
la parte diretta e indiretta che ha in queste condizioni la classe dominante” (siciliana).
La
contraddizione sistemica del rapporto stato – mafia, individuato da Scarppinato
e Ingroia e molto tempo prima da Franchetti e Sonnino nella loro lucida
inchiesta, postula, per essere superato, una rottura rivoluzionaria.
La stessa
rottura che è necessaria per superare – abbattere le oligarchie
economiche-finanziarie che dominano nella periferia italiana ed il potere
statale borghese col quale sono in necessaria simbiosi.
♦ E’ falso quanto afferma Galli
della Loggia: che lo “Stato italiano nella sua storia
unitaria” “ha sempre combattuto” contro le oligarchie che dominano
nella periferia per “far valere regole di legalità e fini collettivi
più ampi e più civili”. Basterebbe solo pensare allo scandalo del Banco di
Roma del 1888, nel quale fu coinvolta tutta la classe dirigente nazionale
dell’epoca, da Giolitti a Crispi. E ricordare lo scandalo del Banco di Sicilia
ed il primo grande delitto di Stato, l’assassinio Notarbartolo del
gennaio 1893, che fu ordito da un politico legato al Crispi, Raffaele Palizzolo, detto ‘Il Cigno’. Ed in epoca a noi vicina la
pagina nera della P2 che vide coinvolta gran parte della classe dirigente
italiana.
♦ E’ pure falso che Galli della
Loggia dica che il dominio delle oligarchie nella periferia – (che, all’apposto
di quanto Egli scrive, va visto connesso al potere statale centrale) - abbia
impedito di perseguire “l’interesse generale” capitalistico.
E’
al riguardo sufficiente ricordare che le guerre coloniali iniziate nel 1882 col
proto-fascista Crispi videro l’unità di tutta la classe dirigente nel
perseguire un comune interesse imperialistico, il quale conobbe una meritata
sconfitta con la gloriosa vittoria degli etiopi nella battaglia di Adua del
1896. E ricordare poi l’unità di tutta la classe dirigente nella violenta
guerra contro la Libia del 1911, nella partecipazione alla prima guerra
mondiale, nella nuova guerra contro l’Etiopia - Abissinia del 1935 condotta con
armi di sterminio di massa; armi che Badoglio usò pure per sconfiggere la
gloriosa resistenza del popolo libico contro l’occupazione coloniale italiana.
Così
come è indubbio che Giolitti col suo malgoverno e con la sua politica di
integrazione di gran parte del socialismo italiano, perseguì allora un
interesse generale capitalistico.
Lanaro, nel suo
più importante saggio storico, ‘Nazione e Lavoro’, evidenziò giustamente
la continuità della classe dirigente borghese dello stato unitario italiano,
dall’800 al fascismo, nel perseguire comuni generali interessi di classe e di
dominio. E non a caso, Galli della Loggia, nel prendere la parola al convegno
organizzato dall’Istituto di Storia di Padova l’anno successivo alla morte di
Lanaro, si preoccupò di attaccare a fondo le tesi da quest’ultimo svolte nel
suo succitato saggio ‘Nazione e Lavoro’.
Mi rendo conto
che sono argomenti che meritano un maggiore ed ulteriore approfondimento, e
quindi mi scuso della estrema sinteticità della mia nota.
Luigi Ficarra
LINK
http://www.corriere.it/opinioni/16_agosto_07/quei-notabili-locali-soldi-potere-a910a6ee-5c0d-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml
Luigi Ficarra
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http://www.corriere.it/opinioni/16_agosto_07/quei-notabili-locali-soldi-potere-a910a6ee-5c0d-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml
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