DANIELA MARCHESCHI, Prefazione a "Era farsi" di Margherita Rimi

Bambini, i protagonisti della raccolta di poesie Era farsi della siciliana Margherita Rimi, neuropsichiatra infantile, impegnata con passione tanto nella tutela dell’infanzia e nella cura dei bambini variamente offesi quanto in un lungo lavoro sulla poesia, perseguito nel tempo con discrezione e con tenacia.
         In questi suoi versi degli anni 1974-2011, in un linguaggio poetico che colpisce per l'agile semplicità e la verità disarmante, le voci dei bambini presentano un timbro diverso dal solito. Sono principalmente quelle dei bambini che subiscono abusi e violenze pure sessuali, e pongono così un interrogativo radicale e doloroso sul perché del male, spesso perpetrato proprio da coloro che dovrebbero invece proteggerli.
 La domanda «Papà dove mi porti? », che compare nella poesia intitolata appunto Le voci dei bambini e dedicata ad Agota Kristof, fa risuonare in tutto il suo carico di pena il senso di «un segreto» terribile, che si alimenta della cecità e dell’egoismo degli adulti, pesando sul bambino senza colpa. Quest’ultimo può solo andare «piano per la strada», vedere e sentire «Gli aquiloni» che «lo chiamavano/ per nome», o esprimere il desiderio di «nascere due volte», mentre la sua innocenza sta per essere violata ancora.
         Il dettato della Rimi è nitido nel suo articolarsi per anafore, iterazioni e parallelismi di ogni genere, ma anche per montaggi fra giustapposizioni e incroci analogici: « E – sono un libro chiuso/  E – rimango chiuso/ i grandi hanno grandissimo da fare» (In salvo). La sua poesia conquista il lettore, perché l’Autrice ha la rara capacità di guardare e vedere il mondo dagli occhi stessi dei bambini, un mondo a volte feroce e cinico, di maltrattamenti e di paura, di ferite e di malattia. Eppure dei bambini violati o disabili la Rimi sa cogliere con essenzialità anche tutta la purezza e la forza: la bellezza.
         Accanto a ciò sono le voci rassicuranti – e diversamente inquietanti - dei bambini la cui infanzia è serena, gioiosa delle proprie scoperte e degli affetti sicuri in grado di tutelarla: parole e modi privi di bamboleggiamenti e pieni invece di invenzioni, di sguardi nuovi sulla realtà, restituita suggestivamente per squarci e tagli sintattici, per circonvoluzioni logiche, che ne fanno cogliere aspetti vitali ed inconsueti.
         I versi della Rimi mirano infatti a scandagliare le voci del mistero stesso dell’«era farsi», del divenire degli anni in direzione dell’età adulta, e dell'umana ricchezza di un simile processo di crescita e sviluppo, pur fra mille interruzioni e riprese. L'infanzia  evocata dall'Autrice ha in questo una sua identità precisa e una specificità, che  deriva dalla sua formazione culturale e dalle sue conoscenze scientifiche.
         Nel costruire l'«autoantologia», Margherita Rimi consegna anche un viaggio poetico attraverso la propria infanzia e giovinezza, per poi approdare ai componimenti della maturità, dove emergono gli affetti, la forza dei legami familiari, la tensione di alcuni temi etico-sociali (ad esempio nella sezione Di parole bianche), ma anche una visione ironica della realtà.
         Si tratta di una poesia a tutto tondo, che propone anche testi in una lingua siciliana scabra (nella sezione Carta nivura), e versi di omaggio a Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia, nonché ad Anton Čechov e ad Ana Blandiana, ad Agota Kristof (menzionata prima) o Birgitta Trotzig, quasi a riaffermare la continuità tra passato e presente, la necessità della letteratura universale nelle domande che l’esistenza stessa, nel suo hic et nunc, non smette di sollevare.

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