Prefazione di
Ferruccio Parri
(nipote
del presidente del primo governo dell’Italia liberata)
Editrice People&Humanities
Prezzo di copertina: € 15,00
Per la richiesta:
commerciale@peopleandhumanities.it
PRESENTAZIONE DEL LIBRO A MILANO
"Gli interventi erano a tema
libero sul libro.
Mimmo Franzinelli ha sottolineato la coerenza del
libro con il quadro storico che fece da sfondo al governo Parri.
Aldo
Giannuli ha riconosciuto che il primo governo dell'Italia liberata fu
effettivamente estromesso da una manovra orchestrata da Togliatti e De
Gasperi.
Giorgio Galli ha evidenziato le novità storiografiche del testo
soffermandosi sul fatto che, come scrivo, l'8 settembre non morì la
Patria, che invece rimase viva nella lotta partigiana, ma il vecchio
Stato monarchico che aveva aperto le porte al fascismo; Galli ha
apprezzato la tesi della Resistenza che fu combattuta anche al sud da
quegli antifascisti che non si riconoscevano nei governi Badoglio e
Bonomi; ha apprezzato anche la tesi da me sostenuta che nell'estate del
1945 il conflitto tra democrazia (Parri) e liberalismo (Croce) ipotecò
la ventata rivoluzionaria della Resistenza.
Punzo, invece, pur
apprezzando che finalmente dal libro viene fuori l'immagine di un Parri
tutt'altro che sprovveduto, ha criticato la contrapposizione
liberalismo-democrazia che a suo parere non ci fu.
Tutti, infine, pur
ammettendo che il governo Parri cadde per un colpo di mano organizzato
da Dc, Pci e Pli, non si può definire vittima di un colpo di stato.
Concludendo, ho ribadito che Parri fu fatto fuori da un colpo di stato
civile, silenzioso, non violento, che mutò la natura democratica del
governo ponendola in continuità con la natura liberale dello stato
prefascista; da qui il formarsi di un antifascismo-regime e di un
antifascismo-movimento che spiega per quale motivo l'Italia riuscì a
darsi la più bella Costituzione del mondo ma anche la più tradita e
calpestata, come dimostrano gli ultimi stravolgimenti.
La manifestazione
è stata aperta dalla lettura dei saluti inviati dal sindaco di Milano
Pisapia e dal sindaco di Palermo Orlando" (M. I.).
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PRESENTAZIONE DEL LIBRO A PALERMO
Un momento della prima presentazione del libro
Palermo, 16 maggio 2015 |
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PAGINE TRATTE DAL VOLUME
Il colpo di stato del 1945
La caduta del governo Parri e l’autunno della Resistenza
Il colpo di stato del 1945
La caduta del governo Parri e l’autunno della Resistenza
L’anno della Liberazione - con i suoi uomini, pensieri, azioni e conflitti - è stato forzatamente incluso e stemperato dalla storiografia nella lunga periodizzazione storica definita generalmente “della transizione”, che inizia nel 1943 e finisce nel 1948 con il passaggio da un’Italia monarchica e fascista all’Italia repubblicana, parlamentare e costituzionale. Il concetto storiografico di “transizione”, tuttavia, contrasta vigorosamente con la rappresentazione storica della “liberazione”.
La transizione
presuppone un mutamento storico limitato, nel quale forme e sostanza della
continuità e della discontinuità con il passato convivono. La liberazione,
invece, implica un mutamento storico radicale, che non ammette soluzione di
continuità con il passato da cui ci si vuol liberare e contro il quale
s’insorge.
Incastrare il 1945
all’interno di un ciclo storico e ridurlo a uno dei molti momenti di un’epoca
di transizione, equivale a disconoscere la carica emotiva e politica di assoluta
rottura che l’anno della Liberazione contiene. Il 1945, infatti, possiede una
sua formidabile “unicità” storica, rispetto al 1943 e al 1948, che lo distingue
dal tempo storico compreso tra le due date; interpreta quello che i tedeschi
definiscono Zeitgeist, spirito dei
tempi. Il 1945, insomma, rompe violentemente con il passato e irrompe tra le
macerie della vecchia storia con una propria volontà di potenza rivoluzionaria
e morale, creatrice di una storia nuova.
Nel 1945 finiva
una guerra che era stata il campo di battaglia dei continenti ideologici che si
erano sedimentati nella geografia sociale e politica mondiale del Novecento. Il
liberalismo e il comunismo avevano sconfitto, uniti, il nazionalsocialismo e il
fascismo. L’immane conflitto aveva tuttavia spianato il cammino a una tendenza
ideologica che anch’essa, come il liberalismo e il comunismo, veniva da
lontano: quella della democrazia radicale, sociale, che nel corso
dell’Ottocento aveva conteso la scena al liberalismo, al comunismo e al nazionalismo
mediante il riformismo sociale francese, il laburismo inglese, il socialismo
della cattedra tedesco, la democrazia rivoluzionaria italiana. Sconfitta ed
eliminata nel primo dopoguerra dai fascismi, questa tendenza diventa energia
intellettuale nell’antifascismo, proponendosi di trasformare l’alleanza
militare tra liberalismo e comunismo in una cultura politica moderna, fondata
sulla sintesi democratica tra individuo e comunità, capitale e lavoro, riforma
e rivoluzione, giustizia sociale e libertà personale.
È quest’idea
politica e sociale della democrazia che il vento della Liberazione agita nel
1945 quando, sconfitto ed eliminato dalla storia il nazifascismo, occorre dare
un orizzonte politico all’alleanza militare tra liberalismo e comunismo. In
questo senso
non la transizione
ma la liberazione incarnava lo spirito del 1945. Elemento tangibile della
liberazione era non la mediazione ma la trasformazione. Lo spiega Hobsbawm
quando scrive che:
Tutte le tre aree
del mondo procedevano nell’epoca postbellica con la convinzione che la vittoria
sulle nazioni del Patto tripartito, acquisita con la mobilitazione politica
antifascista e con indirizzi politici rivoluzionari, come pure col ferro e col
sangue, aprisse una nuova epoca di trasformazione sociale[1].
Se la versione
politica della trasformazione sociale era la rivoluzione democratica, la sua
manifestazione economica stava nel principio dell’iniziativa pubblica. È ancora
Hobsbawm a evidenziarlo osservando che «dopo il 1945 tutti questi paesi respinsero
nelle intenzioni e nei fatti l’economia di mercato e aderirono ai principi
della direzione pubblica e della pianificazione statale»[2]
dell’economia.
È questo spirito
di liberazione e di trasformazione del 1945 che sospinge popoli e nazioni verso
la democrazia radicale. Nella Gran Bretagna del 1945 a vincere le elezioni di
luglio non sono i conservatori di Churchill ma i laburisti di Clement Attlee
con la parola d’ordine never again,
mai più, scagliata contro la società dei pochi privilegiati e della
disoccupazione di massa. In breve tempo, e abbandonando il vecchio principio
del gradualismo, il governo laburista riuscì a realizzare il socialismo dentro
la democrazia: i settori dell’energia elettrica, della sanità, dell’acqua, dei
trasporti furono tutti nazionalizzati; il Welfare
State potenziato; una poderosa azione riformista rivoluzionò l’intera
società britannica. Il governo di Attlee si era richiamato al senso di comunità
e aveva mobilitato il sentimento collettivo del popolo che in guerra aveva
resistito alla minaccia nazista e ai suoi terribili bombardamenti[3].
Pure in Francia, ricorda Stéphane Hessel,
a partire dal
1945, dopo una spaventosa tragedia, le forze in seno al Consiglio della
Resistenza si votano a un’ambiziosa risurrezione. È allora, rammentiamolo, che
nasce la Sécurité sociale così come la Resistenza l’auspicava, come il suo
programma prevedeva: «un progetto completo di Sécurité sociale, volto ad
assicurare mezzi di sostentamento a tutti i cittadini, qualora fossero inabili
a procurarseli con il lavoro»; «una pensione che consenta ai lavoratori anziani
di avere una vecchiaia dignitosa». Le fonti di energia, l’elettricità e il gas,
le miniere di carbone, le grandi banche vengono statalizzate. Come indicava il
programma, «il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione
monopolizzati – frutto del lavoro collettivo -, delle fonti di energia, delle
ricchezze del sottosuolo, delle compagnie d’assicurazione e delle grandi banche»;
«l’insediamento di una vera e propria democrazia economica e sociale, che
comporti l’eviazione dei grandi gruppi di potere economico e finanziario dal
controllo dell’economia». L’interesse generale deve prevalere sull’interesse
particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro
deve prevalere sul potere del denaro. La Resistenza propone «un’organizzazione
razionale dell’economia che garantisca la subordinazione degli interessi particolari
all’interesse generale e sia affrancata dalla dittatura professionale fondata
sull’esempio degli Stati fascisti», e il Governo provvisorio della Repubblica
se ne fa carico[4].
È significativo
notare che lo spirito del 1945 si manifesta e realizza in uno Stato monarchico
come la Gran Bretagna e in uno Stato di tradizione liberale come la Francia che
pure aveva tollerato il bonapartismo e subìto il fascismo di Petain; segno
evidente di una capacità della monarchia inglese e del liberalismo francese di
entrare in sintonia con lo spirito dei tempi accettando e favorendo la
trasformazione.
Sicuramente il
1945 appariva anche con un timore materiale dissociato dall’audacia spirituale.
In Unione Sovietica e negli Stati Uniti il 1945 non provocò trasformazioni
epocali e prevalse anzi una sostanziale continuità con il passato che,
addirittura, in America giunse a recuperare con Truman quelle politiche
economiche liberaliste che il New Deal aveva archiviato. Anche in Italia la
storia seguirà la linea della continuità che rinchiuderà nelle dorate prigioni
di un’interminabile (e interminata) transizione i partiti delle masse popolari
e la Repubblica che essi creeranno; segni evidenti di una contiguità dei due
partiti di massa, Dc e Pci, con l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti,
dell’incapacità del liberalismo italiano di sapersi rinnovare ideologicamente,
e della volontaria adesione di una parte dell’antifascismo al “partito della
transizione e della continuità”.
Ma nell’anno della
Liberazione pure in Italia lo spirito del 1945 agitava uomini e idee. Aveva
cominciato a manifestarsi nelle repubbliche contadine siciliane[5]
e nelle repubbliche partigiane che sperimentano l’autogoverno democratico in
quel «laboratorio politico» che anche fu «il movimento partigiano»[6];
nelle leghe sindacali che organizzano e dirigono le lotte sociali nel
meridione; nei Comitati di Liberazione Nazionale sorti in ogni regione, in ogni
città, in ogni azienda ed esaltati da Piero Calamandrei che, all’indomani
dell’insurrezione popolare, ne rivendica la funzione rivoluzionaria affermando
che:
durante il periodo
della lotta clandestina le sole forze politiche vive sono state quelle
raggruppate intorno ai comitati di liberazione: vive perché disposte a lottare
e a sacrificarsi. A queste stesse forze, e ad esse sole, spetta oggi il compito
di ricostruire il nuovo Stato italiano. Ad esse sole: questo è uno dei punti su
cui occorre avere idee chiare[7].
Si tratta di
movimenti sempre più dinamici che spingono in direzione non di un’ordinaria
transizione ma di una straordinaria trasformazione della vecchia realtà. In
questo senso si può dire che con la Liberazione del 25 aprile 1945 erompeva una
domanda rivoluzionaria di grande trasformazione delle strutture politiche,
sociali, economiche, culturali, istituzionali del paese. Morto l’8 settembre
1943 lo Stato liberale e monarchico generato nel 1861 dalla soluzione moderata
del Risorgimento, liberata dal nazifascismo la Patria, si trattava adesso di
ricostruire una nuova Italia con i materiali culturali e politici forgiati
nelle fucine del Risorgimento e della Resistenza; scolpendo, nel cantiere della
Costituente, la roccia della democrazia rivoluzionaria risorgimentale con gli
strumenti di autogoverno e di autogestione temprati dalla Resistenza.
Se l’Italia era
contemporaneamente attraversata da una tendenza alla continuità del vecchio
Stato, che rimetteva in discussione la “costituzione provvisoria” già approvata
nel giugno 1944, tuttavia lo spirito del ’45 si espandeva vigorosamente sulla
scia dell’insurrezione armata e dell’avvincente immagine di mutamento che essa
ispirava alle masse popolari. È in questo scenario politico generato
dall’insurrezione armata che entra in azione Ferruccio Parri.
Tornato
direttamente dal campo di battaglia della guerra partigiana, che gli altri
leader politici avevano vissuto da lontano; esponente di punta dell’unico
partito che non aveva alcun legame con il passato prefascista; estraneo al
sistema politico prefascista del quale invece Bonomi, Nenni, De Gasperi, Croce,
Togliatti avevano a vario titolo fatto parte (alcuni addirittura a contatto
persino col Mussolini ancora socialista, altri sostenendolo col voto in
Parlamento fino al 1925), Ferruccio Parri è l’uomo politico nuovo che incarna e
interpreta lo spirito del 1945 italiano.
Ancor
prima di essere indicato come presidente del Consiglio, aveva pubblicamente
affermato da Roma che:
in virtù
della guerra partigiana si è determinata una situazione profondamente diversa
da quella che ispira la politica attuale, e noi siamo venuti per rappresentare
al governo la necessità che la politica italiana si adegui alla situazione
nuova […] il cammino da percorrere è ancora lungo e duro; sarà pieno –
certamente – anche di delusioni; ma quella che intendiamo battere è l’unica
strada. Battiamola, vi garantisco che ne vale la pena e che se sapremo lavorare
questo può essere l’inizio del nostro secondo Risorgimento[8].
Con
questa convinzione ideale Parri accoglie la richiesta formulata dai sei
segretari dei partiti del CLN di presiedere il primo governo dell’Italia
liberata. Mobilitando il mito storico e politico del secondo Risorgimento,
s’inserisce nella sfida tra continuità e rottura, transizione e trasformazione,
prefiggendosi d’interrompere e rompere la tendenza alla continuità e alla
transizione.
[…] Indicative
le dichiarazioni che accompagnano il suo esordio e nelle quali risuona l’eco
del suo prediletto Giuseppe Mazzini che, nel discorso pronunciato il 10 marzo
1849 all’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, aveva esaltato
l’armonico legame tra governo e popolo [9].
Anche Parri, dopo avere ricordato che il suo governo aveva origine dal popolo,
dichiarava nel suo primo discorso da Presidente che:
Governo e
popolo sono la nostra idea, non sono due entità distinte e quasi avverse.
Questo governo […] è governo di popolo e deve governare per il popolo: tutto il
popolo, senza distinzione di partiti e soprattutto oltre i partiti, senza
distinzioni di regioni[10].
Ancora
prima si era appellato a quegli uomini e donne che rappresentavano la base
militante e combattente della guerra partigiana; lo ricorda Alessandro Galante
Garrone che racconta:
il 14
giugno 1945, durante le consultazioni per dar vita a un nuovo governo, in una
saletta di Montecitorio Parri iniziava il suo discorso con queste parole: «io
sono qui il signor partigiano qualunque»[11].
Queste
immagini del secondo Risorgimento, del partigiano comune, del governo oltre i
partiti, sollevano consenso negli ambienti più diversi e anche lontani dallo
stesso Parri e dal suo partito. Una personalità culturale come quella di
Giovanni Ansaldo, in quel momento prigioniero nel campo di Gross Hesepe, annota
nel suo diario il 16 giugno:
si è
dichiarato “al di fuori dei partiti”. La dichiarazione è importante. Se la
avesse fatta un politicante dei soliti, si potrebbe ritenerla una formula delle
solite; ma provenendo da un uomo della
nobiltà
d’animo di Parri, e della sua lealtà indiscutibile, è un impegno[12].
Persino
il movimento qualunquista mostra soddisfazione nella costituzione del nuovo
governo, ed entusiasmo nel suo presidente, mettendo il 23 giugno in evidenza
sul quotidiano del partito L’Uomo
Qualunque che:
Parri non
è, a quanto si dice e a quanto sembra, un uomo politico professionale, ma un
galantuomo che fino a oggi ha mangiato il sudato pane di chi se lo guadagna con
onesta e spesso ingrata fatica. Se è così, Parri è un uomo qualunque, è dei
nostri, non può né deve essere temuto se non dai cialtroni[13].
Sono i
riverberi dell’entusiasmo popolare che accoglie e saluta in Ferruccio Parri il
partigiano qualunque, l’uomo onesto, l’eroe popolare, il simbolo della
Resistenza. Un entusiasmo che si lega all’ardore proveniente dalla base
partigiana operante nei comitati di liberazione, militante nei partiti
antifascisti, ritornata nelle case, nelle fabbriche, nei campi, negli impieghi,
nella quotidianità. È indubbio che il sentimento di attesa che si diffuse a
livello popolare tra la fine del governo Bonomi e l’inizio del governo Parri
abbia contribuito a determinare nel paese il bisogno psicologico di un fatto
nuovo, da cui ricominciare. Questo bisogno psicologico, l’entusiasmo
dell’opinione pubblica, l’ardore della base partigiana conferiscono a Parri,
nelle prime settimane di vita del suo esecutivo, un carisma. E Parri ne è
consapevole a tal punto che «fin dall’inizio dell’esperienza di governo, egli
cercò di utilizzare il proprio carisma personale, quello di uno dei capi più
noti e amati della Resistenza»[14].
Questa
presenza carismatica Ferruccio Parri la riteneva necessaria per alimentare,
diffondere e difendere lo spirito del 1945: il valore della lotta partigiana
come guerra di Liberazione anche politica, la Resistenza come rivoluzione
democratica, l’unità antifascista come soggetto collettivo d’ideali comuni. È
stata biasimata a Parri un’attenzione eccessiva alla pedagogia civile piuttosto
che ad altre questioni ritenute più importanti; si sottovaluta, però, il fronte
culturale e ideologico della battaglia politica che Parri conduce nei cinque
mesi di governo. Come contrastare la tendenza politica alla continuità del
vecchio Stato e alla transizione se non popolarizzando il significato della
Resistenza? Parri non perde occasione, prima e durante il suo mandato, di
appellarsi al sangue dei caduti, alla dura lotta del partigiano, agli ideali
per i quali tanti giovani avevano sacrificato la vita; per richiamare
l’attenzione dell’opinione pubblica sull’importanza della Costituente per
costruire il presente e il futuro del paese.
All’indomani
della formazione del suo governo, il 23 giugno, in un radiomessaggio indirizzato
al popolo italiano, dichiara:
voi, papà
e mamme d’Italia, alle prese con lo spinosissimo problema giornaliero del
pranzo e della cena, voi vedete in prima linea le necessità materiali. Lasciate
che io metta in prima linea il lato morale […] è la premessa di tutto, la
premessa di ogni risurrezione. Abbiamo bisogno di una lunga e tenace opera di
educazione civile che ci liberi da un triste passato e da antiche eredità, che
dia agli italiani il senso della serietà morale […] Ed anche il problema
politico è d’importanza primordiale. La Costituente, papà e mamme d’Italia, non
sfama i vostri figli. Ma se noi non arriviamo, e presto e ordinatamente, a dare
all’Italia un nuovo assetto organico, perdiamo il frutto della nostra
liberazione, perdiamo la possibilità per domani di governare, di amministrare e
di ricostruire, perdiamo la stessa libertà, ed i nostri caduti saranno caduti
invano. Per questo ci hanno chiamato e ci siamo chiamati il governo della
Costituente, perché la Costituente sarà il coronamento della lotta di
liberazione, il fondamento della nuova società italiana, prologo della nuova
storia[15].
In questo
richiamo emozionante alla forza morale, all’educazione civile, al popolo dei
papà e delle mamme alle prese con le esigenze materiali, al sangue dei caduti,
al prologo di una nuova storia, c’è tutto lo spirito del 1945 italiano che
Parri porta al Viminale insieme all’esperienza unitaria della guerra di
Liberazione e alla parola d’ordine del primo e del secondo Risorgimento: la
Costituente.
[…] Secondo l’interpretazione corrente Parri si sarebbe
lasciato ingenuamente ingannare dai partiti credendo davvero che il suo sarebbe
stato il “governo della Costituente”, ossia della rivoluzionaria svolta
democratica proiettata di là del vecchio regime parlamentare. Egli, in buona
sostanza, non avrebbe compreso le dinamiche politiche che si svolgevano sotto i
suoi occhi; non avrebbe capito che il suo governo:
non rientrava
nella strategia di nessuno dei grandi partiti, ma affidava alla forza dei
simboli (‘la Resistenza al potere’) il superamento della fase più incandescente
del dopoguerra, rinviando ai mesi successivi il dispiegamento delle diverse e
contrastanti strategie di partito[16].
Non si tiene in
conto, però, che Parri aveva già vissuto la drammatica esperienza del primo
dopoguerra italiano che, pur avendo sprigionato una situazione rivoluzionaria e
provocato la crisi mortale del vecchio Stato liberale, era poi sboccato nel
fascismo per l’inadeguatezza del riformismo, l’inconcludenza del massimalismo e
l’esiguità del movimento democratico. Ora, nel 1945, quella situazione storica
si ripeteva ma non gli sfuggiva che il quadro era mutato: il fascismo
sconfitto, lo Stato liberale esaurito, l’antifascismo potente e consacrato da
una vittoriosa insurrezione armata che poteva essere proseguita politicamente.
Ed è quello che tenta di fare: la liberazione politica dopo la liberazione
armata. L’1 settembre, al primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale
Alta Italia, dirà alla platea dei partigiani:
voi avete il
dovere di riuscire a mantenere la collaborazione di gruppi sociali e di partiti
diversi su un punto di incontro e di equilibrio, che è il solo modo di dare il
vostro efficace contributo all’opera di ricostruzione […] Se riuscite a
mantenere questa posizione centrale di equilibrio della vita politica italiana
[…] se riuscite ad esser capaci voi partiti, voi tutti partiti, di una
autolimitazione delle vostre possibilità […] è il solo modo […] per arrivare
alla Costituente. Vi è dunque […] uno sforzo di contemperamenti di situazioni
particolari di partiti, che vi aspettano, e se voi riuscirete, darete una prova
che sarà la seconda dopo quella che avete dato, di capacità di liberazione del
popolo italiano: la prova della sua maturità politica[17].
Né a Parri
sfuggiva che la Resistenza subiva il condizionamento degli Alleati, soprattutto
dopo che a Roosevelt era succeduto Truman, e dei partiti, ancora una volta
incapaci di gestire un’autentica situazione rivoluzionaria e tarlati dalla
vocazione partitocentrica (quando non partitocratica). Proprio per questo egli,
accettando l’incarico di presidente del Consiglio, pone come condizione
politica la realizzazione della Costituente, che altro non significava se non
la realizzazione del mandato politico elaborato nel giugno 1944 dai partiti
antifascisti uniti e solennemente approvato dal governo allora in carica.
Tornando a quella parola d’ordine originaria, Parri tenta di bloccare ai
partiti le vie di fuga in avanti e in direzione opposta che mostrano di voler
imboccare, e indica la via dell’antifascismo unito in una sola e compatta forza
protesa verso la trasformazione:
Ricordatevi quale
è il primo impegno di questo governo, impegno col quale esso è nato: fare la
Costituente e farla bene […] Questo governo arriverà alla Costituente […] È un
impegno d’onore per il governo, è un impegno d’onore per me. Ma ne discende
direttamente un impegno d’onore per voi, per voi dei CLN[18].
Parri, del resto,
è perfettamente consapevole dei rischi, dei condizionamenti e delle trame cui
va incontro grazie anche all’opera dell’informatore Luca
Osteria, che aveva conosciuto e apprezzato per le sue capacità durante la
prigionia nazista, e che adesso invita personalmente a collaborare segretamente
con la presidenza del Consiglio. L’ha scoperto Florinda Aragona che spiega:
[…] Luca
Osteria fu incaricato di creare un servizio informazioni, utilizzando gli
uomini della “Squadra Ugo” alle dipendenze della presidenza del Consiglio. Il
servizio aveva come scopo un monitoraggio continuo e approfondito delle
attività dei partiti su tutto il territorio, soprattutto dei partiti appartenenti
alla coalizione governativa. Era composto da informatori ben ramificati nel
territorio nazionale, con ruoli e compiti prestabiliti[19].
A Roma,
Milano, Torino, Firenze, Napoli operano in incognito ufficiali, sottufficiali e
agenti di Pubblica Sicurezza che conducono inchieste e raccolgono notizie poi
convogliate con la massima riservatezza a Roma, direttamente sul tavolo della
presidenza del Consiglio, nelle mani di Ferruccio Parri.
Dalla
ricerca della giovane studiosa si apprende che:
Nelle sue
relazioni Osteria, analizzando la situazione politica italiana, riferisce
informazioni riguardanti i partiti, i movimenti politici, come quello dell’Uomo
qualunque o quelli neofascisti, monarchici, sovversivi, oppure la massoneria.
Osteria si sofferma soprattutto sulle strategie politiche del Pci e del Psiup.
Molte relazioni sono interamente dedicate alle iniziative e alle decisioni dei
partiti che si ponevano a sinistra nel panorama politico italiano, perché erano
state le più attive durante la Resistenza e perché avevano un peso notevole
all’interno del governo[20].
Si
potrebbe dunque dire che tutti sapevano ma tutti fingevano di non sapere quale cimento
politico tutti affrontavano nel chiuso della Resistenza antifascista.
[…] Come
scrive Giorgio Vaccarino, insomma, «tutta la storia del governo Parri è una
lotta fra i disegni, per quanto possibile avanzati, di una ricostruzione
democratica e le soluzioni a volta a volta compromissorie che la situazione
imponeva»[21].
Una lotta rivelatrice delle posizioni che maturarono all’interno della
Resistenza non sulla linea di confine nord/sud, secondo la nota e ancora oggi
prevalente tesi di Federico Chabod[22], ma
sulla bisettrice politico-culturale che taglia l’antifascismo in due poli distinti
e contrapposti: il polo della continuità e quello della trasformazione.
Lentamente, nel corso del tempo, secondo gli interessi particolari, i partiti
antifascisti pendolarono da un polo all’altro prima di scegliere
definitivamente dove sostare, separandosi e sgretolando così l’unità
antifascista.
[…] Può
certamente apparire irreale, col senno di poi, l’enfasi sulla Costituente.
Questo “irrealismo”, però, è una risorsa politica che Parri adopera contro il
realismo politico dei suoi avversari visibili e invisibili. È il Parri
mazziniano, in realtà, che viene fuori a sfidare i moderni seguaci del
Machiavelli. Per una singolare coincidenza della storia, alcuni mesi prima, nel
marzo 1945, Guido Dorso, che di Parri fu amico, aveva pubblicato sulla rivista L’Acropoli un saggio dedicato al «Mazzini
politico dell’irrealtà». Il pensatore repubblicano è studiato come chi sfida la
realtà politica e le forze, le istituzioni, i ceti, i loro equilibri,
compromessi, accomodamenti, piegamenti, in essa operanti. Attraverso Mazzini,
Dorso avverte che il 1945 richiede la concentrazione assoluta in una sola idea
che altra non può essere che la revisione critica di tutto il processo di
formazione e di dissoluzione dello Stato storico italiano, dal «capolavoro
diplomatico-istituzionale» di Cavour alla disfatta della «diarchia»
sabaudo-fascista. Il 1945 parve a Dorso il momento di volgersi a Mazzini. Come
scrive Luigi Compagna:
L’Italia
gli sembrava assetata di «irrealtà» e lungo le strade della «politica
dell’irrealtà» occorreva incamminarsi. Senza eccessive illusioni, ma anche
senza colpevoli rassegnazioni[23].
Si
potrebbe dire che fu precisamente quello che fece Ferruccio Parri nel suo governo e, mediante esso, nella
breve estate di fuoco del 1945. Se l’Italia aveva bisogno di una politica
dell’irrealtà egli gliela offrì, senza eccessive illusioni ma anche senza
colpevoli rassegnazioni, com’era nel suo carattere e nel suo stile, duellando
contro la realtà politica del suo tempo e i suoi equilibrismi, compromessi,
istituzioni, partiti.
[…] Parri, in
buona sostanza, vede che la linea della continuità e della transizione è già
stata tracciata; sa che il suo governo è chiamato a gestire una delicata fase
di quel processo di transizione; ma sfidando la realtà si propone di spezzare
il corso di quella linea richiamandosi a quella rivoluzione democratica che era
stata del Risorgimento e che ripropone alla Resistenza. Sarà sconfitto, come
Mazzini prima di lui; e il Partito d’Azione nato dalla Resistenza si dissolverà,
com’era già capitato al Partito d’Azione nato dal Risorgimento.
Michelangelo Ingrassia
[3] Alla storia
del primo governo laburista inglese ha dedicato un interessante documentario il
regista Ken Loach, significativamente intitolato The Spirit of ’45, uscito nelle sale cinematografiche nel 2013; si
veda la recensione di V. Agostinis, Ken
Loach resuscita lo spirito del 1945, «Europa», 20 marzo 2013; Hobsbawm, da
parte sua, rileva che quelle laburiste furono riforme senza precedenti nella
storia della Gran Bretagna
[4] S. Hessel, Indignatevi!, Add editore, Torino 2011,
pp. 6-7; si tratta, continua l’autore a p. 8, del complesso «delle conquiste
sociali della Resistenza che viene rimesso in discussione oggi». Pure in
Belgio, nei Paesi Bassi e nei paesi scandinavi è operata una trasformazione
sociale che caratterizzerà anche il mondo decolonizzato e l’Europa dell’est,
naturalmente con tutti i limiti che la storia registra e che attendono ancora
di essere analizzati e contestualizzati
[5] Si è già
accennato che tra il 1944 e il 1945 si sviluppa in Sicilia un esteso movimento
di rivolta contro il latifondo, il carovita e il richiamo alle armi; i moti
dettero vita a repubbliche autonome come quella di Piana degli Albanesi, in
provincia di Palermo, e di Comiso, nell’entroterra di Ragusa; si veda G.
Petrotta, Testimonianze di una repubblica
contadina, a cura di A. Lanza, Edizioni Centofiori, Firenze 1978; F.
Petrotta, La repubblica contadina di
Piana degli Albanesi nel 1945, prefazione di R. Mangiameli, La Zisa,
Palermo 2011; F. Capelvenere, La
Repubblica di Comiso, CM, Parma 2013. Le repubbliche siciliane sono oggetto
di una controversia storiografica e di volta in volta sono state interpretate
come fenomeni neofascisti, indipendentisti, qualunquisti, reazionari;
recentemente nuove interpretazioni collocano le rivolte e le repubbliche
nell’ambito di quella Resistenza dimenticata del sud.
[6] M. Rendina,
op. cit., p. 69
[7] P.
Calamandrei, Funzione rivoluzionaria dei
comitati di liberazione, «Il Ponte», n. 2, maggio 1945; nello stesso mese
di maggio 1945 il segretario del Partito Liberale Italiano Leone Cattani, che a
novembre sarà l’artefice della caduta di Parri, aveva brutalmente attaccato i
CLN auspicandone la liquidazione; l’1 giugno un accordo dei partiti sanciva il
declassamento dei CLN da organi di potere politico-amministrativo in organi
consultivi che collaborano con i prefetti; scompariranno definitivamente dopo
la caduta di Parri
[8] F. Parri, op. cit., p. 142
[9] Sul tema mi
permetto di rimandare al mio saggio La
democrazia dei doveri. Giuseppe Mazzini nel XXI secolo, «Rassegna Storica
del Risorgimento», fascicolo IV, 2005
[10] F. Parri, op. cit., p. 143
[11] A. Galante
Garrone, Messaggio, in AA. VV., Il Governo Parri. Atti autografi del
Convegno, Torino, Centro Studi Piero Gobetti, p. 4
[12] G. Ansaldo,
Diario di prigionia, Il Mulino,
Bologna 1993, p. 423
[13] Cito da A.
Guasco, Qualunquismo e azionismo,
«Trasgressioni», n. 1-2, 2005
[15] F. Parri, op. cit., p. 144
[16] A. G.
Ricci, op. cit., p. 125
[17] F. Parri, op. cit., pp. 177-178
[19] F. Aragona,
op. cit.; dall’autunno 1943 il questore Luca Osteria conduceva il doppio
gioco a danno dei nazisti con i quali fingeva di collaborare, fu Osteria a
tenere i contatti tra Parri e l’esterno nei mesi di prigionia nazista del
futuro presidente del Consiglio
[21] G.
Vaccarino, I partiti nel governo Parri,
op. cit., p. 48
[22] Nel testo
delle sue già citate lezioni parigine sulla storia d’Italia, Chabod contrappone
il moderatismo dell’Italia del sud, che non visse la Resistenza, al
rivoluzionarismo dell’Italia del nord, che invece fece la lotta armata di
Liberazione
[23] L. Compagna,
Mazzinianesimo di Guido Dorso, in AA.
VV., Mazzini nella cultura meridionale,
prefazione di P. Bandiera, Aldo Marino Editore, Catania 1987, p. 172; il saggio
di Dorso in «L’Acropoli», I, 1945
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