GIUSEPPINA FICARRA, Parliamo di familismo amorale

Bossi junior al Pirellone. Renzo Bossi è il "primo eletto della Lega" in provincia di Brescia. Lo ha annunciato il padre Umberto Bossi parlando con i giornalisti nella sede del Carroccio in via Bellerio. Alla domanda se il figlio poteva essere il suo delfino, in passato, Bossi aveva replicato: "Non vedete che è una trota?". Ora il ministro delle Riforme, soddisfatto per il successo elettorale della Lega, ma anche per quello personale del figlio, ha commentato: "Renzo è bravo e mi dà una mano, corre da tutte le parti e viene a tutti i comizi. Forse ha trovato la sua strada". (da La Repubblica 30.3.2010).

Nessuna meraviglia: l'Italia non è la Repubblica dei raccomandati? Come ebbe a dire Filippo Ceccarelli in un articolo apparso su Repubblica il 16.11.2007 lo è (raccomandato) un italiano su due. << E' incredibile - scriveva  il giornalista - come l'Italia sia condannata incessantemente a cambiare per rimanere sempre più uguale a se stessa. Il mercato del lavoro, per dire: dopo la riforma del collocamento, dopo il culto della flessibilità, dopo la nascita delle agenzie interinali, dopo le controversie sulla legge Biagi, ecco che da una ricerca dell'Isfol viene fuori che il 40 per cento della gente ha trovato un posto grazie a parenti, conoscenti o potenti>>
L’occasione è buona per parlare di familismo e precisamente di familismo amorale.
Questo fino a non molto tempo fa era considerato un marchio prettamente meridionale e per molti lo è ancora.
Ma che di stereotipo si tratta lo hanno affermato gli storici Umberto Santino e Salvatore Lupo, il sociologo Giovanni Lo Monaco, la sociologa Alessandra Dino e altri.
Umberto Santino in Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi considera il familismo amorale uno degli stereotipi più longevi!. Così scrive Santino <<Mi riferisco in particolare a uno degli stereotipi più longevi, come il "familismo amorale", la tesi dell'antropologo Edward Banfield [1958] che, sulla base di una ricerca molto poco scientifica, ha individuato nell'ethos della famiglia ristretta la chiave di volta del sottosviluppo meridionale. Così tutto il Mezzogiorno, che è stato ed è una realtà ben più complessa, è diventato una grande Montegrano, il paesino lucano scenario della ricerca di Banfield.>> (http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3)
Il sociologo  Giovanni Lo Monaco  ci informa che  in una ricerca realizzata nel 2007 presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo a supporto della propria tesi di laurea (relatrice, prof.ssa Alessandra Dino) dal titolo La cultura mafiosa e il sistema valoriale degli adolescenti a Palermo, è stato analizzato il valore “famiglia”. Dai dati ottenuti messi a confronto con le risultanze di altre ricerche, svolte sia a livello nazionale (rapporto IARD, 2002) che a livello locale (Sciarrone, 2005), é emerso che la famiglia risulta importante per  il 92% dei giovani palermitani, per il 90,3% dei giovani corleonesi e per l’85,3 % del resto dei giovani italiani. (1)
In un interessante articolo apparso su Repubblica  il 10/9/1999  Mezzogiorno di gloria torna il sud riabilitato Francesco Erbani si chiede <<non è vero che in altre regioni italiane - nelle Marche, in Veneto, in Emilia Romagna - il nucleo familiare è alla base di quella civilizzazione industriale fondata sulle piccole imprese che tanti apprezzamenti riscuote da noi e all' estero? E allora perché la famiglia è risorsa al Centro-Nord e ingombro al Sud?>> (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/09/10/mezzogiorno-di-gloria-torna-il-sud-riabilitato.html)
Ma chi contribuisce a demolire lo stereotipo del familismo amorale che farebbe parte della “subcultura mafiosa” presente, a detta di alcuni, in “parte non marginale” del popolo siciliano, è soprattutto Salvatore Lupo Lupo, nella sua Storia della mafia, Donzelli 2007.
Racconta Lupo che al processo alla cosca dei fratelli Amoroso nel 1870 avviene uno scambio di battute tra il Presidente e l'imputato Carmelo Mendola dal quale hanno origine visioni distorte riguardo la cultura, la "mentalità" dei siciliani, nonché lo stereotipo del familismo amorale attribuito a detta cultura.
Presidente: Non facevate parte della mafia?
Imputato: Non so cosa significa
Il sociologo Henner Hess  pose questo scambio di  battute in epigrafe al suo libro sulla mafia prefato da Leonardo Sciascia per sostenere la tesi della mafia come figlia della cultura siciliana. Hess sostiene che l'imputato non sa cosa sia la mafia  perché  chi sta tutto  "dentro"  una cultura regionale non può - proprio perché ci sta dentro - averne consapevolezza!
Scrive Salvatore Lupo (op.cit.): <<Lo scambio di battute apparirà rivelatore a Hess che lo porrà in epigrafe al suo libro, a Sciascia che più volte lo richiamerà: il mafioso non saprebbe effettivamente cosa la mafia sia, rappresentando la legalità per i siciliani un concetto astratto, portato di uno Stato del tutto estraneo, ed essendo quello che noi chiamiamo mafioso l’unico possibile modello di comportamento in questa società. [....] Hess ha interpretato una fonte tremendamente intenzionale qual è quella giudiziaria come se essa potesse rispecchiare la cultura «dei siciliani», non venendogli in mente che i siciliani possano dire, o non dire, a seconda delle convenienze: convenienze politico-ideologiche (o di altro genere?) per Pitré, disperato tentativo di salvarsi per i protagonisti di un processo destinato a concludersi con tante condanne a morte.>> Lo storico ci fa poi notare come proprio da queste deposizioni degli inquisiti del processo Amoroso siano state erroneamente derivate  teorie socio-antropologiche, ad esempio sul familismo dei meridionali.
Ci ricorda Lupo che l’imputato Caravello, sempre al processo alla cosca dei fratelli Amoroso, alla domanda se i membri della cosca siano suoi amici risponde che lui è amico solo di sua moglie e dei suoi figli. L’imputato Emanuele Amoroso alla domanda se ha odi di “partito” afferma: «Il mio partito sono mia moglie e i miei figli». Sempre nel corso di questo processo quando i fratelli Amoroso vengono accusati dallo zio Giuseppe Amoroso di avere assassinato il di lui figlio, (loro cugino), l’imputato Emanuele Amoroso sfida lo zio a giurare sull’anima del padre loro ascendente comune. Alla perplessità del Presidente su un siffatto giuramento che non è quello previsto dalla legge, l’avvocato difensore, Marinuzzi, insiste: «quello non va per il caso [...] perché il volgo non vi crede». Il volgo crederebbe di più ad un giuramento che richiama in causa il valore sacro della famiglia. Scrive Salvatore Lupo (op. cit.) << Per Hess questa sarebbe la riprova della distanza socio-culturale che separa lo Stato dai siciliani, della «lacuna tra socialità e morale statale» che genera il comportamento mafioso. A me invece pare si tratti di un’abile messa in scena di Marinuzzi, tendente a costruire davanti agli occhi dei giurati (e forse dello stesso teste) l’immagine dei suoi difesi come personaggi ingiustamente accusati, che credono nei medesimi valori familistici della gente comune e che quindi non possono essere i feroci assassini a sangue freddo di un loro stretto congiunto. Ma è chiaro che tale strumentalizzazione della cultura tradizionale può confondere le idee ad un sociologo tedesco solo attraverso una complessa mediazione colta, nella quale proprio Pitrè ha un ruolo centrale e che la cultura avvocatizia isolana contribuisce a diffondere.>>
Per  concludere potremmo dire che da Hess ha origine  quello che il sociologo Giovanni Lo Monaco chiama uno  stereotipo pernicioso e opprimente come quello che identifica la cultura siciliana con quella mafiosa. Ci dice  Salvatore Lupo (op. cit.): <<Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali (del popolo siciliano n.d.r.) ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso.>>
Il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano se volessimo affrontare infine l’argomento portato “erroneamente”  a sostegno della tesi che vorrebbe essere la cultura mafiosa presente in buona parte del popolo siciliano, cioè l’assunto marxista che dice che <<la cultura diffusa in ogni popolo è quella della sua classe dominante>>. Dico “erroneamente” perché i borghesi mafiosi (i “facinorosi della classe media” di Franchetti) fanno parte, si, della borghesia, classe dominante, ma si guardano bene, proprio perché è interesse della mafia rimanere “sommersa”, “silente”, dal mostrare codici culturali diversi da quelli accettati dalla classe borghese e di riflesso dal popolo. Falcone si è trovato a processare e condannare uomini che erano stati suoi intimi amici. Conosco persone di indubbio rigore morale che per anni sono stati in buona frequentazione con persone che poi sono state condannate come mafiosi.

Giuseppina Ficarra

Note
(1) Nell'ambito della suddetta ricerca sono state concesse interviste da: D. Gozzo (magistrato) 11/10/06; A. Consiglio (magistrato) 11/10/06; P. Blandano (preside scolastico, già responsabile di Libera-Scuola) 13/10/06; M. V Randazzo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Pardo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Ingroia (magistrato) 26/10/06; N. Fasullo (direttore della rivista Segno) 26/10/06; S. Lupo (storico) 3 1/10/06; R. Borsellino (deputato all’Assemblea Regionale Siciliana) 03/11/06; R. Scarpinato (magistrato) 03/11/06; F. Di Maria (psicologo) 21/11/06.

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