LUIGI GANGITANO, Un racconto sul Cineclub "Ejsenstejn"

Mi è stato chiesto di fare una cosa alla quale pensavo da tempo. Un racconto sul Cineclub "Ejsenstejn" (scriverlo così ci sembrava una finezza ignota ai più), di Canicattì che vide la luce nel 1967 e che per lunghi anni brillò nel cielo del cinema d'essai. Fui uno dei soci fondatori, allora avevo 20 anni, e sino al 1971 ne fui il segretario, ampollosa carica che significava essenzialmente lavorare sodo per l'organizzazione. Poi cominciò il mio percorso di vita nel continente, come si diceva una volta, ma del Cineclub non persi le notizie. Adesso egli è in letargo, non mi pare si sia ufficialmente dissolto, ma in occasione di questo scritto si può cogliere l'occasione per una riflessione e, perché no, per un rilancio.
La Canicattì di quegli anni

Negli anni '60 per i giovani la vita culturale a Canicattì non si poteva dire particolarmente vivace. Il numero degli studenti era cresciuto grazie all'elevamento dell'obbligo scolastico alla terza Media, una ricaduta si era avuta nelle iscrizioni alle scuole superiori anche se non c'era molta scelta. I predestinati per censo o per volontà di distinzione (due premesse che garantiscono un buon insuccesso scolastico), si iscrivevano al Liceo Classico. Allegramente e ferocemente essi erano selezionati. Alcuni ruzzolavano giù da Borgalino (sede del liceo) sino all'Istituto Tecnico, accolti con crudeli lazzi dai loro previdenti coetanei. Altri si incaponivano, ed erano sostenuti da genitori ancora più incaponiti, e proseguivano il percorso con sofferenze varie. Altri abbandonavano gli studi maledicendo il momento in cui avevano pensato di continuare e cercavano di dar fuoco alla scuola. L'Istituto accoglieva nei suoi corsi ragionieri e geometri quanto altro c'era sulla piazza, lo scarto del liceo dicevano gli spocchiosi di Borgalino.. Non che la selezione mancasse in questa scuola ingiustamente considerata di serie B, anzi, ma le alternative erano queste. Alcune eroiche fanciulle si avventuravano nelle scuole Magistrali fuori Canicattì e qualche folle osava addirittura andare all'Istituto Minerario di S. Cataldo.
Le iscrizioni all'Università vedevano lo stesso eroico e folle slancio, e come negli assalti alla disperata verso le trincee, numerosi caduti costellavano il terreno. Già al secondo anno le pattuglie erano assottigliate di parecchio ed i ritirati si dirigevano verso altra sponde.
Solo chi ignora la profonda avversione che la scuola riesce a creare verso la lettura e lo studio (mai autore è stato più stramaledetto e vituperato del buon Manzoni, il solo nominare i suoi " I Promessi Sposi" provoca anche a distanza di anni violente contrazioni allo stomaco), immagina che gli alfabetizzati giovani si dedicassero al gustoso impegno della ricerca e della lettura. La maggior parte di essi ritenevano assolto ogni impegno solo con il prendere in mano i testi scolastici, già il leggerli era quasi un di più, leggerli due volte quasi una perversione. La lettura extra scolastica di un quotidiano o periodico rappresentava un impegno poco diffuso. Quella di un libro quasi una bizzarria. Le sollecitazioni un tal senso venivano accolte con doloroso stupore. Abbiamo già i libri di scuola, non bastano?
Non bisogna però cadere nell'errore di attribuire a questa generazione di belle speranze più di quanto essa non meriti. Questa era la Canicattì dei bei tempi andati, ed in questo brodo sguazzavano tutti.
La vivacità della vita culturale, se si riusciva ad individuarla, era molto simile ad una sogliola lessa. Con tutto il rispetto per le sogliole. Alcuni elementi di novità si erano però verificati.
Dopo anni di monopolio delle sale cinematografiche era stato costruito il Supercinema ed a beneficio della popolazione la concorrenza con l'Odeon aveva portato tutta la serie dei film più recenti. Era anche cambiato un poco il clima di tolleranza verso il peccato che alcune pellicole rappresentavano. Infatti "La dolce vita" di Fellini (1960) e "Viridiana" di Bunuel (1961) avevano visto un confronto alla "Mezzogiorno di fuoco" tra la turba disperata di coloro che volevano assistere a questi spettacoli e alcuni ostacoli che ad essi si frapponevano. L'uno di natura materiale, cioè l'età anagrafica, rigidamente controllata e che si cercava di aggirare con maldestre operazioni sulla carta d'identità con modifiche al limite della sanzione penale. L'altro di naturale più spirituale, il rischio del peccato, che però si materializzava anch'esso nella persona di qualche religioso che si frapponeva tra i giovani e la tentazione. Uno di questi sosteneva le sue argomentazioni con pesanti richiami al debosciato comportamento e con più pesanti timpuluna.
Ma il progresso inesorabilmente aveva rimosso alcune di queste situazioni, anche se "Ultimo tango a Parigi" qualche anno dopo doveva dimostrare che il pericolo è sempre presente e va giustamente fermato.
Ad ogni modo si poteva godere dello spettacolo cinematografico e le sale erano abbastanza affollate.
Nel 1965 irrompe sulla scena la novità degli Oscar Mondadori. La letteratura e la poesia a 350 lire, dell'epoca. E con cadenza settimanale. I primi numeri andarono a ruba e richiesero ristampe frenetiche. Poi l'entusiasmo scemò. Questi maledetti venivano pubblicati ogni settimana, non si riusciva a leggerne uno che già ne arrivava un altro e poi un altro ancora. Occupavano spazio e non si sapeva più dove metterli. La concorrenza non rimase inerte. Una valanga di libri si riversò sul mercato travolgendo la nascente voglia di sapere e producendo un rigetto diffuso. Basta! si urlava da più parti. Non se ne può più!
Devo qui ricordare l'ammirevole iniziativa di un concittadino che aprì un negozio di libri (il primo vero in tal senso) e si dedicò con impegno e passione a distribuire nelle case gli Oscar ed a procurare libri su richiesta. Ma anche questo generoso dovette soccombere all'ineluttabile destino. Le sue visite venivano accolte con un misto di disperazione e rassegnazione. Ma quando le polverose copie divennero eccessive anch'egli dovette bere l'amaro calice del rifiuto sempre più fermo e deciso.
Non bisogna però credere che i migliori cervelli fossero inattivi. Periodicamente un gruppetto di giovani di buona volontà affrontava il problema con entusiasmo e passione: qui c'è bisogno di uno spazio, di un circolo per noi che vogliamo fare cose diverse dal ritrovarsi a giocare a carte e perdersi in chiacchiere inutili. Gli animi si infiammavano, si gareggiava in sdegno e determinazione. Poi si passava all'aspetto pratico (sede, soldi, adesioni, etc) e la compagnia si scioglieva mestamente stramaledicendo il rio destino ed il paese ingrato.
A Serradifalco, quale umiliazione per noi, si aprì in un localaccio umido e cadente un circolo culturale. Solo culturale perché l'ambiente non permetteva soggiorni prolungati. Si tennero alcune conferenze, poi la cosa lentamente si esaurì. Pare che i soldi per la sede fossero stati estorti con l'inganno ad una casa discografica o qualcosa di simile, millantando l'affluenza di grandi masse desiderose di consumare i suoi prodotti. Così finiscono anche gli eroi
Per aggiungere sale alle ferite la proprietà dei due cinema venne concentrata nelle mani di uno solo, gestore di un cinema a Caltanissetta. Città dove ci si recava per vedere qualche film e dedicarsi all'amore mercenario. Non necessariamente nell'ordine e non necessariamente entrambi.
Venuta meno la concorrenza il filone filmico ne soffrì.
Si imponeva un evento significativo, modificativo e permanente.
I tempi erano maturi? Si sarebbe ripetuto l'eroico e sfortunato gesto di Pisacane? Masaniello sarebbe ritornato? Boh ?

Il cineclub

L'anelito era diffuso e gli animi erano disposti al sacrificio. O almeno così sembrava ad alcuni (pochissimi) avventurosi e temerari. Si tenne qualche incontro stile carboneria, il vino riscaldava gli animi ed infondeva coraggio, al terzo bicchiere tutto sembrava possibile, al quarto inevitabile.
Si esaminarono i pro ed i contro. Certo il rischio era esporsi e sfacchinare tra lo scetticismo diffuso ed il sarcasmo non tanto velato. Perché questa era la contraddizione: ci si lamentava ma se qualcuno cercava di realizzare un'idea si faceva a gara nel predire lutti e disgrazie, fallimenti e scorni, perdite di tempo e brutte figure. Naturalmente ci si guardava bene dal collaborare. Poi tutti si prodigavano in una serie di "lo dicevo io", ma chi ve lo ha fatto fare" e giù consigli inutili quanto tardivi. A dare un volantino ci si sentiva chiedere dal destinatario, con le mani in tasca: cosa c'è scritto?
Ma ormai il destino batteva alle porte ed alle finestre, quei pochissimi sentivano che non si poteva più procrastinare.
E così un bel giorno si disse che era necessario poter vedere i film degni di questo nome. L'unico modo, non potendo permettersi un cinema tutto nostro, era quello di prenderlo in uso. E per meglio ripartire la spesa occorreva qualche centinaio di altri aficionados. Raccogliendosi sotto l'egida di un cineclub tutto sarebbe stato più facile. Bisogna ricordare che in quegli anni nelle principali città italiane erano presenti circoli del cinema dai nomi mitici: Obraz, Filmstudio 80, etc. Perché Canicattì non poteva avere il suo cineclub? La terra del Parnaso meritava questo ed altro, e lo ebbe. Per l'altro si aspetta ancora.
E come poi accade le cose erano più facili di come si pensava. Ripartite le cariche più prestigiose dopo litigi furibondi ci si gettò con foga ed impeto nell'agone. Fu definito il comitato promotore del quale metà oziava regolarmente. Si scrisse lo statuto, si scelse il nome. Altisonante quanto mai: Ejsenstejn. Si scelsero i film: Bergman, solo Bergman. Il fascicoletto con vita, miracoli, ed opere portava in copertina una foto di donna un po’ (non troppo) discinta su di un letto disfatto. Era tratta da "Il Silenzio", un'opera che in effetti ammutolisce gli spettatori. Coperta in parte con un lenzuolo poteva far pensare tante cose, noi lasciammo alla gente la possibilità di scegliere cosa pensare purché si iscrivessero. La didascalia recitava "La crisi spirituale dell'uomo moderno nei film di Ingmar Bergman". A pensarci bene qualche dubbio poteva suscitarlo, ma era una novità e questo bastava Solo dei pazzi scatenati potevano pensare di somministrare nove (nove !) film di Bergman a delle brave persone che non avevano fatto niente di male. Ma pazzi eravamo, invasati di sacro quanto periglioso furore. E pensavamo anche di fare del bene e ci aspettavamo dei ringraziamenti sperticati. A ripensarci devo dire che fummo fortunati a non essere impiccati sulla pubblica piazza con le pellicole dei film, Invece di reagire in modo furibondo all'inumano sopruso, i poveri spettatori si ridussero sempre di più di numero. All'inizio la prendevano un po’ a ridere. Bergman, per risparmiare, usava sempre gli stessi attori senza pagarli ma promettendo che al prossimi film i soldi ci sarebbero stati. Essi ignoravano che quei film marcivano nei magazzini e che nessuno li richiedeva.
Il vedere sempre le stesse facce produceva all'inizio una certa ilarità, si ricordavano i ruoli precedenti, si faceva il confronto con quelli attuali e si andava via cercando di capire cosa diavolo avesse voluto dire l'autore. Ma al quarto/quinto film la cosa cominciò a deprimere, i personaggi si confondevano tra vecchi e nuovi, in più i film erano rigorosamente in bianco e nero e parlati in svedese con i sottotitoli in lappone. E così quando giunse l'ultimo, a colori ed anche un poco allegro, in sala c'erano cinque o sei persone. Quando poi lo raccontarono agli altri non vennero creduti, anzi furono accusati di esserselo inventato o, peggio, di aver dormito e sognato durante la proiezione.
Ma tutto questo ancora non si sapeva e noi si continuava imperterriti nel nostro impegno. Il distributore di Catania alla richiesta di ben nove film di Bergman non voleva credere alle sue orecchie. Pensò di avere a che fare con dei burloni ed assunse informazioni su di noi. Quando capì che facevamo sul serio decise che eravamo dei mentecatti e ci prese a ben volere. Rintracciate le pellicole sotto strati secolari di polvere decise di farci un prezzo stracciato, sperando che la cosa si sapesse in giro e qualche altro squinternato potesse richiederle. Ma non si fece sentire nessuno.
Definito l'uso della sala, predisposta una civettuola bacheca nel corso Umberto che rischiò di diventare un deposito di cicche, messe a posto tutte le formalità burocratiche, si stamparono le tessere. A questo punto mancavano solo i soci, particolare apparentemente insignificante in quanto eravamo convinti che la gente ci avrebbe rincorso per strada, atteso sotto casa, telefonato di notte per iscriversi.
Grande era la nostra attesa ed ancora più grande fu la nostra delusione. Faticammo come bestie per racimolare circa 184 soci. Fu un lavoro estenuante ed ingrato. Quelli che ritenevamo fossero i naturali soci si ritrassero con garbo e fermezza. Professionisti, insegnanti, "intellettuali" rimasero rigorosamente fuori tranne qualche lodevole eccezione. Ci fu anche qualche equivoco. Stranizzava che Einstein si fosse messo a fare film, genio sì ma regista! non si era saputo!.
Capimmo ben presto che due motivi stavano alla base di queste resistenze. A quei tempi la proiezione veniva seguita rigorosamente da un bel dibattito. La cosa preoccupava non poco, doversi esporre davanti a qualche centinaio di persone senza essere sicuri di dire la cosa giusta toglieva il sonno. Inoltre si sparse la voce che Ejsenstejn era sovietico, gli organizzatori erano dei rossi. La conclusione fu che era meglio non cacciarsi in un covo di sovversivi. Quelli erano tempi di passioni e divisioni profonde ma l'analisi era mal fatta. Però non ci fu nulla da fare.
Allora ci demmo animo e corpo al proselitismo utilizzando tutti gli argomenti possibili, non ultimo quello della spesa. Nove film venivano a costare 2000 lire, molto meno del cinema normale, la cosa ebbe il suo peso. Bisogna dire che numerose persone aderirono ben volentieri, anzi salutarono con vera soddisfazione l'iniziativa (non avevano però ancora visto i nove film).
Le istituzioni alle quali ci rivolgemmo per avere conforto e qualche soldino non misero bene a fuoco l'iniziativa. Sfuggiva ai parametri soliti. Non aveva che fini culturali, raccoglieva persone di tutte le estrazioni politiche, non prometteva favori in cambio. Nel dubbio ci venne elargito un piccolo contributo, e poi mai più.
Ci andò peggio con un onorevole locale. Andammo a trovarlo a casa, usammo le frasi più toccanti a sostegno della diffusione della cultura in questa terra di selvaggi, solleticammo il suo ego offrendogli la tessera onoraria, esaltammo il suo senso del bello e del buono (ci facevamo un po’ schifo). Alla fine restammo esausti ed in attesa. Egli ci aveva chiesto di genitori ed avi per ben capire con chi avesse a che fare. Era un uomo pratico. Fu all'altezza della sua fama, ci guardò e disse che lui qualche volta faceva l'elemosina ma che la cosa non lo riguardava. Uscimmo stroncati senza profferir parola.
Ma ci voleva ben altro per fiaccarci. Avevamo il conforto e l'adesione di moltissimi giovani, le tessere si vendevano, l'entusiasmo si diffondeva, il distributore di Catania esultava.
E così iniziammo l'avventura. La sala era un po’ freddina perché l'infido proprietario non la preriscaldava, poi durante la proiezione i rumore delle ventole disturbava e quindi venivano fermate, alla fine si riaccendeva. E ci voleva perché iniziava il famoso dibattito con i relativi brividi. La cosa metteva in difficoltà anche me, avevo entusiasmo sì ma poca esperienza sia di interventi che di critica cinematografica. Quindi sudori freddi e imbarazzo. Alcuni cercavano di svignarsela ai titoli di coda ma ferocemente venivano redarguiti. "Dove andate? C'è il dibattito!" Inutilmente invocavano mamme anziane o urgenti impegni, dovevano rimanere. In qualche modo si facevano alcuni interventi per salvare l'anima (un assiduo era un religioso) e poi tutti via. Uno che interveniva regolarmente l'anno dopo fu nominato presidente ed ebbe da pentirsene per anni. Per evitare che l'intervento venisse fatto con voce flebile ci fu messo a disposizione l'impianto di amplificazione della festa "di li tri Re". Ogni sospiro rimbombava, si doveva sentire tutto! Nei momenti di imbarazzante pausa venivano fatte risuonare musiche sacre per incoraggiare.
Bisogna dire che ce la mettevamo tutta. Venivano preparate le famose schede critiche per ogni film. Avevo un vecchio ciclostile a spirito, le matrici venivano battute a macchina. Se la battuta non era ben data la lettera era poco leggibile. Quando poi la matrice veniva passata al ciclostile bisognava girare la manovella sempre con la stessa velocità. Piano prendeva troppo spirito e scioglieva l'inchiostro, veloce creava problemi opposti. I fogli venivano messi ad asciugare ed i vapori riempivano la stanza. In breve eravamo ubriachi, la manovella andava per conto suo. Ai soci poi l'arduo compito di decifrare lo scritto, ben fitto per risparmiare materiali. La consegna all'ingresso non aiutava, ci sarebbe voluto luce nitida e tempo per comprendere cosa diavolo eravamo riusciti a mettere giù scopiazzando dalle critiche.
Ma la perversione umana non ha mai fine. Un nostro socio l'anno dopo si trasferì per motivi di lavoro in un paesino dell'interno dell’Ennese. Pensò bene di portare una ventata di novità impiantandovi un cineclub. Le male piante si diffondono sempre. Gli indigeni accolsero la cosa con curiosità, erano anni che non accadeva nulla in quella tranquilla landa. Al secondo film egli fu avvicinato da alcuni soci, credette si volessero congratulare con lui per la bella pensata che aveva avuto. In realtà fu minacciato di morte orrenda se non avesse tolto di mezzo quell'angosciante tentativo di dibattito. Così fece, vive ancora e la serenità ritornò in quel paese innocente.
Ad ogni modo anche nei nostri confronti rimase una certa benevolenza, ma memori dell'errore l'anno dopo proponemmo una programmazione più umana. I soci aumentarono, il cineclub diventò una tradizione e negli anni sopravvisse ai suoi più famosi fratelli diventando uno dei più vecchi d'Italia.
Adesso tace, vive nel ricordo di chi lo volle e lo visse come un tentativo di cambiamento, e tale fu. Mise assieme una generazione davanti ad uno schermo, favorì l'attenzione al cinema di qualità, dimostrò che anche con poco si possono fare delle cose interessanti ed utili.
Erano anni di cambiamento, venne la festa della matricola che vide nelle piazze ragazze e ragazzi insieme sino ad ora tarda. Si cantava, si ballava, si questuava con un pitale in mano e le ragazze lo porgevano con grazia inimitabile. Poi il '68, un po’ attutito, ma vissuto di più nelle Università. Sembrava che nulla potesse essere più come prima..
Oggi forse si fa fatica ad immaginare il paese con pochi svaghi, pochi soldi, molte persone per strada dopo cena, la voglia di scambiarsi idee, di discutere, di capire. L'uva doveva venire e se ne doveva andare. Anche noi siamo andati, fuori e lontano a volte. Ma non abbiamo dimenticato. Mi auguro che questo piccolo scritto, nella sua leggerezza, offra l'occasione per una informazione e qualche riflessione. E perché no, il rilancio del glorioso cineclub Ejsenstejn. Una delle poche forme che sopravvivono oggi sono appunto i cinema d'essai, stretti tra le multisale e la chiusura. Ed il cinema di qualità rimane sempre la settima arte.
Luigi Gangitano

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