Leggendo
il comunicato stampa del 21 gennaio scorso del “Teatro Coppola - Teatro dei Cittadini”, in risposta
all’Amministrazione comunale di Catania che intende riportare su un percorso di
legalità la gestione del Teatro anzidetto, innanzitutto mi ha colpito il suo titolo: “La disobbedienza è civile”.
Parafrasando con esso il famoso saggio
del 1848 dello statunitense Henry David Thoreau, “Disobbedienza civile” appunto, il comunicato sembra voler
rimarcare il fatto che a volte “disobbedire”
non solo è necessario per sottrarsi a regole ingiuste e paralizzanti (in
questo caso le attività teatrali e culturali), ma anche doveroso. Del resto è sulla
scia dei movimenti di protesta e resistenza non violenta di Thoreau, che Gandhi
e Martin Luther King condussero le loro esemplari lotte. Proteste e resistenze
che non devono necessariamente essere intese come inquietanti derive anarchiche,
ma anzi, ritornando ai nostri giorni, come l’intento virtuoso di riempire il
vuoto istituzionale lasciato da una gestione leggera se non illegale della cosa
pubblica da parte delle amministrazioni locali.
Prima di giudicare e condannare l’occupazione
del Teatro Coppola di Catania, bisogna innanzitutto capire come e perché questa
occupazione è nata. Per far ciò è bene fornire qualche cenno storico del
Teatro. Esso fu il primo Teatro Comunale di Catania ad essere inaugurato: era
il 1821 e conteneva 700 posti. L’08 luglio del 1943 fu distrutto da un
bombardamento. Dopo una prima fallita ricostruzione, la parte più integra venne
trasformata in laboratorio scenografico del Teatro Massimo Vincenzo Bellini. Dopodichè
venne completamente abbandonato. Nel 2005 l’Amministrazione Comunale approvava
un progetto di circa 225.000 € per trasformare la struttura in sala per l’orchestra;
ma l’impresa aggiudicatrice fallisce poco dopo e l’opera rimane incompleta. Il
16 Dicembre del 2011 un gruppo di cittadini catanesi amanti della cultura lo occupa,
come già accaduto in altre città italiane, per autogestirlo. Significativamente
viene ribattezzato “Teatro Coppola - Teatro dei Cittadini”.
Questi, a spese loro e con donazioni di altri cittadini volontari, si addossano
l’onere di renderlo fruibile, lavorandovi anche con le proprie mani per una
sommaria ristrutturazione. Da allora, tra molteplici difficoltà, lo gestiscono
donando alla città vari eventi culturali e rassegne teatrali e musicali
accessibili a tutti.
L’articolo 9 della nostra Costituzione dice: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e
la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione.” Una simile attenzione alla cultura e al
patrimonio artistico non trova riscontro in altre costituzioni occidentali,
eppure, quanti preziosi beni culturali vengono trascurati dalla Repubblica
italiana? Pompei ad esempio; il Coppola è un altro esempio, locale e magari poco
clamoroso, ma ugualmente calzante, dato che il termine Repubblica nell’articolo
viene adoperato nella sua accezione più vasta, e quindi include anche i
soggetti pubblici intermedi quali Regioni, Province e Comuni. Il 1° comma
dell’articolo 33 inoltre non consente né presuppone l’ingerenza politica nella
spontanea evoluzione culturale del Paese, poiché “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Ora viene da chiedersi, quanto la Repubblica, nella sua
più vasta accezione, nell’abbandonare il Coppola per decenni, ha rispettato o
violato l’articolo 9 della sua Costituzione? Inoltre, quanto la Repubblica, a questo
punto povera di legittimazione legalitaria, autorevole e morale, rispetta o
viola il 1° comma dell’articolo 33, nel pretendere con disgustoso paternalismo di
accompagnare lungo il percorso del rispetto delle regole gli attuali cittadini
gestori del Coppola, ben sapendo che in tal modo li costringe a cessare l’attività
culturale proficua e soprattutto accessibile a tutti, intrapresa autonomamente appena
un paio d’anni fa, senza mai averle chiesto nulla in termini di sovvenzioni? Il
comune di Catania in sostanza chiede un canone agevolato, il rispetto delle
regole e di onorare tutti gli oneri tributari. Giusto! Nulla da ridire! Specie
se nella nostra Repubblica funzionasse tutto all’interno di una cornice
legalitaria! E quindi, intanto dovrebbe portare il Teatro a livelli di
agibilità standard, per poi indire una qualche gara per l’equa e trasparente
assegnazione della gestione. Per far ciò però dovrebbe andare a recuperare e
poi spendere quei circa 225 mila € stanziati nel 2005 (ma oggi basterebbero
più?), per renderlo agibile e assegnabile. Recuperarli dove però, se nessuno, o
quasi, sa che fine hanno fatto? E ammesso che l’amministrazione comunale
riuscisse in tanto, affidare la gestione della cultura con metodi manageriali,
cioè a privati danarosi il cui fine è il massimo tornaconto, metodi buoni,
forse (ma nemmeno sempre se si eccede nel liberismo), nel mondo delle attività
economiche, ma a mio avviso non in quello della cultura, è sicura che non
andrebbe a violare quel 1° comma dell’articolo 33 prima discettato? E’ sicura
di riuscire a garantire un affidamento, e poi un utilizzo del Teatro Coppola libero
dalle storte ingerenze politiche, lobbistiche, clientelari ed economiche?
L’estensore del presente articolo lo fa nella
veste di Presidente di un’Associazione Culturale che si occupa in prevalenza di
Teatro (“La Compagnia del Tempo
Relativo”), che per rappresentare
i propri lavori incontra notevoli difficoltà, soprattutto di natura economica.
Se non abbiamo la fortuna di rientrare in una Rassegna Teatrale patrocinata
dalle amministrazioni, e finora non l’abbiamo ancora avuta (siamo molto
distanti da talune becere logiche basate sui favoritismi e sugli accomodamenti
più o meno “scodinzolanti e leccanti”),
non abbiamo alcuna opportunità di espressione. Usufruire di un Teatro a proprie
spese è impossibile per le nostre magrissime finanze. Per lo meno quello del
nostro comune, il “Teatro Sociale” di
Canicattì, recentemente abbastanza ben ristrutturato dopo decenni di totale
abbandono simile al Coppola, non è alla portata delle nostre vuote tasche. Per
uno spettacolo dovremmo avere subito, in contanti, 1000 € da depositare come
cauzione; poi c’è il costo dell’affitto del Teatro, che ammonta a circa 350 €
al giorno; poi c’è il service che costa in media, quando va bene, 350 € a spettacolo; poi ancora c’è qualche centinaio
di € di SIAE se si usano musiche (meno male che i testi ce li scriviamo noi); e
le scenografie, i costumi, obbligatoriamente molto semplici, molto minimalisti per
essere economici. Insomma, le spese vive di uno spettacolo sfiorano le 2000 €,
anche se poi la cauzione, se non succede niente, viene restituita, ma comunque
bisogna averla. Senza contare i mesi di preparazione, di prove serali, almeno
due volte la settimana, e tutta l’organizzazione, compresa la logistica, per
allestire uno spettacolo e portarlo in scena nel migliore dei modi.
Per tutto ciò abbiamo potuto realizzare due
spettacoli al Teatro Coppola, pur essendo distante circa 130 chilometri dalla
nostra sede. Affrontiamo solo le spese del viaggio, per il resto abbiamo a
disposizione un Teatro completo di luci e strumenti per la riproduzione sonora.
Lo scorso 26 maggio 2013 abbiamo portato in scena “Inneres auge e l’occhio della giustizia” che tratta il tema delle
carceri e della giustizia italiana. Il 24 gennaio appena scorso abbiamo
rappresentato “Salendo a Sud” il cui
tema è l’immigrazione clandestina e l’accoglienza dei siciliani. Insomma, temi
attuali e scottanti che vale la pena trattare e portare in scena. Lo facciamo
con passione e serietà, credendo nel nostro lavoro: solo questo ci permette di
andare avanti fra molteplici difficoltà. Ora, sentire che la gestione del
Teatro Coppola rischia di essere tolta dalle mani di giovani cittadini catanesi
che, come noi, con passione e serietà tentano di portare avanti un progetto
culturale accessibile a tutti, con quelli che sembrano pretesti ipocriti e
offensivamente paternalisti di ricondurre la gestione sui binari della
legalità, non solo ci dispiace ma soprattutto ci preoccupa. Alla fine potrà
fare cultura solo chi ha i mezzi economici o la capacità di adeguarsi a un
sistema fatto per gli amici degli amici? Qualcuno potrà tacciarci di
anarchismo; magari anche di sfigataggine nel dichiarare di avere le tasche
vuote! Oppure di essere degli schizzinosi con la puzza sotto il naso nel non
volere far parte degli amici degli amici! Può darsi! E i due articoli della
nostra Costituzione, il 9 e il 1° comma del 33, al solito devono restare solo belle
parole scritte su carta pregiata ma non applicati? A mio avviso la vera
anarchia risiede in questo liberismo spinto dei nostri tempi bui, dove chi ha i
mezzi economici può curarsi bene, istruirsi nelle migliori scuole e promuovere,
purtroppo in maniera monopolistica, la cultura. Tutto ciò però non potrà mai possedere
la bellezza e la ricchezza della pluralità. Personalmente sono per più Stato,
tutt’altro che liberista o iperliberista, né tanto meno mi ritengo un
anarchico. Vorrei però uno Stato più giusto, che sappia concedere pari diritti
a tutti i suoi cittadini, e pretendere da tutti anche i corretti doveri. Solo
da ciò può discenderne autorevolezza e rispetto, e quindi ascolto e cittadini modello,
per non continuare a produrre una stragrande maggioranza di sudditi
disaffezionati e disamorati, e per contro una sempre più sparuta minoranza di
privilegiati.
Il
nostro augurio è che le istituzioni, a tutti i livelli, riescano a considerare tutto
ciò nell’incontrare i cittadini costretti occupanti del Teatro Coppola, e
chiedere loro semmai di continuare il loro meritorio progetto culturale
piuttosto che opporvisi, magari inconsapevolmente, nel chiedergli una legalità
dai costi finanziari insostenibili. Per la parte legalitaria e finanziaria
invece, appunto, dovrebbero occuparsene le stesse istituzioni. Come?
Semplicemente applicando l’articolo 9 della nostra Costituzione, che
ritrascrivo: “La Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio
e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
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