MARIA TERESA LENTINI, “Vite inedite” (ritrovarsi a Eataly Bologna)

Da quando, nel 2008, “Eataly” era approdato a Bologna, coinquilino della “Libreria.Coop”, al posto dell'ex cinema a luci rosse “Ambasciatori”, Sara e Beniamino, due disinvolti e gioviali ottantenni, ne avevano adottato il motto: Vieni a scoprire come nutrire la mente nella zona libreria all'interno di Eataly” e beati vi trascorrevano le ore girovagando fra gli scaffali pieni di libri, distolti soltanto dal profumo del cibo che stuzzicava loro l'appetito ma, ognuno per proprio conto e, ognuno, fino ad allora, ignaro della presenza dell'altro.

C'erano delle volte però, come oggi, che Sara avvertiva una strana vertigine, aveva la sensazione che qualcuno la stesse osservando e d'istinto si era voltata di scatto più d'una volta; attribuendone la colpa alla fame, decise così che era giunto il momento di mangiare qualcosa perché, ne era certa, la glicemia le stava giocando l'ennesimo tiro.
Comprò il libro di cui aveva sentito parlare, prese la scala mobile e salì al secondo piano per potersi sedere e pranzare con calma, come spesso faceva da quando era rimasta da sola.
Quel giorno aveva deciso di scegliere un menù vegetariano, dato che la proposta del piatto del giorno l'allettava non poco:
 “Peperoni di Capriglio” ripieni di salsa di ceci, zucchine, pere aromatizzate alle erbe, riso, uovo, pomodoro, pane e uvetta, adagiati su un letto di crema di “Fourme d’Ambert”, seguiti da una porzione di torta “Barozzi”, a base di mandorle e cioccolato, guarnita con crema inglese al Nocino; avrebbe poi ordinato un bel chinotto chè la faceva digerire e che, fin da piccola, le piaceva tanto.
A volte si lasciava andare a qualche gustosa coccola perché, diceva fra sé e sé, in fondo se la meritava proprio.
Si era ripromessa di leggere a casa il nuovo libro dato che, l'argomento trattato, le avrebbe suscitato non poche emozioni ma, com'era prevedibile, non riuscì nell'intento e così, prima iniziò a studiarne la copertina e poi a leggerne le pagine ma arrivata a metà del terzo foglio, la strana sensazione si fece ancora sentire e si voltò di scatto; anche questa volta, però, non notò nulla d'insolito e stava per sistemarsi meglio sulla sedia quand'ebbe un tale sobbalzo che per poco non cadde a terra...
Due occhi scuri la stavano fissando con insistenza ed era ancora spaventata quando l'uomo che le stava di fronte iniziò con una sequela di scuse: - Le chiedo scusa, il locale è parecchio affollato e ho approfittato della sedia libera, quindi io... -
L'uomo s'interruppe di colpo e l'attenzione del suo sguardo si spostò dalla donna al libro che lei teneva ancora in mano e si fece così pallido che, benché ancora scossa, Sara si preoccupò non poco.
Lentamente i loro occhi s'incontrarono e l'uomo, visibilmente più calmo, si presentò porgendole la mano ma, questa volta, fu Sara ad impallidire e con un filo di voce, tremante, anche lei si presentò, insieme, poi, i loro sguardi si posarono sul tavolo in cerca del libro, per ritornare ancora a scrutarsi a lungo in viso:
- Sei tu, il mio Beniamino... - disse lei - sei tu, la mia Sara... - disse lui e lentamente si guardarono intorno, sopraffatti dal luogo e dalla situazione:
- ricordi...? - disse Sara come in trance - il nostro amato cinema Eliseo, prima che diventasse il “cinemaccio” Ambasciatori... -  - lo ricordo, certo... - disse Beniamino - così come mi ricordo di te... le nostre famiglie erano amiche e abitavamo nello stesso quartiere... in quel palazzo giallo di via Valdonica e poi, quel giorno di aprile... ce li portarono via... lassù, in quel lager... quel posto in Cecoslovacchia... a Terezín, sì, la “città-fortezza”! - e lo disse indicando il libro - noi eravamo a scuola... ignari di tutto e quando tornammo non c'era più nessuno... le nostre famiglie erano scomparse, scomparse per sempre! –
Sara “la principessa” e Beniamino, “il figlio prediletto”, erano stati due bambini sereni e pur essendo nati e cresciuti nel “Chiuso degli ebrei”, erano fiduciosi e convinti che la guerra non li avrebbe mai sfiorati ma dopo l'arresto dei genitori, Sara venne affidata a dei lontani parenti di Milano; il padre era prigioniero a Terezin ma della madre si era persa ogni traccia.
Beniamino invece, era stato affidato ad una famiglia di Firenze dove, per un certo periodo, aveva anche ricevuto alcune lettere dal papà, detenuto nello stesso campo di quello di Sara; anch'egli non aveva più avuto notizie né della madre né della sorellina che quel giorno, per ironia della sorte, non era andata a scuola perché malata.
I ricordi fluivano veloci insieme alle informazioni che via via si scambiavano; avevano una vita di cose da raccontarsi, una vita ancora da definire e da capire; una vita ancora da elaborare, da sostenere, da ammansire...
Il libro che Sara aveva acquistato e che Beniamino aveva letto qualche tempo prima, raccontava la storia di Kurt Gerron, un attore, cantante e regista fra i piú amati dal pubblico tedesco che, deportato a Terezín, sotto minaccia, fu costretto a girare un film propagandistico per ingannare la Croce Rossa Internazionale e l'opinione pubblica, circa la politica razziale del Terzo Reich, dal titolo in italiano: Terezín. Un documentario sul reinsediamento degli ebrei”.
Gerron, nonostante la promessa di avere salva la sua vita e quella della moglie, dopo le riprese, verrà deportato ad Auschwitz e ucciso nelle camere a gas insieme a quest'ultima e alla maggior parte dei detenuti che avevano fatto parte del cast; oggi, del film completo, rimangono solo alcuni frammenti.
Terezín, costruita nel 1780, su progetto di un architetto italiano, dall’imperatore Giuseppe II e dedicata alla madre Maria Teresa d'Austria, nacque come città-fortezza, trasformata in seguito in un campo di prigionia e utilizzata dai nazisti come luogo temporaneo di convogliamento, anticamera cioè del viaggio ad est verso i campi di sterminio di Auschwitz e di Treblinka.
Simile a tutti gli altri campi, Terezín ebbe tuttavia una propria incredibile “peculiarità”: in poco tempo il campo era stato trasformato in una “comunità modello per ebrei”, con ameni vialetti disseminati di panchine e rosai in fiore; graziosi edifici decorati, con piscina e giostre; biblioteca, banca, ufficio postale, scuole, negozi e persino un teatro e una sala da concerto: un Eldorado di cartapesta, un cinico strumento della campagna propagandistica dei nazisti, utilizzato come un palcoscenico da esibire; un sepolcro imbiancato che riuscì persino ad ingannare qualcuno dei suoi stessi abitanti e ad infondergli un barlume di speranza.
Fu durante l'ispezione della Croce Rossa al campo che l'opera teatrale per bambini, dal titolo “Brundibar”, del compositore praghese Hans Khrasa lì detenuto, fu eseguita per la prima volta; i quaranta bambini che vi presero parte ricevettero, quel giorno, cibo in abbondanza e persino dolciumi ma, di questi, soltanto l'allora tredicenne Paul Aron Sandfort sarebbe sopravvisuto allo sterminio.
L'opera narra di due fratellini, Aninka e Pepicek, dei loro sforzi per aiutare la madre malata, dell'aiuto offertogli da alcuni amici per sconfiggere il cattivo Brundibár, un suonatore d'organetto, che voleva derubarli.  
Fra i deportati, il successo di Brundibár fu enorme, l'opera conteneva in sé tutta la potenza della forza eversiva che i tedeschi non riuscirono a cogliere.
Dei centocinquantamila ebrei che confluirono a Terezín, di cui quindicimila bambini sotto i quindici anni, soltanto diciassettemila furono i superstiti liberati l’8 maggio 1945 e di questi, soltanto un centinaio erano bambini.
Incredibilmente, Sara e Beniamino, che all'epoca della guerra avevano solo nove anni, a distanza di settant'anni si erano nuovamente ritrovati e proprio lì, a Bologna, dov'erano nati e dove già da molti anni erano tornati a vivere.
Ora, come ad un segnale convenuto, con gli occhi negli occhi, lasciarono che i dettagli dei loro ricordi diluissero fra le pieghe del tempo.
A lungo parlarono di quel luogo a loro familiare, chiamato “Mercato di Mezzo”; un vicolo, ricoperto nell'800 con una tettoia in ferro e legno, che collegava via Degli Orefici a via Drapperie e perfettamente incastonato tra la facciata trecentesca dell'ex Chiesa di San Matteo degli Accarisi o delle Peschiere e la facciata tardorazionalista del Nuovo Cinema Eliseo, quel bel cinema tanto sobrio e accogliente dove da piccoli si erano recati con i genitori e divenuto in seguito Cinema Ambasciatori.
Un edificio delizioso, votato a cattedrale del gusto, dotato di una scala mobile centrale, lasciata libera, come “colonna vertebrale” dell'edificio, in buona misura, illuminato dalla luce naturale offerta dalla soprastante copertura a vetri, dov'è possibile ammirare in tutta la loro bellezza le torri svettanti e le antiche cupole del cuore di Bologna, visibili anche dalle aperture che ne “squarciano” le mura e dove, senza soluzione di continuità, riescono perfettamente a convivere tre piani di gastronomia, di cultura e gusto.
Immersi in quel turbinio di ricordi quasi non si accorsero del giovane che, con discrezione, si era intanto avvicinato, per dare loro il benvenuto e chiedere se desiderassero ordinare; questi, pur senza conoscerne la causa, aveva compreso lo stato d'animo dei due anziani e sorridendogli, aggiunse che Eataly insieme al piatto del giorno, offriva pensieri belli e spensieratezza.
Per la “principessa” e il “figlio prediletto” era arrivato il momento d'iniziare un inedito capitolo esistenziale e prendendosi per mano, come avevano fatto un tempo, risposero con un grazie e un sorriso genuino.

P.S.
Poco prima d'iniziare a pranzare, Sara fu colta da un insolito pensiero, ricordò “a memoria” una poesia di Alda Merini e la volle condividere con il suo prediletto Beniamino:

“La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l’amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la
tua vigliaccheria.” 

1 commento:

  1. Racconto, oserei dire, affascinante e struggente. Complimenti all'autrice ;) e al Blog che lo ha ospitato e condiviso.
    M. Teresa Lentini.

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