GIOVANNI TESE', La famiglia nella Costituzione italiana

Intervento tenuto dall’Avv. Giovanni Tesè, sabato 1 marzo 2008, nella Chiesa Madre – Cappella Cristo Nero di Licata, in occasione del Convegno “LA CENTRALITA’ DELLA FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ”







Mi sembra opportuno, preliminarmente, premettere che la “famiglia”, primigenia “organizzazione umana e sociale” in cui si svolge la personalità di ogni essere umano, è prioritaria rispetto a ogni forma di organizzazione statuale e a ogni e qualsiasi ordinamento giuridico ed esiste indipendentemente da ogni e qualsivoglia riconoscimento dello Stato.

La “famiglia”, infatti, nasce spontaneamente per un’esigenza naturale e spirituale dell’uomo, originata dal fatto stesso della procreazione e per la continuità del genere umano e come tale é ritenuta da molti come “organismo etico - sociale” prima ancora che giuridico.

Tutte le popolazioni e tutte le epoche conoscono “la famiglia” che senza dubbio rappresenta la “formazione sociale”, la “società naturale” più importante, l’istituto più antico, universale e pregiuridico.

Tutto ciò non vuol dire che “l’istituto della famiglia” non possa o non debba essere oggetto di disciplina o regolamentazione giuridica in generale e costituzionale in particolare.

Va però detto con chiarezza che qualsiasi legislatore non può non tener conto che la “famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”, rappresenta una comunità originaria, naturale, necessaria e fondamentale della società da salvaguardare, sostenere, promuovere e tutelare.

La tirannia del tempo e la contestuale scelta di non volere appesantire questa nostra conversazione con disquisizioni tecniche -giuridiche o esegetiche, questa sera, non mi consentiranno di ripercorrere le tappe più significative della profonda evoluzione storica della “famiglia” con le ovvie e conseguenti implicanze giuridiche, né di affrontarne compiutamente e analiticamente tutti gli aspetti legislativi e giurisprudenziali inerenti.

Non mi soffermerò, pertanto, sulla tutela penale della famiglia, anche se a tal riguardo non posso esimermi dall’evidenziare l’esigenza e l’urgenza dell’emanazione di provvedimenti legislativi volti tanto a tutelare le vittime della violenza familiare, quanto ad arginare fenomeni ormai sempre più gravi e ricorrenti di violenze e maltrattamenti perpetrati tra le mura domestiche, specie di natura sessuale e anche sui minori.

Così come non mi sarà possibile soffermarmi su problematiche, oggi fortemente dibattute e relative, in particolar modo, all’eutanasia, alle convivenze omosessuali, alle famiglie di fatto, ai diritti dei minori, alla separazione e alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, alla procreazione assistita e all’interruzione della gravidanza.

Mi limiterò conseguentemente a circoscrivere l’esame, seppur per grandi cenni, ai profili dell’istituto “famiglia” costituzionalmente rilevanti, stante la “centralità” che le Madri e i Padri Costituenti hanno riservato alla “famiglia” nella Costituzione Italiana, Carta fondamentale della nostra Repubblica.  

La nostra Costituzione, nata dalle ceneri e dal travaglio del secondo conflitto mondiale, il più drammatico evento globale di tutti i tempi, scritta dalle rappresentanti e dai rappresentanti del popolo italiano, eletti il 2 giugno 1946 a suffragio universale - per la prima volta votarono anche le donne - entrò in vigore il primo gennaio 1948.

A far parte dell’assemblea costituente furono eletti cattolici, liberali, socialisti, personalità di diversa formazione politica, culturale e religiosa, che abbandonando ogni integralismo ideologico, ogni egoismo individuale e ogni misero interesse di parte o di partito, diedero vita a un “grande compromesso” -  che, in diverse circostanze, ho avuto modo di definire “positivo” -  e consegnarono in tal modo all’Italia una Costituzione di tutto il Popolo e per tutto il Popolo, unico e solo depositario della sovranità.

Certo, non è velleitario o retorico evidenziare il notevole contributo dato dalla cultura giuridica cattolica all’elaborazione del progetto costituzionale sul quale si è sviluppata la democrazia italiana in tutti questi anni e che ancora oggi, almeno per quanto concerne i princìpi fondamentali, dimostra notevole forza espansiva, grande vitalità e sicura attualità.

L’acutezza di pensiero e le intuizioni delle Madri e dei Padri costituenti cattolici, tra i quali qui mi limito a ricordare Gaspare Ambrosini, vicinissimo al magistero politico e sociale di Don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e Aldo Moro, contribuirono a far si che la nostra Costituzione assumesse come propri elementi fondanti i principi dell’antropologia cristiana e della dottrina sociale della Chiesa e in particolar modo la cultura della pace, il valore del lavoro, il principio della sussidiarietà, il riconoscimento della dignità della persona umana, del personalismo solidale e della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.

I costituenti si trovarono unanimemente concordi a ritenere imprescindibili e inviolabili i valori della pace, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia e della democrazia, così come si trovarono concordi soprattutto a riconoscere, garantire e consacrare solennemente i diritti inviolabili di ogni persona umana come soggetto di diritti naturali e inalienabili, sia singolarmente sia nelle “formazioni sociali” ove svolge la sua personalità e prima fra tutte la “famiglia”.

A differenza dello Statuto Albertino, che non conteneva norme sulla “famiglia”, i costituenti invece hanno previsto nella Costituzione Repubblicana numerose disposizioni riconducibili alla “famiglia” e delle quali desidero evidenziare gli articoli 29, 30 e 31 in particolare e gli articoli 34, 36 e 37 più in generale.

L’istituzione “famiglia fondata sul matrimonio” - principale e primaria “formazione sociale”, intermediaria tra apparato e cittadino, trait d’union tra autorità e libertà, tra individuo e autorità statale - assume nell’impianto costituzionale repubblicano una posizione fondamentale e sostanzialmente centrale.

Il Costituente ispirandosi alla concezione di “famiglia” appena delineata e nella consapevolezza che la “famiglia” - esistita da sempre e nata con l’uomo stesso - è una “organizzazione spontanea, naturale e necessaria” che si realizza in modo originale, prioritario, autonomo e indipendente da ogni limitazione o disciplina di diritto positivo, ha opportunamente collocato le norme specifiche riguardanti la famiglia nel titolo II della Costituzione dedicato ai rapporti “etico - sociali”.

In questa prospettiva, con linguaggio chiaro e preciso, che ha resistito al tentativo di forzature interpretative spesso interessate e surrettizie, le Madri e i Padri Costituenti con l’articolo 29 della Costituzione hanno statuito espressamente che: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

L’affermazione costituzionale secondo cui La Repubblica (e quindi il popolo italiano) riconosce (non costituisce – non istituisce) i diritti della famiglia (fonte essa stessa di diritti e doveri spettanti ai suoi componenti) come società naturale fondata sul matrimonio…” suggella e consacra inequivocabilmente il carattere di “originarietà” e di “autonomia” della “famiglia” rispetto all’ordinamento giuridico e alla Costituzione e nel contempo statuisce una chiara e inequivocabile limitazione di poteri che il legislatore si è posto, con la conseguenza che non potrà mutare, menomare o alterare la struttura dell’istituto familiare.

Ciò non vuol dire che lo Stato - riconoscendo che alla famiglia competono in modo originario diritti autonomi e indipendenti - debba porsi in posizione di neutralità; al contrario lo Stato assume una posizione attiva e pertanto oltre a non porsi in contrasto con tali diritti o peggio a disconoscerli o limitarli, s’impegna a sostenerli e a tutelarli.

Da ciò deriva che il compito dello Stato e del suo Ordinamento Giuridico non è quello di creare o contrastare la “famiglia”, bensì quello di offrire le norme per regolare, tutelare e sostenere la “famiglia”, i suoi componenti e i rapporti familiari tra gli stessi.
 
Al tempo stesso il Costituente, sempre con la formulazione adottata con il richiamato articolo 29, ha voluto sancire che il fondamento della famiglia è “il matrimonio” legittimamente costituito e che fa riferimento all’unione di un uomo e una donna (ogni altra interpretazione risulterebbe quanto meno capziosa e mistificatoria, mi riferisco alle tanto declamate unioni in matrimonio: “uomo-uomo” o “donna-donna”) in vista della procreazione nonché “ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” che prevede quei limiti predisposti dalla legge solo “a tutela dell’unità familiare”.

Fondamentale importanza assume, pertanto, per il Costituente del 1946 “la eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.

Con un ritardo di ben ventisette anni rispetto all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il legislatore ordinario - sollecitato a tal riguardo in numerose occasioni dalla Corte Costituzionale - con la legge 19 maggio 1975 n. 151, ha provveduto a riformare ampiamente il diritto di famiglia previgente - che poneva la donna nell’ambito della famiglia in un’atavica e incostituzionale condizione giuridica d’inferiorità rispetto all’uomo - attuando in tal modo, finalmente, il dettato costituzionale relativo “all’uguaglianza giuridica” dei coniugi.

La riforma del diritto familiare del 1975, supportata da successive e non meno rilevanti disposizioni legislative, ha posto fine quindi in notevole misura a un’inammissibile disuguaglianza giuridica tra i coniugi sia per quanto riguarda i reciproci rapporti sia in riferimento ai rapporti con i figli, sia per ciò che concerne i rapporti patrimoniali.
Al riguardo mi sia consentito respingere con forza le tesi artatamente imbastite da sedicenti “femministe” e da “politicanti menzogneri” secondo cui i ritardi riguardanti il riconoscimento sociale e giuridico dell’uguaglianza tra uomo e donna nonché il processo di emancipazione femminile, sia sul piano sociale sia giuridico, sono da addebitare al “mondo cattolico”.

I “mistificatori” di turno in tante occasioni si sono spinti ad affermare che la “subordinazione” della moglie al marito è addirittura diretta conseguenza della cultura cristiana.

Nulla di più falso. Tutto ciò non è vero. Anzi è esattamente il contrario. Basta solo ricordare che proprio grazie all’influenza della dottrina sociale cristiana che é stato possibile introdurre nelle legislazioni, sin dal diritto giustinianeo, la tutela e la salvaguardia dei diritti naturali e inviolabili di ogni persona umana e primi fra tutti uguaglianza, libertà e solidarietà, che rappresentano i principi basilari dell’insegnamento cristiano.

Il legislatore del 1975, come già accennato, ha affermato l’uguaglianza dei diritti e dei doveri che il marito e la moglie acquistano con il matrimonio.

Ha stabilito l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione; ha affermato che entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia; ha abrogato la norma che vincolava la moglie a fissare il proprio domicilio laddove lo imponeva il marito e ha stabilito che devono essere entrambi i coniugi e di comune accordo a fissare la residenza e l’indirizzo della vita familiare secondo le esigenze di entrambi e di quelle preminenti della famiglia stessa; ha previsto che la moglie non assume il cognome del marito, ma conserva il proprio e vi aggiunge quello del marito, conservandolo anche durante lo stato vedovile e fino a che passa a nuove nozze; ha statuito il diritto alla conservazione da parte della moglie della cittadinanza italiana, salvo sua espressa rinunzia; ha abolito la potestà maritale.

In  rapporto ai figli la legge di riforma ha innovato profondamente i rapporti preesistenti in direzione di una sostanziale uguaglianza tra i coniugi e in particolare ha abolito la “patria potestà” sostituendola con la “potestà genitoriale” che deve essere esercitata di comune accordo da entrambi i genitori ed ha ammesso la possibilità di riconoscimento dei figli naturali, anche se generati in costanza di matrimonio.

 La legge del 1975 - in conformità all’articolo 30 della Costituzione - che prevede testualmente: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi d’incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”- ha sancito l’obbligo per entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, tenendo conto delle loro capacità, delle loro naturali inclinazioni e delle aspirazioni dei figli stessi, ha definitivamente abolito le discriminazioni tra figli naturali e figli legittimi e introdotto importanti disposizioni in tema di diritto successorio in favore del coniuge superstite e dei figli naturali.

Anche il regime patrimoniale della famiglia ha subito profonde modifiche in attuazione della richiamata “uguaglianza morale e giuridica” dei coniugi. Desidero qui ricordare tra le innovazioni più rilevanti previste e disciplinate dal legislatore del 1975, quelle riguardanti l’introduzione della “comunione dei beni” e l’abolizione dell’atavico istituto della “dote”.

Se dal punto di vista dell’uguaglianza giuridica tra i coniugi sono stati fatti notevoli e irreversibili passi avanti - anche se ancora oggi i problemi aperti che aspettano risposte legislative coerenti - la stessa cosa non può dirsi per ciò che concerne “l’uguaglianza morale” dei coniugi che risulta fortemente bisognevole di tutela e di effettiva attuazione.

 Resta da ricordare l’articolo 31 della Costituzione che recita testualmente: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

Con questa norma il Costituente, dettando in modo esplicito al legislatore ordinario indirizzi di politica legislativa, ha voluto rendere concreto e sostanziale l’impegno assunto dalla Repubblica nei confronti della “famiglia” ritenuta parte viva e insostituibile della società sia dal punto di vista sociale che culturale ed economico.

In quest’ottica il Costituente ha indicato, anche con le affermazioni costituzionali contenute nell’articolo 31, i compiti attivi e i doveri che competono allo Stato nei confronti della “famiglia”.

Le indicazioni statuite con l’articolo 31 della Costituzione - che s’integrano armoniosamente con altre disposizioni non meno significative e importanti quali quelle contenute nell’articolo 34 della Costituzione sull’assistenza alle famiglie per l’adempimento del diritto allo studio e quelle previste dall’articolo 37 della Costituzione volte alla tutela e alla protezione delle donne lavoratrici e in particolare a garantire che “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione” - assumono un rilevo fondamentale.

Infine una particolare menzione merita il primo comma dell’articolo 36 della Costituzione che per la particolare chiarezza espressiva ci esime da ogni commento e pertanto mi limiterò a riportarlo testualmente: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”

Certo i provvedimenti legislativi adottati a sostegno della “famiglia” e dei membri della famiglia in oltre sessanta anni, dall’entrata in vigore della Costituzione a oggi non sono stati pochi, ma se pensiamo in concreto al ruolo determinante della famiglia nella realtà sociale non possiamo non costatare, con non poca amarezza e delusione, che il programma indicato dalle Madri e dai Padri Costituenti con la Carta fondamentale della nostra Repubblica, è sostanzialmente lontano dall’essere attuato.

Dobbiamo prendere atto, purtroppo, che la “famiglia” in tutti questi anni non è entrata realmente e concretamente fra le priorità politiche e non è stata oggetto, da parte del legislatore ordinario, di seri interventi di sostegno economico miranti alla “formazione”, alla tutela e alla salvaguardia della stessa, così come solennemente indicato nella nostra Costituzione.

         Credo che noi cattolici, abbiamo il diritto e il dovere morale di chiedere con coraggio e chiarezza a tutta la rappresentanza politica in generale e in particolare a quei politici che si ergono a paladini della “famiglia” nonché a coloro i quali pongono a base del loro programma politico la centralità della “famiglia”, che occorre battersi sinceramente e concretamente per attuare il programma voluto dai nostri Padri costituenti, ancora oggi disatteso e mortificato e ancor più grave spesso strumentalizzato.

Certo oggi al centro del dibattito politico, sociale e culturale è posta da più parti una pretesa “crisi irreversibile della famiglia”.

Si parla di crisi del matrimonio, di convivenze omosessuali, di aborto, di pillola del giorno dopo, di aumenti esponenziali di separazioni e di cessazioni degli effetti civili del matrimonio e di altri aspetti che riguardano l’istituzione familiare in modo catastrofico.

Certamente la crisi che attraversa la nostra società, all’alba di questo terzo millennio, non è trascurabile; certamente una crisi materiale e morale di portata globale caratterizza i diversi campi dell’agire umano.

Il nostro vivere quotidiano è contraddistinto da una diffusa tendenza al nichilismo, al relativismo, all’indifferentismo e alla deresponsabilizzazione (un esempio può essere dato dalla scelta della convivenza, stante il fatto che il matrimonio comporta precise responsabilità; dall’aborto, in quanto la presenza di un figlio per taluni rappresenta una limitazione di “libertà”;  dall’eutanasia, poiché gli ammalati e gli anziani rappresentano, fortunatamente per pochissimi, un inutile ingombro e così via).

Se tutto ciò, però, trova ancora un argine che impedisce di andare alla deriva, quest’argine ancora oggi, bene o male, è rappresentato dalla “famiglia”, così come noi cristiani - e non siamo i soli - la concepiamo e nel contempo penso che modelli diversi di famiglia da quelli delineati costituirebbero solo maldestre forzature volte solo a stravolgere e snaturare, con gravissime conseguenze, l’essenza vera della “famiglia” universalmente conosciuta e condivisa.

Credo che il convegno di questa sera possa rappresentare uno straordinario momento da ascrivere tra le esperienze più significative che un cristiano possa vivere.

Quando i “professionisti dell’anti-famiglia”, i “catastrofisti interessati”, le “grancasse di sventura” che auspicano la fine della “famiglia”, trovano da parte del mondo cattolico e non, risposte convinte e coerenti sull’insostituibilità dei valori rappresentati dal modello di “famiglia cristiana”, sono certo che la nostra società potrà sperare in un futuro più giusto e più solidale.

         Sono convinto che molti giovani se avessero la concreta certezza di trovare lavoro e di essere sostenuti, agevolati e tutelati dallo Stato “con misure economiche e altre provvidenze” non disdegnerebbero dal formare nuove famiglie; sono convinto che moltissime donne se avessero la concreta certezza che lo Stato “…protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” sicuramente non penserebbero a evitare di metter al mondo figli; così come non si penserebbe alle tante forme di distruzione della vita se la nostra Repubblica fosse consequenziale e coerente con i principi sanciti nella Carta Costituzionale.

         Diciamocelo chiaro, talune scelte quali l’aborto, la convivenza, l’eutanasia sono dettate e imposte il più delle volte dalla mancanza di sicurezza economica e comunque credo, in tutta onestà, che non si possa dire - se non in mala fede - che si tratti di scelte libere, convinte, volute o addirittura, come artatamente si tenta di far credere, che siano scelte di “civiltà” o di “modernità”.

         Sono convinto che se i cattolici riusciranno a mettere da parte ogni titubanza o paura e sapranno con pacatezza e senza integralismi - così come oggi è stato fatto in questa meravigliosa Chiesa Madre, in questa straordinaria Cappella del Cristo Nero - testimoniare con coerenza, convinzione e forza il loro credo a cominciare dai valori autentici della “famiglia” saremo sicuri di poter guardare a un sereno futuro degno di essere vissuto.

Con questa convinzione e con questa speranza sento il bisogno di rivolgere a Voi tutti un grazie sincero per l’attenzione che avete voluto riservarmi.

febbraio- marzo  2008                                             Giovanni Tesè



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