Itaca lontana - dentro il cuore - è sempre bella e viva. Ma poi, se l’odissea della vita ti concede il ritorno, che cosa succede? Magari scopri che l’amata terra non c’è più; lo spazio, mitico, dell’infanzia è diventato un insignificante frammento di un quartiere semideserto. La delusione è aspra pena, è un lutto che va rielaborato. E a volte il sortilegio della parola può aiutare; dimostra e ne La via breve lo racconta (Club di Autori indipendenti pp.86 €10)
Ventun capitoli svelti e densi che ridisegnano un mondo contadino – un pezzo di Sicilia, anni cinquanta sessanta – che l’autore (nato a Canicattì, Agrigento, 1951) ha vissuto e amato nei suoi verdi anni, per poi andrsene e trasferirsi al Nord.
Abbandonare la via breve dell’infanzia, scegliere la propria strada, tentare altri percorsi è una necessità spesso dura, ma anche una porta aperta su nuovi orizzonti, verso progetti più ampi.
Eppure la vaneddra... col suo sentore di stalla e di basilico resta nel cuore. Indimenticabile, quella strada non strada, una sorta di continuazione corale dello spazio domestico, luogo d’incontro (e scontro) di una quotidianità sempre uguale: le donne sugli usci, comari loquaci; il rosario recitato tutti insieme; i racconti dei vecchi, le monellerie dei ragazzi, alcuni tirano pietre, altri rubano fichi...
Un microcosmo pulsante e vivo, e insieme una gabbia, rigida, di vincoli e vecchie tradizioni: i riti delle festività, la forza della famiglia; ma anche invidie, liti d’interesse, fallimenti e soprusi; qualche morto ammazzato e un feroce gesto autopunitivo; le incontentabili pretese di donne avide, il perpetuo scontro tra contadini e pastori.
Molti da lì se ne andranno; tanti conoscono l’esperienza dell’emigrazione, come il nonno che si deve inventare la vita fin da piccolo e lo farà in Argentina.
Certe figure restano salde nella memoria: Niculina la muta, vestale del silenzio per protesta, il vagabondo beone, le mistiche testarde e litigiose, il venditore di limoni che è anche poeta anticlericale e comunista.
La via breve è uno spazio angusto agli occhi dell’adulto che ritorna; capre, asini, cani randagi: un mondo andato, una civiltà trapassata. Ma è lì che sta il segreto di quelle primizie affettive e mentali che nutrono la vita. Paese dell’anima a cui la chiara scrittura di Diego Guadagnino dà luce e vita.
Piera Maculotti
Pubblicato in "Gruppo 2009", Rivista di Arti e Cultura
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