LUIGI FICARRA, Leopardi materialista

Stimolato dalle riflessioni di un amico sul pensiero espresso da Leopardi circa l’influenza del clima sul carattere delle persone, ho approfondito, nei limiti delle mie conoscenze, la questione.
Intanto ho accertato che, contrariamente a quanto sostenuto per errore da qualcuno, Leopardi non ha  m a i  pensato, né tanto meno scritto una stupidaggine del tipo che il clima abbia una qualche influenza sull’affermarsi di un determinato rapporto sociale rispetto ad un atro: ad esempio capitalistico industriale e-o pre–capitalistico a prevalente base agricola.

Egli affronta la questione nel noto saggio <<Dei costumi degli italiani>> ed in particolare nel <<Manuale di filosofia pratica>> e nel <<Trattato delle passioni>>.
Nel primo dei libri citati dice, nella parte centrale, che <<gli italiani sono nella pratica, ed in parte eziandio nell’intelletto, molto più filosofi di qualunque filosofo straniero, poiché .. convivono … con quella opinione e cognizione che è la somma di tutta la filosofia, cioè la cognizione della vanità d’ogni cosa …>>; e che <<le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni, e che il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci>>, e ne individua la causa nell’assenza di una forte, radicata ed organizzata  società civile; a differenza, egli dice, della Francia.
Nelle ultime pagine “accenna” al problema della <<natura del clima e del carattere “nazionale” che ne dipende e risulta. E’ tanto … simile a paradosso, quanto vero - scrive -, che non v’ha né individuo né popolo sì vicino alla freddezza, all’indifferenza, all’insensibilità, … come quelli che per natura sono più vivaci, più sensibili, più caldi. …..>>. Ed ovviamente argomenta in modo chiaro la sua affermazione.
Si è per assurdo insinuato che Leopardi, facendo riferimento ai fattori climatici, avesse voluto quasi sostenere una inferiorità dei meridionali rispetto ai settentrionali.
Verso la fine del libro scrive che <<i popoli meridionali – (e fra questi i suoi amati napoletani) - superarono tutti gli altri nella immaginazione e quindi in ogni cosa, a’ tempi antichi; e i settentrionali per la stessa immaginazione superano di gran lunga i meridionali, a’ tempi moderni. La ragione si è che a’ tempi antichi lo stato delle cose e delle opinioni ragionate favoriva l’immaginazione quanto ai tempi moderni la sfavorisce>>. E poco dopo dice che <<è pur certo che dovendo scegliere, tra i climi e tra i caratteri dei popoli, una immagine della antichità, niuno dubiterebbe di scegliere tra i meridionali, e i settentrionali viceversa per immagini del moderno>>. E conclude poi nell’ultima pagina con questa considerazione : <<Come la vita e la forza interna dello spirito è naturalmente maggiore nei meridionali, e negli individui sensibili e nei fini ingegni, che non è negli altri, perciò essi sono nelle loro azioni e nel loro carattere più determinati e governati, per dir così, dall’animo, e meno macchinali che gli altri popoli e individui>>.
E’ nel “Manuale di filosofia pratica” che Leopardi tratta più compiutamente del rapporto clima-caratteri, facendo, nel lemmo “tedeschi”, delle riflessioni che penso potremmo sottoscrivere. Dice infatti che <<la stagione ed il clima freddo dà maggior forza di agire, e minor voglia di farlo, .. inclinazione all’ordine e al metodo e fino all’uniformità. Il caldo scema le forze di agire, e nel tempo stesso ne ispira ed infiamma il desiderio, rende suscettibilissimi della noia, intolleranti dell’uniformità della vita, vaghi di novità ... – Sembra che il freddo fortifichi il corpo e leghi l’animo : che il caldo addormenti e ammollisca e illanguidisca il corpo, eccitando e svegliando l’animo. L’attività del corpo è propria dei settentrionali, de’ meridionali quella dell’animo. ….. - I settentrionali hanno bisogno di grandissimo impulso a muoversi, … a cercar novità : ma mossi che sieno non sono facili a racquietare. …… I meridionali sono facili e frequenti a muoversi, rivoltosi, poco tolleranti della tirannide, poco amici dell’ubbidire, ma facilissimi racquietare, facilissimi a tornare in riposo; … vaghi di novità di novità politiche, incapaci di mantenerle ….>>. E poco avanti aggiunge in nota: <<Nel freddo si ha la forza di agire, ma senza incomodo. La temperatura dell’aria che vi circonda, opponendosi à ce que voi possiate uscir di casa senza patimento, vi consiglia l’inazione e l’immobilità, nel tempo stesso che vi dà la forza dell’azione e del moto ….. Nel caldo tutto l’opposto. Si sente la facilità dell’azione e del moto nel tempo stesso che ne scarseggiano le forze>>; sì da determinare – egli dice – svogliatezza, neghittosità, lentezza. “L’uomo – quando c’è un clima caldo – prova un senso di libertà fisica che .. lo invita al movimento ed all’azione, ch’egli confonde con quello della forza, ma che n’è ben differente, come l’uomo si può avvedere, quando cedendo all’irrequietezza e dandosi all’azione, la totale mancanza di forze che gli sopraggiunge, … l’obbliga a cercare il riposo>>.
Con acume osserva nel lemmo precedente, “antichi – vita casalinga – incivilimento”, che <<non è da trascurare una differenza che si trova fra il carattere, il costume degli antichi settentrionali  e abitatori de’ paesi freddi, e quel de’ moderni. .. Perocchè gli antichi settentrionali ci son dipinti dagli storici per ferocissimi, in quietissimi, attivissimi, non solo di carattere ma di fatto, … quasi assolutamente indomabili ed indomiti. Germani, Siti, ecc. I moderni al contrario sono così domabili, (ubbidienti, tolleranti) che certo niun popolo meridionale lo è altrettanto. … In questa tanta diversità di effetti hanno certamente gran parte la diversità de’ governi antico e moderno … - Ma grandissima parte v’ha certamente anche la differenza materiale della vita>>. Dove si coglie che Leopardi non si soffermava solo sul clima, ma era attento anche ai governi, al sistema politico, alla vita materiale della società.
E così parla della “differenza materiale della vita:
<<gli antichi settentrionali mal difesi contro le inclemenze dell’aria dalla spelonche, proccurantisi il vitto colla caccia ()Georgia 3.370 sqq. etc.), alcuni anche erranti e senza tetto, come gli Sciti ecc., erano anche più abituati al una vita all’aria aperta, che non sono i meridionali oggidì. Introdotti gli usi e i comodi sociali, i popoli civilizzati del Nord divennero i più casalinghi della terra. Niuna cosa rende più quiete sì le nazioni che gli individui, più nemici delle novità, che la vita casalinga e le abitudini domestiche, le quali affezionano al metodo. - …. Ond’è che i settentrionali moderni e civili sieno in verità molto più diversi e mutati da’ i loro antichi, che non sono i meridionali dagli antichi loro, sì di carattere, sì di usi, di azioni ecc.>>.
Quest’ultima nota di Leopardi ci fa pensare ad alcune considerazioni che verranno svolte da Freud nel famoso libro “Il disagio della civiltà”.
♦ Molti, portatori senza saperlo di una cultura idealistica, ritengono che ogni individuo sia causa sui e che si autodetermini in tutte le sue manifestazioni, compreso quindi il carattere, e rifuggono dal considerare le influenze esterne, materiali, come ad esempio il clima, ed anche quelle culturali, essendo noi animali essenzialmente simbolici.
Leopardi, la cui filosofia è materialista, non poteva non tenere conto dell’influenza del clima nella formazione del carattere di un popolo e degli individui che lo compongono. Egli, come è noto, conosceva a fondo la fisica di Newton, e tutta la cultura illuminista di orientamento materialista: Julien de La Mettrie, Denis Diderot e Robert Boyle, tutti seguaci e sostenitori, come lo sarà lui,  della struttura atomistica della materia e dell'esistenza del vuoto. Così come il grande Shelley, cultore dell’epicureismo lucreziano. (Marx svolse la sua tesi di laurea su Democrito, il più grande filosofo materialista dell’antichità, un grande scienziato, come ha ben spiegato Geymonat).
(La materia di cui noi siamo fatti e la materia nella quale siamo immersi (atmosfera), è soggetta, come mi ha fatto osservare con precisione di linguaggio un amico fisico-matematico, alle radiazioni elettromagnetiche del sole e altre provenienti dal cosmo : in particolare  i fotoni, o quanti di luce, sono responsabili, colpendo la materia, dell'aumento di quel parametro che noi chiamiamo temperatura. La temperatura è in sostanza la misura del grado di eccitazione degli atomi di cui è formata la materia e dei loro aggregati che formano quelle che chiamiamo molecole. Questa eccitazione che possiamo anche vedere osservando il pulviscolo atmosferico attraversato da un raggio di sole, è provocata dal fatto che una radiazione, un quanto di energia, un fotone colpisce un atomo cedendogli la sua energia (o una parte di essa) e costringendo così uno degli elettroni che girano attorno al nucleo dell'atomo a saltare in una orbita più esterna rendendo tutto il complesso più eccitato. Se  questo elettrone ricade nella sua orbita stazionaria l'atomo cede questo quanto di energia sotto forma di una radiazione. Più bassa è la temperatura più bloccato è il sistema degli atomi fino al congelamento. Non ci sono dubbi che anche le nostre cellule cerebrali, e i neuroni che viaggiano fra di esse, risentono dei condizionamenti dei diversi climi sulla terra. Solo gli idealisti che ritengono siamo puro spirito non possono ammettere ciò. Non Leopardi, il quale coerentemente sostenne nello Zibaldone che anche il pensiero è materia, come oggi è pure sperimentalmente dimostrato).
[Emmanuel Le Roy Ladurie, storico francese della nota “Ecole des Annales” e professore emerito al Collège de France, nella sua monumentale Histoire du climat depuis l’an mil, apparsa in Francia nel 1967 e pubblicata in Italia da Einaudi, ha posto le basi della moderna ricerca storica sul clima. La sua tesi di fondo è che per quanto importanti siano le idee, non si può dimenticare che l’uomo è un essere naturale, influenzato necessariamente dagli accadimenti climatici. ----- Interessante anche la “Storia del clima” di  Pascal Acot, edizione Donzelli 2011, che ne ricostruisce la lunga storia, a partire dal crepuscolo polare di duemiliardi di anni fa, e mostra come essa sia necessariamente ed inestricabilmente connessa con quella degli esseri umani, da quando hanno cominciato ad abitare questo pianeta Terra. ------- Ricordo che anche il grande storico Fernand Braudel ha sostenuto che il clima 'entra' nella storia. Nella sua famosa opera “Il Mediterraneo”, egli afferma che questa parte del mondo rappresenta indubbiamente un'unità umana, ma sottolinea nel contempo l'importanza della realtà fisica sottostante, che è essenzialmente - dice -unità climatica. – Nell’altra sua opera “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”, sostiene che la struttura dei mutamenti climatici ha rappresentato un fenomeno enormemente influente, che sarebbe un grave errore trascurare come un fatto banale].
- Leopardi ne “La Ginestra” (vv. 52-58) rivendica con giusto orgoglio la sua appartenenza al pensiero illuminista del ‘700 : <<Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco, / che il calle insino allora / dal risorto pensier segnato innanti / abbandonasti, e volti addietro i passi / del ritornar ti vanti / e procedere il chiami>>. Dura è qui la sua critica al romanticismo ed al ritorno alle credenze ed alle illusioni religiose, proprio dell’800.
- Don Benedetto Croce, filosofo idealista, non poteva non biasimare e condannare Leopardi, grande poeta e pensatore materialista. In un suo saggio del 1922 su Leopardi, che tanto ha influenzato la cultura italiana, ha scritto con impressionante superficialità che,”se un raggio di sole (lo Spirito) avesse fugato dalle sue vene la malattia che lo avvelenava, Egli sarebbe sorto in piedi e, con meraviglia più grande di quella che cantò nel 'Risorgimento', avrebbe guardato con nuovi occhi il mondo e la forza di operosità, compressa in fondo a lui, si sarebbe dispiegata generosa e benefica”.  E’ quel Croce che nel saggio “Perché non possiamo non dirci cristiani”, da tutti citato ma da pochissimi letto, arriva ad affermare, senza pudore, che “continuatori effettivi dell’opera religiosa del cristianesimo … furono gli uomini dell’umanesimo e del rinascimento, … i fondatori della scienza fisico-matematica; … gli assertori … della tolleranza; … gl’illuministi della ragione trionfante, che riformarono la vita sociale e politica, … fugando fitte tenebre di superstizioni e di pregiudizi; … i rivoluzionari che dalla Francia estesero la loro efficacia nell’Europa tutta; ed i filosofi … Vico e Kant e Fichte e Hegel, i quali inaugurarono la concezione della realtà come storia”. – “Perciò noi – continua Croce nel suo scritto del 1945 –, nella vita morale e nel pensiero, ci sentiamo direttamente figli del cristianesimo”; “…. ed il Dio cristiano è ancora il nostro, e le nostre affinate filosofie - (la sua, cioè, e quella di Gentile) - lo chiamano lo Spirito, che sempre ci supera e sempre è in noi stessi”. - Ebbene, noi, assieme a Leopardi, siamo molto lontani da questo afflato religioso del Croce e dalla sua visione idealistica della storia d’Italia e d’Europa, definita storia della libertà come attuazione dello Spirito.
Concludiamo queste notazioni sporadiche citando un noto passo del discorso sulla leggerezza di Calvino (da “Lezioni americane”) :
<<Giacomo Leopardi a quindici anni scrive una storia dell'astronomia di straordinaria erudizione, in cui tra l'altro compendia le teorie newtoniane. La contemplazione del cielo notturno che ispirerà a Leopardi i suoi versi più belli non era solo un motivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava. Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull'insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell'aria, e soprattutto la luna. La luna, appena s'affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire le apparizioni della luna nelle letterature d'ogni tempo e paese. Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. …. C'è il filo che collega la Luna, Leopardi, Newton, la gravitazione e la levitazione... C'è il filo di Lucrezio, l'atomismo, la filosofia dell'amore di Cavalcanti, la magia rinascimentale, Cyrano... Poi c'è il filo della scrittura come metafora della sostanza pulviscolare del mondo: già per Lucrezio le lettere erano atomi in continuo movimento che con le loro permutazioni creavano le parole e i suoni più diversi; idea che fu ripresa da una lunga tradizione di pensatori per cui i segreti del mondo erano contenuti nella combinatoria dei segni della scrittura: l'Ars Magna di Ramòn Llull, la Kabbala dei rabbini spagnoli e quella di Pico della Mirandola... Anche Galileo vedrà nell'alfabeto il modello d'ogni combinatoria d'unità minime... Poi Leibniz...>>.

Padova 7 ottobre 2012                                               Luigi Ficarra

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APPENDICE ALLA NOTA “LEOPARDI MATERIALISTA”

Approfondendo la questione affrontata nella mia precedente nota, che unisco in allegato, ho appreso di un’osservazione fatta da qualche autore circa la mancanza di una completa, esaustiva prova sperimentale delle considerazioni svolte da Leopardi sul rapporto clima - caratteri di un popolo.
Non è una critica peregrina. Richiama, analogicamente, quella di chi osserva che quanto avvenuto a partire dal big bang, e specie la teoria della selezione naturale nel campo degli organismi che si riproducono sino ad arrivare alla specie animale uomo, non potrebbe, in particolare quest’ultima, spiegarsi da sola, in quanto molto complessa e non sostenibile, dicono, in base al calcolo delle probabilità. E, non trovando oggi una spiegazione scientifica e piena del fenomeno, ricorrono alla tesi del ״disegno intelligente״, che avrebbe presieduto a tale complessa “evoluzione”. - (Le virgolette sono d’obbligo, per chi, essendo materialista, rifugge dall’idea teleologica di progresso).
Chi è materialista non ricorre mai al trascendente, ma osserva che ciò che oggi non è compiutamente spiegabile è molto probabile trovi domani una chiara dimostrazione grazie ai passi in avanti che fa la conoscenza scientifica.
La teoria atomistica di Democrito, seguita come ricordato da molti filosofi del ‘700 ed anche da Leopardi, spiegava il tutto con il movimento nel vuoto delle particelle elementari (allora chiamati atomi), con la loro combinazione, unione e disunione. Ed essendo questa teoria materialistica di difficile comprensione e soprattutto mancando allora una spiegazione sperimentale e scientifica di essa, venne combattuta da tutti gli idealisti e dai credenti in una entità creatrice e che presiede al tutto. Ed il grande Dante, seguace dell’insegnamento della religione cristiana, disse di Democrito, nel canto quarto dell’Inferno, ritenendolo in errore, che  <<'l mondo a caso pone>>, nel senso che ritiene il mondo esser derivato dal caso.
Sappiamo che la scienza moderna, ricordo per tutti il grande chimico Giulio Natta, ha dato ragione piena a Democrito.
Chi critica nel suddetto modo il materialista Leopardi dovrebbe tener presente che Freud e Lacan, con le loro scoperte, distrussero definitivamente la res cogitans di Cartesio, il suo supponente “io penso” contrapposto alla  materia, alla res exstensa. Debitori in ciò, come Hegel e Marx, del grande Spinoza, che parlò giustamente di unità della sostanza, dicendo che <<ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum>>, che i duo ordini sono cioè due facce, due modi della stessa realtà sostanziale.
La vita come il pensiero – diceva pure il materialista Lenin - fanno parte del mondo materiale e sono il prodotto della materia organizzata in un modo particolare.
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♦ Rieleggendo il saggio di Leopardi “Dei costumi degli italiani” mi sono anche accorto di aver per errore omesso - e ne chiedo venia - un passo in cui Egli scrive : "a proposito delle quali osservazioni, sia detto di passaggio che io non dubito di attribuire in gran parte la decisa e visibile superiorità  presente delle nazioni settentrionali sulle meridionali, sì in politica, sì in letteratura, sì in ogni cosa, alla superiorità della loro immaginazione". Essendo noto a chiunque si occupi di logica che il vero è nell’intero, va non solo evidenziata nel succitato passo, come da me fatto, la parola ‘presente’, che dice da sola tutto; ma va anche ricordato che subito prima della suddetta frase Leopardi scrive che “è pur certo che dovendo sceglier tra i climi e tra i caratteri naturali dei popoli una immagine dell’antichità niuno dubiterebbe di scegliere i meridionali, e i settentrionali viceversa per immagini del moderno”; e che subito dopo la succitata frase che, ripeto, per mero errore avevo omesso di citare, Egli scrive :Né questa, (superiorità “presente” dei settentrionali) né quella (superiorità antica dei meridionali) per conseguenza sono da considerarsi per cose accidentali. ‘Sembra’ che il tempo del settentrione sia venuto. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo il mezzogiorno. Ed esso era veramente fatto per brillare e prepotere in tempi quali furono gli antichi. E il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenere il disopra ne’ tempi della natura de’ moderni. Ciò si vide in parte, per circostanze simili de’ popoli civili nelle età di mezzo. E come la detta natura e disposizione de’ tempi moderni non è accidentale né sembra potere essere passeggera, così la superiorità del settentrione non è da stimarsi accidentale né da aspettarsi che passi, almeno in uno spazio di tempo prevedibile.
Leopardi quindi aveva chiaramente presenti i condizionamenti storico-sociali, non era un materialista volgare. Basti pure ricordare quel passo che ho evidenziato nella mia precedete nota in cui Egli verso la fine del libro “Sui costumi degli italiani” scrive che <<i popoli meridionali  superarono tutti gli altri nella immaginazione e quindi in ogni cosa, a’ tempi antichi; e i settentrionali per la stessa immaginazione superano di gran lunga i meridionali, a’ tempi moderni. La ragione si è – precisa con acume storico materialista Leopardi - che a’ tempi antichi lo stato delle cose (economico-sociali) e delle opinioni  ragionate (la cultura) favoriva l’immaginazione quanto ai tempi moderni la sfavorisce>>. Ed anche l’altro passo tratto dal suo “Manuale di filosofia pratica(pure riportato nella mia predente nota) in cui Leopardi scrive che <<non è da trascurare una differenza che si trova fra il carattere, il costume degli antichi settentrionali  e abitatori de’ paesi freddi, e quel de’ moderni. .. Perocchè gli antichi settentrionali ci son dipinti dagli storici per ferocissimi, in quietissimi, attivissimi, non solo di carattere ma di fatto, … quasi assolutamente indomabili ed indomiti. Germani, Siti, ecc. I moderni al contrario sono così domabili, (ubbidienti, tolleranti) che certo niun popolo meridionale lo è altrettanto. … In questa tanta diversità di effetti hanno certamente gran parte la diversità de’ governi antico e moderno … - Ma grandissima parte v’ha certamente anche la differenza materiale della vita>>, nella quale, con buona pace degli idealisti, rientrano necessariamente i movimenti delle particelle elementari ed il clima.
E’ quindi assurdo insultare Leopardi, come mi è capitato di leggere, dandogli del razzista, ed arrivando anche a deriderlo per le sue sofferenze fisiche.
La tragedia che oggi vive il mezzogiorno d’Italia, tagliato oggi fuori come non utile neppure all’accumulazione capitalistica, dà purtroppo ragione all’intuizione geniale di Leopardi. 
- Aggiungo di avere pure letto che Leopardi avrebbe manifestato una vena di razzismo per alcune espressioni usate verso il sottoproletariato largamente presente nella grande città di Napoli. Come quando nello Zibaldone scrive che  I pregiudizi - (si riferisce in questo passo a ‘Lamia”, l’ammaliatrice) - si conservano e si perpetuano, come le sciocchissime opinioni, e i più puerili errori della più minuta plebaglia”; ed aggiunge : questa antica voce ‘Lamia’, e questa idea, o altra a lei analoga ….. dovea per sua natura conservarsi sordamente e tradizionalmente, ma lunghissimamente nella bocca e nella testa dell’infima plebe.
Costoro forse ignorano le pesanti critiche che Marx e Engels, alla pari di Leopardi, mossero nei confronti del sottoproletariato. Non sanno del loro disprezzo per questo strato sociale, definito come plebaglia confusa, accozzaglia di elementi declassati, pronti a seguire il primo avventuriero reazionario disposto a blandirli o a pagarli, come il Cardinale Ruffo, affossatore con i sanfedisti della Repubblica Partenopea del 1799. Nel "Manifesto" del 1848  si legge, ad esempio, che il sottoproletariato "viene qua e là gettato nel movimento da una rivoluzione proletaria; ma, per le sue stesse condizioni di vita, esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettersi al servizio di mene reazionarie". E ne "Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850" Marx scrive che il sottoproletariato "in tutte le grandi città forma una massa nettamente distinta dal proletariato industriale, nella quale si reclutano ladri e delinquenti di ogni genere, che vivono dei rifiuti della società; gente senza un mestiere definito, vagabondi, "gens sans feu et sans aveu", diversi secondo il grado di civiltà della nazione cui appartengono, ma che non perdono mai il carattere dei lazzaroni". -- Il giudizio espresso da Engels fu a questo proposito ancora più duro, avendo egli scritto che:"il sottoproletariato', questo mazzo di  elementi squalificati di tutte le classi che pianta il suo quartier generale nelle grandi città, è il peggiore di tutti i possibili alleati. È una plebaglia assolutamente venale e assolutamente impudente. …. Ogni dirigente della classe operaia che usa questi straccioni, come guardia, o che si basa su di loro, solo per questo dimostra già di essere un traditore del movimento".
- Rimane comunque ingiustificabile che qualcuno, sia pur per ignoranza, abbia osato definire razzista chi ha auspicato, come Leopardi, l’affermarsi di una società riformata in senso solidale, non per meri fumosi insegnamenti morali o religiosi, ma per la presa d’atto, propria di chi sa che la libertà è coscienza della necessità, che unicamente l'accettazione coraggiosa della verità ed il rifiuto di ogni inganno, illusione e, peggio ancora, autoinganno,  possono elevare gli uomini e rendere la vita un po' meno indegna di essere vissuta (vedi "La ginestra", dal verso 111 al verso 157). Il pessimismo di Leopardi si appalesa qui come eroico, affermando con forza la dignità dell’uomo nella capacità di conoscere ed accettare la realtà e, quindi, - aggiungiamo noi - poterla affrontare e superare, nel rispetto assoluto delle sue leggi : natura nisi parendo vincitur” – diceva Bacone.
Padova 21 ottobre 2012
                                                                       Luigi Ficarra
 

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