MICHELANGELO INGRASSIA, Le Società Operaie e il conflitto politico nell’Italia post-unitaria

Il ruolo politico svolto dalle Società Operaie di Mutuo Soccorso nella storia dell’Italia unita è stato sovente dimenticato quando non del tutto ignorato. La storiografia ha esplorato la storia delle Società di Mutuo Soccorso come forza sociale che coagula il nucleo originario del movimento operaio italiano, come soggetto propulsivo che contribuisce a formare e organizzare il sindacalismo nella penisola, come istituzione che dal basso colma l’immenso vuoto di una legislazione sociale nella vecchia Italia liberale[1]; oppure si è soffermata a ricostruire la vita interna dei sodalizi descrivendone i caratteri, le iniziative e le ragioni sociali nel contesto della più ampia vita collettiva di una città o regione d’Italia[2].
Le Società Operaie, tuttavia, non rappresentano un fatto esclusivamente sociale; così come il mutualismo e il cooperativismo da esse sviluppati non si riducono solamente a forme economiche capaci di coesistere con le istituzioni del sistema capitalistico. Le Società Operaie furono anche un fatto politico, nei primi decenni di vita unitaria italiana; il mutualismo e il cooperativismo si presentarono sulla scena politica del tempo come autentiche idee-forza alternative al capitalismo e al nascente collettivismo. Recuperare questo particolare tipo di esperienza politica vissuta dalle Società Operaie, potrebbe essere utile oggi di fronte  al capitalismo che mostra finalmente il suo vero volto di sistema fondato sull’ingiustizia sociale mascherata di “sviluppismo” esasperato, competizione selvaggia e senza regole, meritocrazia dell’avere piuttosto che dell’essere; e di fronte al fallimento storico del collettivismo che non è riuscito ad affermarsi senza fare ricorso alla barbarie totalitaria. Archiviata l’utopia comunista della società senza classi e senza Stato; consolidatosi e affermatosi, sul piano politico e su quello economico, il liberalismo che ormai come <<uno stesso manto ideologico, ampio e avvolgente, unifica tutti i partiti, vecchi, rinnovati e nuovi>>[3]; la storia politica delle Società Operaie di Mutuo Soccorso potrebbe ispirare la ricerca di spazi nuovi nel campo del pensiero e dell’azione di tutti coloro che non intendono rassegnarsi a subire la corrente del tempo dominante.

La lotta politica nell’Italia unita

Nel 1860 la nascita della nazione era stata generata da una collaborazione senza precedenti tra i democratici e i liberali italiani che <<portarono la massima parte dell’Italia nelle loro mani, ovvero in quelle di Vittorio Emanuele II>>[4]; il soggetto attivo di questa straordinaria collaborazione politica era stato il movimento garibaldino. Il garibaldinismo, però, <<mediando il contrasto fra iniziativa moderata e iniziativa democratica, guerra regia e guerra di popolo, servirà al movimento liberale per sconfiggere quello democratico che è insieme a lui in corsa per il potere>>[5]. Nel 1861 la proclamazione del Regno d’Italia sarà solennemente sancita da un Parlamento dominato da una maggioranza liberale, eletto con il sistema elettorale censitario imposto dai liberali, al cospetto di un governo presieduto da Cavour e composto esclusivamente da liberali. La collaborazione del 1860, dunque, si era trasformata in ostilità totale nel 1861 e Garibaldi e i democratici furono confinati nel campo degli sconfitti; <<l’emarginazione dei democratici attuata da Cavour (…) disgustava e alienava dalle istituzioni la parte più attiva del popolo e della piccola borghesia, soprattutto nel Mezzogiorno>>[6]. Le conseguenze furono disastrose e destinate a incidere profondamente nella Storia d’Italia scavando un solco che non sarà più colmato. I liberali, scrive Carocci, <<nei confronti delle classi popolari, soprattutto dei contadini e di quelli meridionali in particolare, non esitarono a negare la tutela dei diritti civili che, sulla carta, lo Stato liberale di diritto garantiva a tutti ma che nella pratica garantì solo alla borghesia>>[7].
Si delineava così, nell’incerto e difficile cammino iniziale dell’Italia unita, l’aspro sentiero di una lotta politica caratterizzata dalla volontà di potenza dei democratici di riprendere l’iniziativa politica e dall’ostinata resistenza conservatrice dei liberali per non perdere il potere acquisito.
Lo slancio vitale dei democratici, seduti all’estrema sinistra del Parlamento di Torino, è ben rappresentato in un efficace brano dello storico Renato Composto che così scrive: <<Battuti dalla spregiudicata ed abile politica cavouriana - quando avevano pensato di essere ormai avviati a cogliere i frutti del loro sostanziale apporto all’unità nazionale - ed inchiodati a Teano; vincolati dalla ristrettissima base elettorale che, com’è noto, non toccava nemmeno il 2 % della popolazione, sì da non poter nutrire fondate speranze di provocare uno spostamento di forze nella rappresentanza nazionale e pur desiderosi di ottenerlo, i democratici cercarono, pertanto, dopo la morte di Cavour e mentre i suoi immediati successori stentavano a mantenere sicura l’eredità, di acquistare nuovo vigore, procurandosi quella base che nell’estate del 1860 non avevano voluto o saputo cogliere nel moto contadino siciliano, e di dar vita ad un movimento organico per la diffusione e l’attuazione delle proprie istanze, sino ad improntarne la vita del Paese>>[8]. In questa trama, tessuta dai democratici per riprendere l’iniziativa politica nel Paese, s’inserisce l’azione politica svolta dalle Società Operaie di Mutuo Soccorso.

La breccia di Firenze

Il 27 settembre 1861 si aprì in Firenze il IX congresso delle Società Operaie italiane, il primo dopo l’unità. E’ qui che inizia l’assalto alla politica di questi organismi ormai attivi e operanti in tutto il territorio nazionale; ed è in quest’ambiente che si combatte la prima, dura battaglia tra liberali e democratici. Nate nel 1848 in Piemonte per sopperire all’assenza di servizi e assistenza ai lavoratori, le Società Operaie diverranno dopo il congresso del 1861 l’embrione del movimento sindacale italiano e il laboratorio dei gruppi politici che si schiereranno dalla parte del lavoro e dei lavoratori in Italia. I sodalizi coesisteranno con le nascenti camere del lavoro e con le nuove organizzazioni sindacali costituendo quella filiera sociale che ben presto tirerà fuori dalla solitudine i lavoratori italiani; ispireranno la politica sociale di quelle forze democratiche, repubblicane, anarchiche, socialiste che costituiranno l’alternativa allo Stato liberale. Saranno la base dei sindacati e dei partiti dei lavoratori italiani. Questo duplice ruolo è magistralmente rappresentato in Sicilia dall’esperienza dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, che saranno organismi sindacali e politici al tempo stesso e il cui statuto sarà forgiato sul materiale statutario e sulla partecipazione attiva delle Società Operaie dell’Isola.
Il IX congresso delle Società Operaie segna la svolta storica dei sodalizi: diretti fino allora dai liberali, essi passeranno sotto il controllo dei democratici. Concitato, dibattuto, agguerrito; seguito con apprensione dai democratici, con timore dai liberali, con interesse dalla stampa europea, quel congresso annunciava l’ingresso del mondo del lavoro italiano nell’agone politico; e si concludeva con una scissione interna emblematica della natura intransigente dello scontro frontale sulla questione sociale che si sarebbe ben presto combattuto in Parlamento e nelle piazze, nelle campagne e nelle fabbriche. Presieduto da Giuseppe Mazzini e dominato dalla vis oratoria e polemica del Guerazzi e del Montanelli, il congresso di Firenze contribuì ad adunare attorno al movimento democratico un’ampia parte di quel proletariato delle fabbriche e delle campagne che machiavellianamente era stato sfruttato dai liberali per i plebisciti del 1859 e del 1860 e poi espulso dalle prime elezioni nazionali per il primo Parlamento dell’Italia unita mentre inutilmente Cattaneo, Garibaldi e ancora Mazzini proponevano l’elezione di un’Assemblea Costituente da eleggersi con il suffragio universale[9].
Piuttosto che ripercorrere le vicende congressuali, con lo svolgimento dei lavori e il fuoco di fila delle relazioni e delle mozioni contrapposte[10], si ritiene opportuno evidenziare i termini del conflitto. Nel congresso si fronteggiarono due tendenze ben definite: da una parte i democratici ben decisi a dare battaglia per portare il movimento delle Società Operaie sul terreno della lotta politica; dall’altra i liberali, forti della tradizione che si era affermata in Piemonte prima dell’unità nazionale, ostinati invece a tenere le Società Operaie fuori dall’arena politica. Questa contrapposizione produsse una serie di altre fratture: vinta la prima battaglia, con l’approvazione di una mozione del Montanelli nella quale era dichiarato che le Società Operaie - pur non essendo associazioni politiche - potevano intervenire nel dibattito politico nazionale tutte le volte che lo ritenessero necessario, i democratici incalzarono i liberali sui temi della richiesta del suffragio universale e della costituzione di un’organizzazione operaia unitaria nazionale. Anche qui, i democratici riuscirono a far deliberare che <<L’Assemblea delle Società Operaie conoscendo non potersi ottenere il sollecito e completo riscatto delle plebi senza sviluppare ed estendere l’associazione mediante l’unificazione delle Società e procurare il suffragio universale e l’istruzione fatta obbligatoria e secolarizzata, delibera di eleggere una commissione incaricata di avvisare ai modi più convenienti per ottenere l’una e l’altra>>[11].
Nel 1861, dunque, un congresso di Società Operaie stabiliva per la prima volta che i sodalizi, che non erano e non sarebbero mai stati partiti politici, potevano e dovevano tuttavia partecipare attivamente alla vita politica dello Stato. Da quel momento, le richieste sociali avanzate dai lavoratori nei sodalizi cominciarono a passare attraverso la breccia politica aperta dai democratici a Firenze; la questione sociale diventò così questione anche politica. Gli esiti di quest’atto rivoluzionario si videro nello stesso momento in cui il congresso cominciò a trattare i temi di carattere sociale: condizioni di vita dei lavoratori, salari, orario di lavoro, disoccupazione, abitazioni, scioperi, arbitrato nelle controversie del lavoro. Si trattava di temi che nei precedenti congressi erano stati sempre elusi quando non respinti pregiudizialmente; ma adesso, in una lunga mozione, il congresso affrontò la questione sociale e politica del conflitto tra capitale e lavoro. Osserva in proposito Gastone Manacorda: << per la prima volta, un congresso operaio faceva proprie due rivendicazioni fondamentali degli operai: aumento dei salari e riduzione delle ore di lavoro, insieme congiunte. Per la prima volta, un congresso si schierava dalla parte degli operai e non considerava queste questioni soltanto come materia degna di studio, ma affermava la urgente necessità di affrontarle nella pratica. (…) E se l’aperta lotta di classe era ripudiata, tuttavia la richiesta abrogazione del divieto di coalizione, passato dalla legge Le Chapellier nei codici penali dell’800 e che rappresentava una caratteristica limitazione della libertà degli operai nello Stato borghese, distingueva nettamente, anche su questo punto, la posizione dei democratici da quella dei liberali>>[12].
La vittoria democratica a Firenze era stata completa: l’unificazione delle Società Operaie, il principio della partecipazione politica, la richiesta del suffragio universale, l’istruzione laica e obbligatoria, l’adozione del mazziniano I doveri dell’uomo come testo per l’educazione del lavoratore, l’aumento salariale, la riduzione dell’orario di lavoro, l’elezione di Garibaldi a presidente dell’Assemblea congressuale, l’omaggio pubblico a Mazzini e infine, per attrarre i settori più avanzati della Sinistra costituzionale, il saluto al “Re Galantuomo”; tra democratici e liberali si era aperto <<un abisso che non si sarebbe più colmato>>[13]. Si trattava di una vittoria significativa, avvalorata dalla decisione dei liberali di abbandonare il congresso per celebrare un controcongresso ad Asti che avrebbe condannato i deliberati di Firenze; e mentre tutta la stampa italiana liberale e reazionaria, dalla cavouriana L’Opinione alla clericale Armonia, polemizzava con forza contro il congresso di Firenze, dalla Francia di Napoleone III l’ambasciatore Costantino Nigra (già collaboratore attivo del Cavour) si affrettava a far sapere che a Parigi avrebbero visto di buon occhio lo scioglimento delle Società Operaie italiane. Nigra, naturalmente, non mancava di far notare il proprio personale sostegno al suggerimento dato dal governo francese[14].

Il contributo delle Società Operaie

I deliberati del IX congresso delle Società Operaie diventarono le parole d’ordine dell’azione politica e sociale dei sodalizi in tutt’Italia e contribuirono ad allargare la base del movimento democratico italiano. Il suffragio universale, l’istruzione obbligatoria, l’aumento salariale, la riduzione dell’orario di lavoro diventarono parte integrante della Società Emancipatrice Italiana fondata nella primavera del 1862 da garibaldini e mazziniani. La Società Emancipatrice, nucleo attorno al quale si coagulerà il movimento democratico, ebbe il sostegno dei sodalizi italiani e specialmente in Sicilia il movimento delle Società Operaie sosterrà Garibaldi venuto nell’Isola per tentare una nuova impresa che potesse restituire ai democratici quell’iniziativa politica fermatasi a Teano. L’impresa fu stavolta fermata in Aspromonte con le fucilate dell’esercito regolare sui volontari democratici. Ma quelle fucilate non poterono disperdere il movimento che ormai si era costituito e che agiterà la storia politica e sociale dell’Italia post-unitaria. Gli esiti del congresso di Firenze legarono idealmente la lotta politica del movimento operaio italiano iniziata con Mazzini e Garibaldi, proseguita con Bakunin e poi con il partito socialista. Come ha ben evidenziato Renato Composto, i principi politici delle Società Operaie contribuiranno ad animare <<quei fermenti che, nonostante i suoi limiti programmatici, lo stesso movimento democratico diffuse nella società italiana, e soprattutto nei ceti popolari, preparando e sollecitando la maturazione di una più larga e più approfondita coscienza socialista>>[15].
Vale la pena di soffermarsi brevemente su quei limiti che la storiografia tradizionale ha indicato nel ripudio del principio marxiano della lotta di classe e nell’iniziale ripudio dello sciopero come metodo di lotta. A Firenze, i democratici avevano individuato nel suffragio universale lo strumento necessario per integrare le masse nella vita dello Stato e affermare la democrazia politica; e nel confronto diretto tra rappresentanti dei datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori lo strumento idoneo a costruire la democrazia economica nel Paese. Insieme al mutualismo e al cooperativismo, si trattava di soluzioni efficaci per estirpare dallo Stato e dalla società italiani il cancro capitalista dell’ingiustizia sociale e della tirannia del denaro evitando spargimenti di sangue. Tuttavia, quando ci si rese conto che la controparte si rifiutava di accettare il confronto dialettico, non mancò ai lavoratori il coraggio di scegliere forme conflittuali di lotta; emblematico è il caso del movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori che non esitarono a far valere le loro ragioni con la lotta, con il sangue, con la galera, sfidando la repressione; ed è noto che i Fasci provenivano direttamente dalle Società Operaie siciliane. La verità è che la lotta di classe non può essere considerata come l’avvenimento grandioso che si svolge in un determinato momento circoscritto nel tempo e nello spazio. La lotta di classe è un evento che si svolge quotidianamente, ora con la violenza e ora con le armi della non violenza; e i protagonisti della lotta non sono due classi distinte e distanti ma due forze contrapposte: il capitale e il lavoro. Nel 1948, con la Costituzione repubblicana, la lotta di classe portò alla Repubblica fondata sul lavoro (e non sul capitale), alla sovranità popolare (e non nazionale), alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, al riconoscimento del mutualismo, del cooperativismo e del risparmio, al Cnel incaricato di dirimere le controversie economiche e politiche tra capitale e lavoro, al suffragio universale maschile e femminile. Il lungo cammino politico del movimento operaio italiano, cominciato a Firenze nel 1861 con le Società Operaie, era così consacrato a Roma nel 1948 da quell’Assemblea Costituente negata nel 1860. Battersi oggi per l’applicazione radicale della lettera Costituzionale significa non disperdere il patrimonio di lotte e conquiste costituito dai nostri padri in quelle Società Operaie ancora oggi aperte in ogni angolo del Paese. Forse è arrivato il momento di ricominciare tutto da capo, seguendo l’eterno ritorno della storia.
Michelangelo Ingrassia


[1] Si veda, per esempio, lo studio di G. Manacorda, Il Movimento operaio italiano, Editori Riuniti, Roma 1971; o anche S. Musso, Il sindacalismo italiano, Fenice 2000, Milano 1995
[2] Emblematica, in tal senso, l’opera di D. Palazzo, Le società operaie di mutuo soccorso studio di un campione: Francavilla Fontana, Lacaita editore, Manduria 1974
[3] P. Ignazi, I partiti italiani, Il Mulino, Bologna 1997, p. 141
[4] E. Nolte, Storia dell’Europa 1848-1918, Marinotti edizioni, Milano 2003, p. 60
[5] M. S. Messana Virga, La formazione del movimento garibaldino, in G. Tricoli (a cura di), Studi in memoria di Gaetano Falzone, Ila Palma, Palermo-Sao Paulo 1993, pp. 289-320
[6] G. Carocci, Storia dell’Italia moderna, Newton Compton, Roma 1995, p. 13
[7] Ivi, p. 16
[8] R. Composto, I democratici dall’unità ad Aspromonte, Le Monnier, Firenze 1967, pp. IX-X
[9] Nell’ottobre del 1860, riuniti a Napoli, Garibaldi Mazzini e Cattaneo avevano inviato una lettera a Vittorio Emanuele II con la quale chiedevano al sovrano di scegliere tra Cavour e Garibaldi; il re rispose rinnovando la fiducia a Cavour; così naufragò il progetto democratico di spostare la monarchia italiana a sinistra poco prima che fosse proclamata la nascita della nazione unita; in proposito si veda M. Ingrassia, Carlo Cattaneo e la Sicilia, in C. Paterna (a cura di), La Sicilia nell’unità d’Italia, Bonanno Editore, Catania 2011
[10] La cronaca del congresso è efficacemente ricostruita in G. Manacorda, op. cit., pp. 77-88
[11] Cfr. R. Composto, op. cit., p. 38
[12] G. Manacorda, op. cit., pp. 83-84
[13] Ivi, p. 84
[14] Voci di simpatia e approvazione vennero invece da alcuni ambienti dell’opinione pubblica inglese; sul dibattito nazionale e internazionale sollevato dalle vicende congressuali di Firenze si veda R. Composto, op. cit., pp. 43-47
[15] Ivi, p. V

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